Lo scontrino fiscale rilasciato dal negoziante è il mezzo più specifico e dettagliato per provare l’acquisto di beni di consumo da parte dell’acquirente, soprattutto se il documento descrive quel tipo di articoli e il relativo prezzo corrisponde al valore del bene. Lo ha detto la Cassazione in una recente ordinanza. Non tutti i contratti devono necessariamente essere scritti. La gran parte delle vendite di beni al consumo avviene con accordi verbali che non per questo non devono considerarsi veri e propri contratti. Il documento scritto viene redatto solo qualora vi possano essere specifiche esigenze di prova dell’avvenuto scambio del bene contro il prezzo: è, insomma, predisposto solo per esigenze di garanzia, ma non è necessario. Che succede, allora, se tutto viene lasciato alla stretta di mano e non vi è un documento che dimostri l’avvenuta compravendita? Il consumatore ha una prova “regina” del contratto: si tratta dello scontrino fiscale. Specie se quest’ultimo è particolarmente dettagliato, perché contiene l’indicazione dell’oggetto acquistato, esso può valere come dimostrazione – in caso di future contestazioni – della stipula di un contratto di compravendita. Lo scontrino, peraltro, evidenzia due aspetti fondamentali del rapporto giuridico insorto tra il commerciante e il consumatore: la data dell’operazione e il prezzo. Mettiamo che un soggetto abbia acquistato un televisore e, come di norma avviene in questi casi, non abbia firmato alcun contratto scritto. Qualora, riscontrando un difetto di funzionamento, ne chieda la restituzione, la sua “carta vincente” per dimostrare la vendita sarà, innanzitutto, lo scontrino. Così, se il titolare del negozio neghi che l’oggetto sia stato acquistato presso il proprio punto vendita, tale documento fiscale varrà come prova. A fronte dell’acquisto al dettaglio di beni di consumo, acquisto che di norma avviene verbalmente e attraverso il semplice scambio della cosa e del denaro, non si può esigere dall’acquirente – scrive la Corte – prova più specifica e dettagliata dello scontrino fiscale rilasciato dal negoziante: documento che è da ritenere idoneo a fornire la prova richiesta, soprattutto se il documento rilasciato dal negozio tratti quel tipo di articoli e se il relativo prezzo corrisponda al valore del bene. Non è vero, allora – come qualche rivenditore vorrebbe far credere – che lo scontrino dimostri solo il prezzo pagato, ma non il fatto che l’oggetto sia stato acquistato presso un determinato emporio. Altrimenti si finirebbe per gravare l’acquirente-consumatore di una prova particolarmente onerosa, se non impossibile. Insomma, se il prezzo corrisponde al valore del bene che si assume essere stato acquistato e la marca del prodotto (nell’esempio di prima, il televisore) rientri tra quelle commercializzate in quel negozio, lo scontrino è un mezzo di prova più che sufficiente. Spetta allora al negoziante l’eventuale prova contraria (ossia dimostrare la non corrispondenza dello scontrino ad un effettivo acquisto avvenuto in quella data e con quell’oggetto, producendo la documentazione in suo possesso circa i movimenti di magazzino, le registrazioni di cassa, la documentazione fiscale, ecc.). Ciò non toglie che, in caso di smarrimento dello scontrino, si possa dimostrare l’esistenza di un contratto anche in altri modi come, per esempio, con testimoni. A riguardo, il codice civile esclude l’ammissibilità della prova testimoniale di quei contratti che hanno un valore superiore a 2,58 euro; tuttavia è potere del giudice di consentire ugualmente la prova per testimoni oltre tale limite, in base alle circostanze del caso concreto, come la qualità delle parti, la natura del contratto e in base a ogni altra circostanza.
prezzi
Catapano Giuseppe: Eurodisney, prezzi più alti per italiani o tedeschi. Ma anche Zalando, Asos…
A Disneyland Parigi due per una famiglia con bambini costano 865 euro se sei francese o belga, 1.114 euro se sei spagnolo, 1.204 se sei romeno e 1.339 se sei italiano. Prezzi per la stessa identica camera. Nello stesso giorno. Prezzi che variano solo ed esclusivamente in base alla nazionalità di chi prenota. Con italiani, tedeschi e spagnoli penalizzati rispetto a francesi e belgi.
Ad accorgersi del tutto e a denunciarlo è stato un europarlamentare. Uno di quelli la cui nazionalità è favorita, il socialista belga Marc Tarabella. Il punto è che differenziare la tariffa in base alla nazionalità è discriminatorio e illegale. Disneyland, spiega su Repubblica Paolo Brera nel riportare la notizia, per ora si rifiuta di commentare.
Che sia discriminazione e comunque comportamento non legale lo dimostra una direttiva europea del 2006 che all’articolo 95 recita: “L’accesso a un servizio non può essere negato o reso più difficile in base alla nazionalità o al luogo di residenza” Non solo, sempre secondo la direttiva in questione “tariffe e condizioni variabili debbano essere direttamente giustificate da costi supplementari”.
E’ evidente che qualcosa a Eurodisney non torna. Il punto è che non è un caso isolato. Perché l’online, da questo punto di vista è una giungla. Uno compra una maglietta e la paga in base all’indirizzo da cui proviene l’ordine. Tra i marchi finiti sotto accusa da Tabarella ce ne sono alcuni di rilievo:
Siti di abbigliamento online come «Zalando, La Redoute, Asos e altri permettono di acquistare capi a prezzi diversi da un paese all’altro», ma rendono «impossibile acquistare nei Paesi europei in cui è più economico». Nelle boutique in calce e mattoni, due negozi della stessa catena possono vendere lo stesso prodotto a prezzi differenti, ma non possono certo impedire a un cliente di comprare in quello più economico. Online, invece, le frontiere sono intatte e i doganieri inflessibili: per la spedizione, «Zalando ti chiede il codice di avviamento postale» e ti rimanda al sito del paese in cui ti trovi.