Prescrizione dell’azione di ripetizione del pagamento eseguito a seguito di pignoramento presso terzi dopo il fallimento del debitore

Cassazione civile, sez. I, 11 Gennaio 2022, n. 621. Pres. Genovese. Est. Mercolino.

In tema di ripetizione dell’indebito, il soggetto pignorato che, in sede di espropriazione presso terzi, e dopo la dichiarazione di fallimento del debitore esecutato, in qualità di “debitor debitoris”, versi al creditore pignorante le somme a lui assegnate, ha diritto a ottenere da quest’ultimo la restituzione di quanto corrisposto, ma il termine di prescrizione della relativa azione decorre dalla data del pagamento, e non dal passaggio in giudicato della sentenza che, su domanda del curatore, pronunci l’inefficacia ex art. 44 l.fall. del pagamento stesso, avendo quest’ultima natura meramente dichiarativa. (massima ufficiale)

Quando il curatore subentra nella procedura esecutiva il creditore pignorante ha diritto ad un trattamento di favore?

Tribunale Patti, 26 Gennaio 2021. Pres. Samperi. Est. La Porta.

Il creditore pignorante è equiparato, quanto al corso degli interessi nel fallimento, a tutti gli altri creditori e ciò se il curatore subentra nella procedura esecutiva da lui promossa.

La ratio dell’art.54 l.f., che equipara la sentenza dichiarativa del fallimento al pignoramento è, infatti, proprio quella di porre tutti i creditori nella medesima condizione, con decorrenza dal fallimento degli effetti di cui agli artt. 2749, 2788 e 2855, c.c.. (Franco Benassi)

Quando è pignorabile la Prima casa

In caso di pignoramentoimmobiliare esistono alcune regole che vincolano l’azione dell’ente di riscossione, tra questi è vietato il pignoramento sulla prima casa, a patto che si tratti dell’unica casa del debitore.

In sostanza perché valga il principio della impignorabilità della prima casa è necessario che il debitore non sia in possesso di alcun altro immobile, indipendentemente dall’uso, dalla destinazione e dall’accatastamento.

Se si possiede anche una minima quota di un altro immobile, la “prima casa” diventa pignorabile. Questo significa che nel caso in esame, il possesso di un secondo immobile, rende pignorabile tanto la prima casa quanto l’altra.

Per completezza ricordiamo che in merito al DLgs 158/2015, è stato riformato il sistema sanzionatorio penale e amministrativo. Ai fini del ravvedimento operoso IMU, TASI e TARI, il decreto ha previsto (articolo 15, comma 1, lettera o) la riscrittura dell’Art. 13 del DLgs 471/1997, che stabilisce la sanzione da applicare per omessi o parziali versamenti in misura pari al 30% con riduzione a metà per versamenti effettuati nei primi 90 giorni dopo la scadenza afferma che:

“1. Chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione, detratto in questi casi l’ammontare dei versamenti periodici e in acconto, ancorché non effettuati, è soggetto a sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato, anche quando, in seguito alla correzione di errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile. Per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a novanta giorni, la sanzione di cui al primo periodo è ridotta alla metà. Salva l’applicazione dell’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a quindici giorni, la sanzione di cui al secondo periodo è ulteriormente ridotta a un importo pari a un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo.”                                                                                                                     Il creditore quindi, prima si deve rivolgere al Giudice competente, firmare il decreto ingiuntivo e far notificare il cosiddetto atto di precetto (è una comunicazione ufficiale di preavviso di esecuzione immobiliare, nel quale si avvisa a pagare quanto dovuto e le modalità per farlo così da interrompere la procedura espropriativa) presso il domicilio del debitore, con il quale lo intima di saldare il debito entro 10 giorni. Se il debitore, dopo aver ricevuto l’atto di precetto continua a non pagare, dopo 45 giorni il creditore può richiedere il pignoramento dei beni immobili posseduti dal debitore per la somma che serve a coprire il debito, con la vendita all’asta del bene immobile.

