COMUNICAZIONE DELL’AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO

L’amministratore di condominio è tenuto a comunicare ogni
anno, all’anagrafe tributaria, l’ammontare dei beni e servizi
acquistati dal condominio nel corso dell’anno d’imposta e i dati
dei relativi fornitori.
A tal fine, è tenuto alla compilazione del Quadro AC, contenuto
all’interno del Modello Redditi 2018, o del Quadro K, presente
all’interno del Modello 730/2018. Nella dichiarazione di
quest’anno è stata introdotta una novità che attiene
all’operazioni poste in essere con soggetti esteri.
Tale modello è richiesto anche per la comunicazione dei dati
identificativi del condominio oggetto di interventi di recupero
del patrimonio edilizio effettuati sulle parti comuni condominiali.

Le cessioni gratuite di merce a titolo di «sconto commerciale» non sono imponibili IVA

La cessione di merci a titolo gratuito, effettuata a fronte del raggiungimento di un certo fatturato annuo, rientra nel concetto di “premio” ed in quanto tale è esclusa dalla base imponibile iva.

Ai sensi dell’art. 15 dpr 633/72, infatti, “non concorrono a formare la base imponibile […] il valore normale dei beni ceduti a titolo di sconto, premio o abbuono in conformità alle originarie condizioni contrattuali; tranne quelli la cui cessione è soggetta ad aliquota più elevata”.

La norma quindi pone questa duplice condizione:

  • che lo sconto sia previsto nelle originarie condizioni contrattuali. È quindi essenziale che tale situazione sia stata concordata fra le parti al momento della conclusione del contratto. L’esclusione non opera qualora il premio sia riconosciuto al cliente solo successivamente alla fatturazione della cessione dei beni ceduti a pagamento (assoggettata ad iva), senza che ciò fosse già stato pattuito contrattualmente.

In questo caso si pone il problema di come provare la pattuizione contrattuale, qualora il contratto sia orale. Pur non disconoscendo la validità di tali contratti, consigliamo di predisporre in ogni caso un documento scritto, con l’indicazione delle modalità di concessione dei premi e l’entità degli stessi, precedente l’inizio delle forniture.

  • che per il bene “ceduto” a titolo di premio non sia prevista in base alle tabelle allegate al dpr 633/72 un’aliquota iva più elevata di quella prevista per i beni ceduti a titolo oneroso da cui il premio deriva.

 

Se non risultano soddisfatte entrambe le condizioni indicate, è necessario assoggettare ad iva il valore normale del bene ceduto gratuitamente, così come è previsto per gli omaggi.

Pertanto, se risultano soddisfatte le condizioni di cui sopra, OPERATIVAMENTE, sia nel ddt accompagnatorio (se non si opta invece per la fattura immediata), che nella successiva fattura differita, si dovrà indicare che la merce è ceduta a titolo di premio.

A tal fine è preferibile indicare con precisione la casistica. Ad esempio nel corpo della fattura si può utilizzare la dicitura “merce ceduta a titolo di premio a seguito del raggiungimento da parte vostra del volume di XX euro di acquisti presso la nostra società nel periodo XX, come previsto da contratto stipulato fra le parti (eventualmente: sottoscritto in data XX/XX/XXXX)” o altre similari.

Il ddt dovrà indicare natura, qualità e quantità dei beni ceduti a titolo di premio.

In base all’art. 21, comma 2, lettere c) e d) dpr 633/72, occorre che il valore normale dei beni ceduti a titolo di premio (o sconto ed abbuono) venga inoltre esposto in fattura. La fattura sarà quindi emessa per il totale dei beni ceduti, sottraendo poi l’importo di quelli ceduti a titolo di premio, che nel caso specifico risultano essere la totalità, cosicché il documento dovrà risultare a zero.

In calce alla fattura andrà riportata la dicitura “escluso dalla base imponibile ex art. 15 dpr 633/72”.

 

Contabilmente si andrà a movimentare il conto “ricavi” in avere e poi, per lo stesso importo, il conto di costo in conto economico “sconti di natura commerciale, abbuoni, premi e resi su vendite”, in modo da stornare l’importo precedentemente imputato.

