Giuseppe Catapano scrive: Deduzioni e detrazioni fiscali, la mappa completa

Quante deduzioni e detrazioni fiscali spesso non vengono presentate al fisco, un po’ per dimenticanza, un po’ per noncuranza? Eppure costituisce un nostro diritto che può dare, spesso, notevoli vantaggi economici. Molte famiglie compiono quotidianamente delle spese che, però, poi trascurano di ricordare al momento della compilazione della dichiarazione dei redditi o, addirittura, per le quali, al momento in cui vengono sostenute, non viene richiesta la relativa attestazione come la fattura. Si va dai mutui per l’acquisto dell’abitazione principale, alle polizze vita, dalle spese mediche alle tasse scolastiche, dalle spese funebri ai contributi previdenziali dalla beneficienza alla ristrutturazione della casa, agli investimenti per il risparmio energetico. Cerchiamo allora di fare una mappatura completa dei bonus fiscali previsti dalla nostra attuale legge. Differenza tra deduzioni e detrazioni Il primo passo da compiere è stabilire la differenza tra deduzioni e detrazioni fiscali. Le deduzioni fiscali si scorporano dal reddito imponibile sul quale, solo in un momento successivo, si applicano le aliquote progressive Irpef. In pratica l’onere consente di sottrarre a tassazione una fetta di reddito pari alla stessa spesa sostenuta. Così, per esempio, se un dipendente guadagna un reddito di 38.400 euro all’anno e compie una spesa deducibile fiscalmente di 3.200 euro (per esempio, versamento al fondo pensione di categoria), il reddito che dovrà dichiarare al fisco, e sul quale verrà applicata l’aliquota (la percentuale) dell’Irpef non è più di 38.400 ma di 35.200 (ossia 38.400 sottratto 3.200 di spesa deducibile). Peraltro, poiché l’Irpef è un’imposta progressiva, tante più deduzioni si possono ottenere, tanto più possibilità ci sono di far scendere di scaglione l’aliquota da applicare. Le detrazioni fiscali invece sono meno convenienti della detrazioni. In questo caso, la somma che il fisco ritiene detraibile non viene sottratta dal reddito (sul quale applicare poi l’Irpef), ma sull’imposta che andiamo a pagare (quindi dopo aver già applicato l’Irpef e, quindi, sul risultato ottenuto). L’ammontare del reddito denunciato è quindi ininfluente. Per esempio, chi spende 1.940 euro di interessi per un mutuo, può avere una detrazione di 369 euro (il 19% di 1.940) che si va a sottrarre sull’importo di tasse da pagare materialmente al fisco. Per cui se tale contribuente deve pagare, a titolo di tasse sui redditi, 1.000 euro, ne pagherà invece 631 (1.000 sottratto 631). Tutte le deduzioni e le detrazioni fiscali Ecco una mappa sintetica per ogni deduzione e detrazione fiscale prevista dalla legge. Questo schema servirà anche a distinguere, a colpo sicuro, gli oneri detraibili da quelli deducibili. Le regole si riferiscono alla dichiarazione dei redditi del 2015.

Catapano Giuseppe: Divorzio, niente mantenimento se la donna può lavorare

Obbligo di mantenimento: continua a far discutere i tribunali la misura dell’assegno che l’uomo deve versare all’ex moglie allo scioglimento del matrimonio, specie se entrambi guadagnano poco o, addirittura, non hanno di che vivere. L’ipotesi analizzata dalla Cassazione, in una recente sentenza, è purtroppo tipica di questi tempi: lei e lui sono disoccupati, solo che l’uomo ha perso il lavoro a seguito di licenziamento, mentre lei, che è stata casalinga durante il matrimonio, non ne vuol sapere di andare a lavorare e vorrebbe continuare a essere mantenuta. Chi la spunta?

La casalinga non ottiene l’assegno di mantenimento (o, in caso di divorzio, il cosiddetto assegno divorzile). E questo solo quando ha ancora la capacità lavorativa e magari svolge pure qualche attività saltuaria. Insomma, ciascuno dei due deve badare a sé stesso e non c’è modo di obbligare l’uomo a mantenere la donna se quest’ultima è ancora giovane e ha le risorse fisiche e mentali per guadagnare qualcosa.

Finisce l’era della donna sempre a carico?

In verità, in questi casi, a prevalere è sempre l’analisi del confronto tra i due tenori di vita condotti dai coniugi prima e dopo lo scioglimento del matrimonio. Perché, se a seguito della separazione o del divorzio, le condizioni si equivalgono e non c’è modo di stabilire se l’uno “stia meglio” dell’altro, allora si annullano anche gli obblighi di versamento dell’assegno di mantenimento. Insomma la partita finisce in “pareggio”.

Se prima della separazione la donna si occupava del ménage familiare, badando alla casa e alle faccende domestiche, mentre il marito lavorava, non può dopo lamentarsi di non poter procurarsi i mezzi per tenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio se ha ancora una capacità produttiva legata all’età o alla preparazione/specializzazione. E non può di certo gravare sulle spalle dell’uomo che è senza lavoro.

E allora sul piatto della bilancia le due posizioni si equivalgono: due disoccupati, ma lui involontariamente e lei per scelta, nonostante sia ancora in età di produrre reddito. Questo fatto non passa inosservato alla Cassazione che rigetta ogni richiesta di mantenimento avanzata dalla donna.