Giuseppe Catapano scrive: Trasferire la residenza, Equitalia non pignora più la casa

Il decreto del Fare ha stabilito l’impignorabilità dell’unica casa di residenza del debitore; in particolare, Equitalia non può procedere all’espropriazione se l’immobile: – è l’unico di proprietà del contribuente; – se è adibito ad uso abitativo (esclusi, quindi, gli studi e gli usi aziendali); – costituisce la residenza anagrafica del debitore; – non si tratta di abitazione di lusso: non deve cioè rientrare nelle categorie catastali A/8 e A/9. Pertanto, il contribuente che, titolare di due immobili e vendendone uno, vada a vivere nell’altro (che resta, quindi, l’unico di proprietà) e vi fissi la residenza, non potrà subire il pignoramento di Equitalia (non si deve comunque trattare di immobile di lusso). Equitalia resta, però, libera di iscrivere ipoteca su tale casa (la soglia minima di debito per poter iscrivere ipoteca per crediti esattoriali è di 20mila euro). Inoltre, nulla toglie che eventuali altri creditori (per esempio, una banca) possano comunque mettere in vendita, con un’esecuzione forzata, la prima casa di proprietà. In tal caso, Equitalia concorrerà normalmente alla ripartizione del ricavato. In buona sostanza, la nuova norma ha posto ad Equitalia unicamente il divieto di iniziare procedure di esecuzione forzata sull’unica casa, ferma restando la possibilità di iscrivere ipoteca e di partecipare all’esecuzione forzata avviata da altri creditori. In ogni caso, non si ravvisa né la necessità, né l’opportunità di procedere a vendita della seconda casa. E questo per due ragioni. In ordine alla necessità: Equitalia può mettere all’asta gli immobili di proprietà del contribuente a condizione che il proprio credito sia di almeno 120mila euro. Sintetizzando, se per l’iscrizione di ipoteca il credito minimo fatto valere da Equitalia è pari a 20mila euro, per procedere poi alla materiale espropriazione ed esecuzione forzata (solo in presenza di più immobili) è necessario che l’ammontare delle cartelle esattoriali non pagate raggiunga la soglia delle fatidiche 120mila euro. Nel caso di specie, invece, il lettore parla di un debito di 100mila euro. Ragion per cui esso, seppur non al riparo dall’ipoteca (non lo sarebbe neanche se fosse l’unico immobile), è al riparto dalla vendita all’asta. In ordine alla opportunità: In caso di vendita della casa, Equitalia può sempre esercitare l’azione revocatoria (nei 5 anni successivi all’atto di vendita) quando dimostri (circostanza abbastanza agevole) che la cessione è avvenuta per frodare le ragioni del creditore. È sufficiente dimostrare che il contribuente non abbia altri beni “facilmente” aggredibili come quello alienato, per poter rendere inefficace l’atto di compravendita e consentire a Equitalia di aggredire detto immobile. Col risultato che il contribuente dovrà restituire i soldi ottenuti dall’acquirente del bene e perderà anche l’immobile. Le cose non cambiano in caso di donazione dell’immobile medesimo (anzi, in tal caso, l’onere della prova per Equitalia è anche più agevole). Senza contare il rischio che, da una manovra così congeniata, qualcuno possa intravedere l’ipotesi di reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. In tal caso, scattando un procedimento penale, per il contribuente i problemi potrebbero essere più gravi della perdita di una casa.

Catapano giuseppe informa: Pignoramento con modalità telematiche

Esecuzioni forzate. Buone notizie per i creditori insoddisfatti. Aumenta il numero di tribunali che consentono di consultare immediatamente, per via telematica, le banche dati della pubblica amministrazione (come l’anagrafe tributaria, l’anagrafe dei conti correnti, PRA, ecc.) al fine di individuare i beni del debitore da sottoporre a pignoramento. E ciò anche se la norma che ha previsto tale novità – inserita nell’ultima riforma del processo civile – richiede l’approvazione di specifici decreti attuativi che tuttavia ancora non esistono.