 

Diversamente, se non vengono soddisfatte le condizioni di cui sopra, è evidente che ci troviamo di fronte alla cessione in omaggio di beni la cui produzione o il cui commercio rientrano nell’attività dell’impresa e per i quali all’atto dell’acquisto o produzione sia stata detratta l’imposta: in questa ipotesi la cessione risulta essere imponibile Iva a norma delle disposizioni di cui all’art. 2, comma 2, n.4), del D.P.R. 633/1972. Le cessioni gratuite di omaggi rilevanti ai fini Iva, per espressa previsione legislativa, sono, pertanto, assimilate alle ordinarie cessioni di beni a titolo oneroso.

 

Inoltre ai sensi dell’articolo 13 D.P.R. n. 633/72, la base imponibile sarà pari al prezzo di acquisto (in caso di beni solo commercializzati dal cedente), o in mancanza (come in caso di produzione dei beni) al prezzo di costo rideterminato alla data della cessione gratuita, su cui dovrà essere applicata l’imposta come se si trattasse di una cessione ordinaria nei confronti di un cliente (riteniamo che in questa situazione non sia opportuno far vedere al cliente il costo sostenuto per  la realizzazione dei prodotti).

 

E’ prevista, inoltre, la facoltà per l’impresa che assoggetta ad I.V.A. la cessione gratuita del bene di non esercitare la rivalsa, e cioè di non richiedere al soggetto che riceve l’omaggio il pagamento dell’I.V.A. esposta in fattura (è il caso che più frequentemente si verifica nella pratica). Infatti, la rivalsa dell’I.V.A. nei confronti del cliente non è obbligatoria: pertanto se, come usualmente accade, non viene chiesto al destinatario dell’omaggio il pagamento dell’imposta, occorrerà emettere fattura nella quale indicare che non si intende esercitare la rivalsa d’I.V.A. Oppure, in caso di assenza di rivalsa dell’imposta, in alternativa alla fattura sarà possibile adottare una delle seguenti procedure, così come disciplinato dalla circolare n. 32501388 dell’aprile 1993:

a)      autofattura in unico esemplare per ciascuna cessione, nella quale dovrà essere esposto che si tratta di “autofattura per omaggi”. Questo documento dovrà essere numerato secondo il progressivo delle fatture di vendita ed essere annotato nel registro delle fatture emesse; ed il relativo ammontare imponibile concorrerà alla determinazione dei volumi I.V.A.;

b)      in alternativa, procedere con annotazione su un apposito registro degli omaggi dell’ammontare globale del valore normale delle cessioni gratuite effettuate in ciascun giorno e della relativa imposta distinta per aliquota. Anche in questo caso l’imposta dovrà confluire normalmente nelle liquidazioni periodiche.

 

Anche in questa situazioni (omaggi di beni di propria produzione), qualora si voglia ricorrere all’emissione di ddt, lo stesso dovrà indicare natura, qualità e quantità dei beni ceduti a titolo di omaggio.

 

Infine, per completezza sull’argomento trattato facciamo presente che, nel caso in cui si ricada nell’ipotesi degli omaggi, si dovranno considerare anche le ripercussioni che i beni ceduti a tal titolo avranno nel conteggio della base imponibile delle imposte dirette (sul punto disciplina IRES degli omaggi).

Call center dell’Agenzia delle Entrate. Dal 1° agosto arrivano i numeri verdi gratuiti

I recapiti telefonici di assistenza dell’Agenzia delle Entrate cambiano e diventano gratuiti. Dal prossimo 1° agosto, per avere informazioni e assistenza i contribuenti potranno rivolgersi senza costi ai seguenti numeri:

  • 800.90.96.96 per informazioni su questioni fiscali generali, sui rimborsi, sulle cartelle e sulle comunicazioni di irregolarità e per prenotare un appuntamento;
  • 800.89.41.41 per ricevere assistenza sugli avvisi di accertamento parziale (articolo 41-bis) notificati ai proprietari di immobili affittati, per i quali sono state rilevate incongruità rispetto ai redditi dichiarati, e per informazioni sulle restanti lavorazioni gestite dal Centro Operativo di Pescara.