Oltre al Tribunale di Mantova e Novara, c’è anche Napoli e Taranto. In verità, se a Napoli l’orientamento era già stato battezzato alcuni mesi fa, ora viene ribadito con un ulteriore provvedimento, a conferma dell’unità di interpretazione del foro partenopeo. Anche a Taranto, il presidente del Tribunale ha autorizzato direttamente l’ufficiale giudiziario, su richiesta del creditore, ad accedere mediante collegamento telematico diretto ai dati contenuti nelle banche dati delle pubbliche amministrazioni o alle quali le stesse possono accedere e, in particolare, nell’anagrafe tributaria, compreso l’archivio dei rapporti finanziari, nel pubblico registro automobilistico (PRA) e in quelle degli enti previdenziali (Inps, su tutti), per l’acquisizione di tutte le informazioni rilevanti per l’individuazione di cose e crediti da sottoporre ad esecuzione, comprese quelle relative ai rapporti intrattenuti dal debitore con istituti di credito e datori di lavoro o committenti. Detto in parole povere, nonostante sul punto si registri un contrasto giurisprudenziale (non tutti i tribunali sono sulla stessa linea di pensiero), stando a questo orientamento il creditore avrà gioco facile nella ricerca dei beni del debitore da pignorare (sempre che ve ne siano). Senza, infatti, bisogno di attendere i provvedimenti di attuazione del Governo – che chissà quanto tempo ancora richiedono – da subito il creditore potrà ricercare i beni del debitore tramite il computer dell’ufficiale giudiziario. Chi ha perso una causa ed è stato condannato con una sentenza, ha emesso assegni a vuoto, non ha pagato un decreto ingiuntivo ricevuto, ecc. non potrà più nascondere né l’automobile, né eventuali pensioni, né soprattutto conti in banca. Il pignoramento di quest’ultimo è, di norma, il più “convincente”: a nessuno piace vedersi bloccati i risparmi provenienti dallo stipendio o dalla pensione. Senonché se fino a ieri il creditore doveva utilizzare difficoltosi mezzi di intelligence per scoprire la banca di appoggio del debitore, oggi questo dato si potrà ottenere in un batter d’occhi attraverso la consultazione di quella banca dati che tutti gli istituti di credito hanno l’obbligo di alimentare con le informazioni in loro possesso, inerenti la tenuta e la consistenza dei conti correnti degli italiani. Insomma, non si scappa!

Catapano Giuseppe scrive: Equitalia: il pignoramento blocca il conto corrente

Equitalia e la banca hanno agito correttamente, per come prevede la legge. Difatti la procedura speciale di pignoramento presso terzi, prevista appositamente per la riscossione esattoriale, prevede che l’Agente per la riscossione invii al terzo (la banca) l’atto di pignoramento senza bisogno dell’udienza davanti al giudice. Con tale atto di pignoramento, Equitalia ordina all’istituto di credito di pagare direttamente all’Esattore – entro il termine di 60 giorni dalla notifica dell’atto, le somme per le quali il diritto alla percezione da parte del debitore sia maturato anteriormente alla data di notifica dell’atto; – alle rispettive scadenze le restanti somme. Il tutto fino a concorrenza del credito per il quale Equitalia procede, degli interessi di mora e dei compensi di riscossione maturati sino al giorno del pagamento e riportati nell’atto stesso. Ovviamente se è vero che il terzo pignorato (la banca) non può disporre di queste somme in modo difforme (pertanto non può pagare assegni del cliente che, nelle more, dovessero venire in pagamento e che, pertanto andrebbero protestati) è anche vero che nulla vieta al debitore di mutare conto corrente di appoggio per i successivi accrediti. L’obbligo della banca di versare man mano le somme ad Equitalia non si estende all’ultimo stipendio accreditato sul conto, il quale deve restare nella disponibilità del debitore. Il fatto che le somme percepite a titolo di stipendio siano confluite in un conto corrente ostacola in realtà, secondo l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, l’applicazione del limite di pignorabilità del quinto dello stipendio. In pratica, se è vero che la busta paga, pignorata in azienda, può essere trattenuta fino a massimo il 20% (appunto pari a 1/5), nel caso in cui le somme confluiscano in banca il pignoramento si può estendere al 100% degli importi. Ciò in quanto verrebbe meno il rapporto diretto tra gli emolumenti e la loro fonte e si creerebbe di fatto confusione tra essi e le somme a diverso titolo depositate sul conto corrente. Tuttavia, se nel conto del contribuente confluiscono solo le mensilità stipendiali e sia possibile dimostrare ciò al giudice (per esempio da un estratto conto), secondo un orientamento minoritario – ma che sta prendendo via via piede – sarebbe legittima l’opposizione deducendo che il pignoramento, in quanto avente ad oggetto la sola retribuzione lavorativa, deve rispettare il limite del quinto e non può estendersi a tutta la provvista depositata in banca. Quest’ultima tesi è sostenuta da un orientamento affermatosi recentemente con riguardo al pignoramento delle pensione ma estendibile anche ai crediti da lavoro. Si tratta della sentenza del Tribunale di Savona (2014) e del Tribunale di Sulmona (2013) che escludono il pignoramento integrale del conto corrente a due condizioni: – la natura del credito deve essere immediatamente riconoscibile per natura ed importo: in pratica, deve essere palese ed evidente che sul conto vengano accreditati solo i ratei dello stipendio. Bisogna quindi consentire al giudice di identificare esattamente la provenienza delle somme depositate; – sullo stesso conto non devono essere fatti ulteriori accrediti diversi da quelli dei ratei dello stipendio. Insomma, il debitore oggetto dell’esecuzione forzata deve essere in grado di dimostrare che sul conto vi sia solo e soltanto lo stipendio e null’altro.