La chiamata diventa gratuita

 Oltre alla numerazione, cambia anche il costo della chiamata: dal primo agosto, infatti, per i nuovi numeri verdi il costo del traffico telefonico sarà interamente a carico dell’Agenzia, come conseguenza della legge annuale per il mercato e la concorrenza n. 124/2017. I contribuenti non dovranno, quindi, sostenere alcun costo per ricevere assistenza fiscale.

Un periodo di transizione per facilitare il passaggio alla nuova numerazione

La precedente numerazione, con tariffa urbana a tempo, resterà attiva fino alla fine dell’anno. Per favorire il passaggio alla nuova numerazione, infatti, fino al 31 dicembre 2018 saranno operativi sia i “numeri con addebito” che i nuovi “numeri verdi”. Qualora l’utente digiti i recapiti telefonici precedentemente in uso (848.800.444 e 848.448.833), un messaggio vocale indicherà al chiamante la nuova numerazione, specificando che potrà scegliere di richiamare usando il numero verde, senza sostenere quindi alcun costo telefonico, oppure di rimanere in linea. In quest’ultimo caso usufruirà del servizio di assistenza con addebito del costo della telefonata a tariffa urbana a tempo.

Molte informazioni già online

 Per le questioni più comuni o di carattere generale è possibile consultare in qualsiasi momento il sito internet delle Entrate www.agenziaentrate.gov.it(Così, comunicato stampa Agenzia delle entrate del 30 luglio 2018)

Attività marginale e poco redditizia: irrilevante lo ‘studio di settore’

Fisco sconfitto grazie alla “artigianalità” dell’opera svolta dal contribuente, ossia “preparare carabine e munizioni” per i pochi italiani appassionati del cosiddetto ‘tiro di precisione’.
Irrilevante, di conseguenza, “lo scostamento del suo reddito dagli studi di settore”, ossia quelli applicati al settore ‘Fabbricazione d’armi’.
Convincente la linea difensiva del contribuente, il quale ha spiegato che “l’attività ha redditività marginale assai limitata, cui egli supplisce con redditi dominicali” e ha aggiunto che “in quanto consistente nella preparazione, elaborazione, personalizzazione di armi da fuoco, l’attività è comunque soggetta al Testo Unico della Leggi di Pubblica Sicurezza in ordine alla presa in consegna, detenzione, custodia e restituzione dell’arma e delle munizioni, con le conseguenti rigorose formalità in termini di registrazione e comunicazione alle superiori autorità, con tenute di registri soggetti ad ispezioni che rendono assai più difficile l’occultamento di reddito o di parte dell’attività svolta”.

Mancato versamento delle ritenute: la pena pecuniaria sostituisce quella detentiva

Reclusione evitata per l’imprenditore che omette di versare le ritenute previdenziali a causa della crisi. A stabilirlo la sezione penale della Corte di Cassazione che, richiamando precedente giurisprudenza delle Sezioni Unite, ha ribadito come “la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria è consentita anche in relazione a condanna inflitta a persona in condizioni economiche disagiate, in quanto la prognosi di inadempimento, ostativa alla sostituzione in forza della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 58, comma 2, si riferisce soltanto alle pene sostitutive di quella detentiva accompagnate da prescrizioni, ossia alla semidetenzione e alla libertà controllata, e non alla pena pecuniaria sostitutiva, che non prevede alcuna particolare prescrizione”. Errata quindi l’interpretazione fornita dalla Corte di Appello di Brescia in quanto ha motivato il diniego della sostituzione in base alle difficoltà economiche dell’imputato.

Giuseppe Catapano scrive: Corte dei Conti, aumento tasse locali dovuto allo Stato centrale