Catapano Giuseppe comunica: Pignoramento presso terzi Equitalia, impugnazione al giudice tributario

Se il contribuente viene a conoscenza della pretesa del Fisco soltanto al momento della notifica del pignoramento presso terzi, senza prima ricevere la cartella esattoriale, competente a decidere della relativa opposizione è la Commissione Tributaria e non il giudice dell’esecuzione. È quanto affermato da una recente sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, secondo la quale la mancata ricezione dell’atto prodromico al pignoramento (cartella esattoriale) rende necessaria la valutazione nel merito della pretesa fiscale che il contribuente non ha potuto domandare prima che gli venisse notificato l’atto di pignoramento. La questione, comunque, è particolarmente dibattuta in giurisprudenza. La regola generale è quella secondo cui la competenza della Commissione tributaria si ferma una volta che il procedimento esattoriale avente ad oggetto tributi erariali sia giunto alla fase esecutiva, per la quale è competente il giudice dell’esecuzione (in sede civile). La legge stabilisce infatti che restano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti dell’esecuzione forzata successivi alla notifica della cartella di pagamento e dell’avviso di mora. Inoltre nell’esecuzione esattoriale delle imposte sui redditi, non sono ammesse le opposizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi, se non per la pignorabilità dei beni. Tali regole, se applicate anche all’ipotesi di pignoramento non preceduto dalla notifica della cartella esattoriale, creerebbero un vuoto di tutela per il contribuente: se la giurisdizione tributaria è esclusa per gli atti dell’esecuzione forzata successivi alla cartella di pagamento e se nell’esecuzione relativa alle imposte sui redditi non è ammessa l’opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi, come può tutelarsi il contribuente che, non avendo ricevuto la cartella e non avendola potuta impugnare, non può più contestarla nel merito perché è già nella fase esecutiva? Il problema è stato risolto da alcune pronunce giurisprudenziali, tra cui quella in esame, che hanno ammesso la tutela dinanzi alla Commissione Tributaria nonostante sia stata già avviata la fase esecutiva. La mancata notifica della cartella esattoriale rende infatti impossibile l’applicazione della regola generale secondo cui il credito non contestato prima dell’esecuzione sia da considerarsi definitivamente accertato. Il contribuente ha dunque diritto all’esame nel merito della pretesa del Fisco potendo impugnare il pignoramento presso terzi e chiedere alla Commissione Tributaria competente di decidere sulla nullità del ruolo per mancata notifica della cartella di pagamento, sull’illegittimità dell’atto di pignoramento presso terzi e sull’infondatezza della pretesa. Secondo la CTR Lombardia tali domande rientrano nella competenza del giudice tributario, laddove la richiesta si riferisce alla mancanza dell’atto prodromico all’atto di pignoramento e alla infondatezza della pretesa contenuta nella cartella di pagamento.

Catapano Giuseppe informa: Infruttosità dell’espropriazione forzata, quando si chiude il pignoramento

La norma che introduce la possibilità di dichiarare la chiusura anticipata della procedura esecutiva avente ad oggetto un bene immobile per “infruttuoso esito” costituisce una importante novità introdotta dal legislatore, in quanto per la prima volta si interviene al fine di arginare le lungaggini di quei giudizi che inevitabilmente ledono i diritti del debitore esecutato. L’obiettivo di questo nuovo articolo inserito nelle disposizioni attuative al codice di procedura civile è appunto quello di introdurre un limite di “ragionevolezza” alla durata dell’espropriazione forzata quando risulti evidente che le possibilità di realizzo della stessa si siano ridotte in maniera significativa. Per procedere ad una chiusura anticipata della procedura è necessario che si accerti la circostanza che i creditori non potranno avere un soddisfacimento adeguato delle proprie pretese da valutarsi sulla base dei seguenti indici: – costi per la prosecuzione della procedura; – possibilità di riuscita della vendita del bene; – valore stimato di realizzo. Il giudice dell’esecuzione non compie quindi un semplice conteggio aritmetico, ma deve operare un bilanciamento tra le istanze creditorie e quelle del debitore, disponendo la chiusura anticipata della vendita quando ritenga che non sia possibile giungere ad un soddisfacimento delle istanze dei primi poiché il prezzo della vendita sarebbe eccessivamente basso. La norma in commento ha una formulazione volutamente ampia poiché si afferma che non deve essere possibile raggiungere un ragionevole soddisfacimento delle istanze creditorie alla luce dei costi per mantenere attiva la procedura, nonché delle possibilità di riuscire a vendere il bene ottenendo un non trascurabile valore di realizzo, allo scopo di lasciare un margine discrezionale al magistrato, il quale può decidere di sospendere la procedura se i costi necessari al suo mantenimento superino il prezzo di vendita, oppure se come detto la presumibile vendita dovesse avvenire ad un prezzo molto basso. Tuttavia anche lo stesso punto legato alla prospettiva di realizzo deve essere valutato caso per caso, perché non è detto che se il bene viene venduto ad una somma pari alla metà del suo valore si possa domandare la chiusura del procedimento: occorre comunque valutare se la cifra che si andrebbe a realizzare sia economicamente apprezzabile e possa soddisfare il creditore. Nel caso proposto dal quesito, è quindi certamente possibile domandare la chiusura anticipata della procedura per sua infruttuosità quando il prezzo di vendita del bene sia notevolmente inferiore a quello di mercato, in una percentuale che deve superare almeno la metà del bene (nella prassi si parla anche dell’80% del valore) e al tempo stesso che questa cifra realizzi un’aggiudicazione svantaggiosa rispetto al credito vantato.

Catapanao Giuseppe informa: Equitalia, quale difesa contro il pignoramento del conto corrente