Aumentano le tasse locali, ma ciò è dovuto a scelte del governo centrale, “piuttosto che espressione dell’autonomia impositiva degli enti decentrati”. La Corte dei Conti evidenzia inoltre che tra il 1995 e il 2014 la quota delle entrate derivanti dalle amministrazioni locali sul totale della Pubblica Amministrazione è quasi raddoppiata passando dall’11,4% al 21,9%, ribadendo che “ciò è stato il frutto di scelte operate a livello di governo centrale”.
Lo rileva il Rapporto 2015 della Corte dei Conti sul coordinamento della finanza pubblica, nel quale sono forniti al Parlamento e al Governo una valutazione della nostra finanza pubblica. Vengono anche analizzati gli andamenti macroeconomici e le prospettive della finanza pubblica.
“Il rapporto fra la spesa dei Governi locali e il totale della spesa pubblica del periodo 2001-2014 è rimasto sostanzialmente costante, in Italia come pure in Germania. Solo in Francia, ove si registrava un livello di “centralismo” di partenza decisamente più elevato, il peso della spesa pubblica locale si è lievemente accresciuto”.
Si sostiene anche che “un duraturo controllo sulle dinamiche di spesa può ormai difficilmente prescindere da una riscrittura del patto sociale che lega i cittadini all’azione di governo e che abbia al proprio centro una riorganizzazione dei servizi di welfare”.
Così come indicato anche nel Def, “le condizioni di sostenibilità di lungo periodo della finanza pubblica – sottolinea la Corte dei Conti – richiedono uno scenario macroeconomico ambizioso”, con interventi profondi capaci di rialzare le dinamiche produttive. In questo programma di riforme strutturali bisogna anche “restituire capacità di spesa a famiglie e imprese. Una direzione intrapresa nel 2014, con la riduzione del cuneo fiscale sul costo del lavoro e con un bonus erogato alle famiglie”.
Il blocco della dinamica retributiva e “la consistente flessione” del numero dei dipendenti della P.a. hanno portato nei quattro anni 2011-2014 ad una diminuzione complessiva della spesa di personale di circa il 5%, pari a 8,7 miliardi.
Mentre il riordino delle Province deve sciogliere ancora il nodo dei dipendenti. “L’assorbimento dei soprannumerari delle Province rischia di rendere più difficile l’operazione di riordino”. Si tratta questa di “un’operazione impegnativa che impatta su un quadro disomogeneo e frammentato”, che evidenzia criticità strutturali, in parte acuite dai recenti interventi di contenimento della spesa pubblica.
Quella della distribuzione del personale delle Province tra Regioni e Comuni, spiega la Corte, è una operazione che pesa “sia sotto i profili del dimensionamento organizzativo dei diversi enti, sia sotto quello dell’esistenza di non sempre giustificate differenze nel trattamento economico”.

Catapano Giuseppe: Il fisco arriva a pesare fino all’80% sulle società

Imprese italiane asfissiate dal fisco. La tassazione sulle medie aziende «continua a essere punitiva». Il livello impositivo nel 2013 è stato del 38,1%, con punte dell’80% in alcuni casi limite. Senza l’Irap la pressione fiscale scenderebbe di oltre 11 punti percentuali al 26,4%, in linea cioè con quello delle medie imprese europee. Qualche spiraglio è stato aperto dalla legge n. 190/2014, che ha reso integralmente deducibile il costo del lavoro ai fini Irap: la misura dovrebbe portare il tax rate complessivo al 33% nel 2015, pur lasciando picchi di imposizione intorno al 60%. È quanto emerge dall’indagine annuale sulle medie imprese industriali italiane, realizzata da Mediobanca e Unioncamere, presentata ieri a Milano. Il rapporto è basato sulla rilevazione di 3.212 aziende manifatturiere, che assicurano il 16% del valore aggiunto del settore e il 17% delle esportazione nazionali. Pur in un contesto di generale miglioramento, il capitolo fiscale continua a restare un peso significativo. Anche se la manovra sull’Irap adottata dal governo con la legge di stabilità 2015 lascia aperte buone prospettive. «Il costo del lavoro pesa nelle medie imprese per circa il 66% del valore aggiunto», evidenzia lo studio, «si stima che la riforma fiscale possa abbattere il tax rate dal 38,1% al 33%. Per il panel considerato si tratta di un calo di circa 460 milioni di euro di minori imposte su base annua, cioè 1,4 miliardi nel triennio 2015-2017». Un risparmio fiscale che, sottolinea il rapporto, potrebbe valere 11.450 posti di lavoro in più (+2%), oppure maggiori investimenti (+7%) o ancora un rafforzamento della struttura patrimoniale delle società (+9%). L’indagine rileva pure che il carico tributario complessivamente gravante sulle medie imprese (38% nel 2013) è di 12 punti percentuali superiore a quello che emerge dai bilanci dei grandi gruppi.