Il pignoramento è l’atto con il quale ha inizio l’espropriazione forzata. Esso consiste nel provvedimento con cui l’ufficiale giudiziario ingiunge al debitore di astenersi dal porre in atto qualsiasi azione il cui scopo sia quello di sottrarre alla garanzia del credito i beni ad esso assoggettati ed i loro frutti, con la dichiarazione che qualsiasi azione compiuta su di esso non sarà valida. In sostanza con il pignoramento il bene oggetto dell’atto viene sottratto alla disponibilità del suo proprietario. La disciplina dell’espropriazione forzata ordinaria è contenuta nel Codice di procedura civile. Le regole invece dell’espropriazione esattoriale sono speciali e prevedono l’incasso diretto delle somme a ristoro del debito da parte degli agenti della riscossione, in seguito all’esito positivo della procedura di verifica. Il procedimento è notevolmente più veloce rispetto a quello ordinario, in quanto: – non richiede che venga designato un difensore; – non necessita l’autorizzazione dal Giudice dell’esecuzione; – non prevede che venga fissata un’udienza; – non prevede la citazione del terzo pignorato, né il conseguente passaggio dal giudice dell’esecuzione; – il terzo è tenuto a effettuare il versamento in base all’atto ricevuto dall’agente della riscossione, senza che vi sia un’ordinanza di assegnazione da parte dell’autorità giudiziaria. Il procedimento esecutivo presenta, quindi, un carattere derogatorio rispetto alla disciplina prevista dal codice di procedura civile. L’Agente della riscossione, nel caso in cui il contribuente non abbia versato la somma iscritta a ruolo entro i sessanta giorni successivi alla notifica della cartella di pagamento, ovvero i novanta giorni successivi alla notifica dell’accertamento esecutivo, ha la possibilità di avviare l’espropriazione forzata potendo inoltre scegliere se procedere al pignoramento di un bene immobile o di un bene mobile o di un credito del contribuente debitore. La procedura del pignoramento dei crediti presso terzi L’Agente della riscossione ha titolo a pignorare un credito vantato dal contribuente nei confronti di un terzo (ed un deposito bancario è, in sostanza, un credito che il correntista vanta nei confronti dell’Istituto di credito) sia con le modalità ordinarie (dettate dalla disciplina processualcivilistica) sia con quelle specifiche. L’atto con cui vengono pignorati i crediti del debitore verso soggetti terzi può contenere l’ordine impartito al terzo di pagare direttamente il credito all’Agente della riscossione fino a concorrenza del credito per il quale si procede (la banca può quindi essere obbligata a versare all’erario la giacenza esistente sul conto corrente nonché gli eventuali accrediti che su di esso vengano a confluire). In questo caso l’intervento del Giudice dell’esecuzione è eventuale in quanto relegato al solo caso di inottemperanza da parte del terzo, all’ordine di effettuare il pagamento (il giudice interviene solo se la banca non esegue il trasferimento a favore del’Erario delle giacenze sul conto corrente pignorato). Allo scopo di evitare l’inottemperanza e quindi la necessità di adire l’Autorità Giudiziaria, l’Agente della riscossione può adottare la procedura cosiddetta preventiva, richiedendo ai soggetti terzi che sono debitori del contribuente iscritto a ruolo di comunicargli per iscritto le cose o le somme che sono da loro dovute al contribuente debitore. L’atto di pignoramento dei crediti del debitore presso terzi può contenere, in luogo della citazione prevista dal Codice di procedura civile l’ordine al terzo di pagare il credito direttamente al concessionario, fino a concorrenza del credito per cui si procede: – nel termine di sessanta giorni a partire dalla data della notifica dell’atto di pignoramento, per le somme per le quali il diritto alla percezione sia maturato anteriormente alla data di tale notifica; – alle rispettive scadenze, per le restanti somme. In sostanza il termine entro cui il debitore del pignorato deve adempiere al versamento diretto nei confronti del concessionario della riscossione è di 60 giorni, termine che decorre dalla data in cui è stato notificato l’atto di pignoramento. L’atto di espropriazione forzata esattoriale di crediti può essere redatto anche da parte di dipendenti dell’Agente della riscossione procedente non abilitati all’esercizio delle funzioni di ufficiale della riscossione e, in tal caso, reca l’indicazione a stampa dello stesso agente della riscossione. La disposizione non trova applicazione relativamente ai crediti pensionistici e con i limiti stabiliti per le ipotesi contemplate dal codice di procedura civile secondo cui le somme che sono dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego comprese quelle dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate non oltre la misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito. Il pignoramento per il simultaneo concorso delle cause indicate precedentemente non può estendersi oltre alla metà dell’ammontare delle somme predette. Restano in ogni caso ferme le altre limitazioni contenute in speciali disposizioni di legge. Limiti di pignorabilità Le somme dovute a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate dall’agente della riscossione in misura pari ad: – 1/10 per importi fino a 2.500 euro – 1/7 per importi superiori a 2.500 euro e non superiori a 5.000 euro – 1/5 per importi superiori a 5.000 euro. Resta in ogni caso ferma la misura della pignorabilità pari ad un quinto, nel caso in cui le somme dovute al debitore a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, superano i cinquemila euro. Inoltre, nel caso di accredito delle somme (quali stipendi, salari o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento) oggetto di pignoramento sul conto corrente intestato al debitore, l’obbligo del terzo pignorato (la banca) di trattenere tale importo per poi girarlo all’Agente della riscossione non si estende all’ultimo emolumento accreditato a favore del debitore. In sostanza, l’Istituto di Credito, nel caso in cui venga accreditato sul conto corrente, già pignorato dall’Agente della riscossione, l’ultimo stipendio deve comunque rendere disponibile tale somma al debitore senza poterla acquisire a scomputo delle iscrizioni a ruolo. Rimane esclusa la pignorabilità delle cd. rimesse, vale a dire i versamenti che nel contratto bancario di apertura di credito vengono effettuati dal titolare del conto corrente per ridurre o estinguere il saldo debitore del conto medesimo. L’Agente della riscossione ha poi la possibilità di utilizzare tutti i dati che affluiscono nell’anagrafe tributaria da parte di tutti gli intermediari e, in generale, gli operatori finanziari, compresa Poste Italiane s.p.a. Ciò mette il Concessionario nelle condizioni di conoscere dove i contribuenti hanno depositate le loro somme o dove sono impiegati i loro risparmi. Quali sono le tutele giurisdizionali per il contribuente esecutato Ci si chiede, a questo punto, quali siano gli strumenti giuridici che possono essere utilizzati da parte del contribuente/debitore esecutato al fine di ottenere una tutela giurisdizionale nei confronti dell’atto esecutivo. Secondo la tesi interpretativa prevalente resterebbero escluse dalla giurisdizione tributaria le controversie relative agli atti dell’esecuzione successivi alla notifica della cartella di pagamento. In campo tributario permane infatti l’esclusione delle ordinarie opposizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi. Di conseguenza il debitore contribuente potrebbe esercitare il proprio diritto alla difesa, in sede di opposizione agli atti esecutivi, impugnando l’atto di pignoramento. innanzi la giurisdizione ordinaria, davanti al giudice dell’esecuzione. Per i crediti tributari, tuttavia, le opposizioni sono ammesse solo nei seguenti casi: – facendo riferimento all’opposizione all’esecuzione, solo per contestare la pignorabilità dei beni; – relativamente all’opposizione agli atti esecutivi, per tutti i casi che non riguardino la regolarità formale e la notificazione del titolo esecutivo. Non è quindi possibile un’azione di opposizione agli atti esecutivi avente ad oggetto la mancata notifica della cartella di pagamento (titolo esecutivo), o l’irregolarità formale della stessa. Altra corrente interpretativa sostiene invece che il contribuente esecutato abbia legittimamente possibilità di impugnare di fronte alla giurisdizione tributaria quello che rappresenta un vero e proprio atto di “esecuzione forzata”, che non contiene la citazione del terzo dinanzi al giudice dell’esecuzione. D’altra parte, nel caso in cui il contribuente eccepisse il difetto di notifica la norma prevede espressamente che la mancata notifica di un atto autonomamente impugnabile (quale ad esempio la cartella esattoriale) ne consente l’impugnazione unitamente all’ultimo atto notificato (ovvero l’atto di pignoramento presso terzi). Mancato rispetto dei doveri di diligenza: è possibile ipotizzare una azione di responsabilità verso l’Istituto di Credito? È già stato osservato che la procedura di pignoramento esattoriale presso terzi si concretizza in un rapporto diretto tra Agente della riscossione e terzo (banca), senza che la normativa imponga un obbligo specifico per il terzo di informare tempestivamente il cliente. È possibile, quindi, che l’atto di pignoramento non venga ritualmente notificato al contribuente/debitore, ovvero che sia notificato contestualmente a quello che viene indirizzato all’Istituto di credito che, solitamente, si affretta ad eseguire l’ordine imposto dall’Agente della riscossione. Ci si chiede quindi se si possa ipotizzare nei confronti dell’Istituto di Credito che, ricevuto l’ordine di versare direttamente nelle casse erariali il credito vantato dall’Agente della riscossione, si affretta ad adempiere a quanto intimato senza notificare alcunché all’intestatario del conto, una responsabilità in merito al dovere dare diligente esecuzione del mandato, tenuto conto che secondo quanto viene previsto dal Codice civile la banca risponde secondo le regole del mandato, per l’esecuzione d’incarichi ricevuti dal correntista o da altro cliente. A tale riguardo appaiono certamente interessanti le conclusioni cui è pervenuto l’Arbitro Bancario e Finanziario – Collegio di Roma che ha chiarito che il formale rispetto delle disposizioni in tema di pignoramento presso terzi non esaurisce il panorama degli obblighi gravanti sulla banca, atteso che il rapporto negoziale in essere con il cliente impone alla medesima doveri di trasparenza ed informazione e, pertanto, non può escludersi, a priori una responsabilità dell’Istituto di credito discendente dal dovere generale di diligente e corretta esecuzione del mandato.