Catapano Giuseppe informa: Rivalutazione terreni – valore periziato valido anche se asseverato dopo il rogito

Con la Risoluzione n. 53/E del 27 maggio 2015, l’Agenzia delle Entrate è tornata ad affrontare il tema della rivalutazione dei terreni. L’art. 7 della Legge n. 448/2001, nell’introdurre la possibilità di rideterminazione dei valori di acquisto dei terreni edificabili, ha espressamente previsto che, ai fini della determinazione delle plusvalenze e minusvalenze, per i terreni edificabili e con destinazione agricola posseduti ad una determinata data, può essere assunto, in luogo del costo o valore di acquisto, il valore a tale data determinato sulla base di una perizia giurata di stima “a condizione che il predetto valore sia assoggettato ad una imposta sostitutiva delle imposte sui redditi”.

La prassi attualmente prevede che il contribuente che indichi direttamente nell’atto di cessione del terreno un valore inferiore a quello di perizia si espone ad una rettifica da parte del Fisco, che procederà alla determinazione della plusvalenza secondo le regole ordinarie di calcolo ai sensi dell’articolo 68 del Tuir, fondate sulla differenza tra corrispettivo percepito e prezzo di acquisto. Con la Risoluzione n. 53/E/2015, tuttavia, l’Amministrazione riconosce che tale rettifica non può scattare nei casi in cui, pur non facendosi menzione nell’atto della intervenuta rideterminazione, lo scostamento del valore indicato nel medesimo atto rispetto a quello rideterminato dalla perizia, sia “poco significativo”e, quindi, per il calcolo della plusvalenza ai fini delle imposte dirette, si potrà fare comunque riferimento al valore rivalutato che costituisce il “valore minimo di riferimento”.

Catapano Giuseppe informa: Pensioni rimborsi. Domande e risposte: ricalcoli, tasse, eredi, ricorsi

Per il recupero sugli assegni pensionistici tagliati dal blocco delle rivalutazioni non serve fare ricorso. La sentenza della Corte Costituzionale è subito efficace e cancella gli anni precedenti. Sono tante le domande cui i 5,5 milioni pensionati coinvolti (quelli intorno o sopra i 1500 euro lordi) vorrebbero dare una risposta: dal ricalcolo delle prestazioni alla tassazione da applicare.
L’effetto cascata impone il ricalcolo per il periodo 2012 2015
Gli arretrati che verranno riconosciuti ai pensionati titolari di assegni superiori a tre volte il minimo riguarderanno solo il 2012 e il 2013? L’Inps dovrà provvedere all’erogazione di importi differenziali di trattamento, in modo da ripristinare l’adeguatezza delle prestazioni pensionistiche. Tuttavia l’adeguamento o “riadeguamento” all’incremento del costo della vita dei trattamenti pensionistici illegittimamente compressi, e quindi la rideterminazione delle quote di pensione da corrispondere ai titolari delle pensioni interessate dal blocco poi dichiarato illegittimo riguarda non solo il 2012 e il 2013 ma anche gli anni successivi, stante l’effetto “a cascata” prodotto dallo stop biennale.
In passato gli importi sono stati restituiti in più anni
È vero che la restituzione potrebbe avvenire in tempi lunghi, anche nell’arco di più di un anno? Il riferimento più immediato a questo riguardo è costituito dal contributo di solidarietà introdotto dal decreto legge 98/2011 per il periodo agosto 2011-dicembre 2014 e poi bocciato dalla Corte costituzionale con la sentenza 116 di giugno 2013. A fronte di tale decisione, l’Inps comunicò a luglio, con il messaggio 11243/2013 che da tale mese o da agosto (in base alla gestione di riferimento) sarebbero stati adeguati gli importi della pensione e sarebbe stato restituito in un’unica soluzione quanto trattenuto nell’arco dello stesso 2013. Il rimborso del periodo agosto-dicembre 2011, invece, avvenne nel mese di febbraio 2014, dopo che la legge di stabilità 2014 aveva individuato le risorse necessarie. Infine, gli importi del prelievo di solidarietà relativi al 2012 sono stati restituiti nel mese di febbraio 2015. Dunque in quella occasione i pensionati hanno ricevuto il rimborso in tre tranche e con un posticipo fino a due anni.
Tassazione ordinaria o separata in base all’anno di riferimento.
Come saranno tassati gli arretrati derivanti dalla sentenza della Corte costituzionale 70/2015? In base all’articolo 17, comma 1, lettera b della legge 917/1986 (Testo unico delle imposte sui redditi) gli emolumenti arretrati (anche se si tratta di pensioni) riferibili ad anni precedenti e percepiti per effetto di sentenze sono soggetti all’imposta separata. Quindi si ritiene che gli eventuali arretrati che saranno corrisposti ai pensionati, per effetto del riconoscimento dell’adeguamento all’inflazione ora per allora, saranno assoggettati a tassazione separata. Infatti non è dipeso dalla volontà delle parti bensì da una sentenza. Ciò porterà un vantaggio fiscale in capo ai pensionati che percepiscono importi più elevati, poiché pagheranno l’aliquota media (in luogo dell’aliquota marginale) e non subiranno il prelievo a titolo di addizionale regionale e comunale. Invece le somme di competenza dello stesso anno in cui sono rimborsate saranno assoggettate alla tassazione ordinaria. Quindi, per esempio, se tutti gli importi dovessero essere restituiti quest’anno, quelli relativi al 2015 saranno assoggettati alla tassazione ordinaria e quelli del 2012-2014 alla tassazione separata. La stessa situazione in effetti si è verificata in occasione della restituzione del contributo di solidarietà per gli anni 2011-2013. Alla tranche del 2013 restituita quell’anno è stata applicata la tassazione ordinaria. Alle tranche relative al 2011 e al 2012, rimborsate rispettivamente nel 2011 e nel 2015 si è applicata la tassazione separata.
Gli eredi legittimi potranno riscuotere i ratei maturati
Se il pensionato avente diritto all’arretrato è deceduto, chi riscuoterà l’assegno? Al pari di quanto accade per i ratei di tredicesima non riscossi dal pensionato defunto, gli eredi legittimi potranno riscuotere i ratei maturati per effetto dell’adeguamento all’inflazione con obbligo di presentazione della dichiarazione di successione (circolare dell’agenzia delle Entrate 53/E del 18 febbraio 2008).
L’adeguamento all’inflazione può essere intero o per fasce.
In seguito alla sentenza della Corte costituzionale ho letto due diverse modalità di riconoscimento della perequazione: la prima orizzontale e la seconda verticale. Quali sono le differenze? Il meccanismo di perequazione vigente fino al 31 dicembre 2011 e che è stato applicato l’ultima volta con i ratei pensionistici ricalcolati al 1° gennaio 2011, prevedeva un adeguamento all’inflazione sulla base delle disposizioni della legge 388/2000 (articolo 69). In particolare la norma stabiliva un riconoscimento dell’inflazione nella misura del 100% per le fasce di importo fino a tre volte il trattamento minimo, 90% per le fasce di importo tra tre e cinque volte il trattamento minimo e del 75% per le fasce di importo superiori. A titolo esemplificativo, il titolare di una pensione pari a sei volte il trattamento minimo si vedeva riconoscere una adeguamento pieno per l’importo fino a tre volte il trattamento minimo e via via a diminuire per le fasce di importo superiori.
La perequazione quindi avveniva con un sistema a scaglioni, in modo analogo a quanto viene praticato in ambito fiscale con l’Irpef. Tale meccanismo risultava più generoso rispetto a quello introdotto successivamente dalla riforma Monti-Fornero. Infatti nel biennio 2012-2013, l’adeguamento pieno è stato riconosciuto solo per gli importi fino a tre volte il trattamento minimo mentre quelli di importo superiore hanno subito una cristallizzazione dell’importo. Nel 2014 e 2015, le leggi di stabilità hanno previsto un riconoscimento cosiddetto “verticale” cioè in funzione dell’importo pensionistico. La perequazione pertanto è stata praticata sull’intero valore nella misura prevista per il trattamento pensionistico complessivo. Sempre a titolo di esempio, a fronte di un’assegno superiore a sei volte il trattamento minimo, nel 2015 l’adeguamento all’inflazione è stato pari al 45%, per tutto il valore della pensione. Se l’assegno fosse stato compreso tra 4 e 5 volte il minimo, l’adeguamento sarebbe stato del 75%, sempre su tutto il valore.