Si sono tenute il 7 luglio le audizioni sui decreti delega lavoro di rappresentati della Conferenza delle Regioni presso le commissioni lavoro della Camera e del Senato.
Ai due appuntamenti hanno partecipato Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana, regione che coordina la Commissione lavoro per la Conferenza delle Regioni, Valentina Aprea, assessore all’istruzione formazione e lavoro della Regione Lombardia, Lucia Valente, assessore al lavoro della Regione Lazio, Sebastiano Bruno Caruso, assessore alla famiglia, politiche sociali e lavoro della Regione Siciliana.
“Le Regioni, da tempo, hanno delineato una loro proposta di riorganizzazione dei servizi per il lavoro che superi la frammentazione oggi esistente”, ha ricordato il presidente della Toscana che ha preannunciato l’invio di un documento in sede di Conferenza Stato-Regioni che sarà definito nei prossimi giorni.
“Personalmente – ha spiegato Rossi – sono convinto che la previsione di una rete nazionale dei servizi per il lavoro, articolata su un’Agenzia nazionale e su strutture regionali, recepisca, in linea generale, l’organizzazione proposta dalle Regioni, perché potrebbero comunque essere salvaguardate la programmazione e la gestione dei servizi e delle politiche attive”.
Esistono però alcuni problemi che il presidente della Toscana ha rappresentato ai deputati e ai senatori delle due commissioni. Primo fra tutti “l’indeterminatezza del percorso che sembra essere transitorio e non a regime”.
Rossi ha poi sottolineato l’inadeguatezza delle risorse che vengono messe a disposizione del riordino dei servizi: “non si può scaricare sulle Regioni l’onere del finanziamento dei servizi, onere che fino ad oggi era nella disponibilità dei bilanci delle Province, senza alcun trasferimento di tali risorse alle Regioni”.
Infine la questione del personale. “il decreto, pur sottolineando che le Regioni costituiscono i nuovi Centri per l’Impiego, e caricando su di loro i principali oneri finanziari, non trasferisce il personale dalle Province alle Regioni, determinando tra l’altro anche un problema di incertezza nella stessa gestione del personale. Motivi che testimoniano – ha concluso Rossi – la chiara esigenze di modifica del testo del Decreto Legislativo garantendo adeguate risorse ed il trasferimento del personale”.
ope
Catapano Giuseppe: Fmi e Ocse su andamento economia
Il Fondo Monetario Internazionale riafferma i rischi relativi alla crisi greca e il possibile impatto anche sulla nostra economia.
Il Fmi ritiene che “gli avversi sviluppi in Grecia potrebbero avere un sostanziale impatto sull’Italia tramite effetti sulla fiducia, anche se l’esposizione diretta è limitata”, come limitati sono “i rischi di contagio nel breve termine”.
Il Fondo Monetario aggiunge che in Italia la ripresa è fragile. Il Fmi, prevede un Pil in crescita dello 0,7% nel 2015 e dell’1,2% nel 2016.
Comunque c’è apprezzamento per gli interventi promossi dal nostro Governo. Il premier Renzi ha avviato infatti “un’ambiziosa agenda per rivedere il sistema economico e politico italiano”.
Il Fondo incoraggia le misure di privatizzazione per migliorare l’efficienza del settore pubblico e chiede un’accelerazione su queste apprezzando in particolare l’operazione Enel.
Il rapporto deficit/pil arriverà al 2,7% quest’anno per scendere al 2,1% nel 2016; il debito salirà ancora, al 133,3% quest’anno, per tornare a scendere al 132,1% nel 2016.
Invece per l’Ocse nel 2014 il rapporto debito lordo/Pil dell’Italia è salito a quota 156%, contro il 142,95% del 2013 e il 110,63% del 2007. Il dato è il terzo più elevato dell’area Ocse, dopo Giappone e Grecia. L’Ocse taglia la previsione di crescita globale dal 4% al 3,1%. Abbassata anche la percentuale di crescita prevista per il 2016 al 3,8% dal 4,8%.
Inoltre l’Ocse evidenzia come l’Italia è, insieme a Grecia e Ungheria, il Paese dell’area Ocse dove i cittadini più poveri incontrano le maggiori difficoltà nel permettersi le spese mediche.
“In tutti i paesi europei le persone con bassi redditi nel 2013 hanno avuto una probabilità maggiore di riportare necessità mediche non curate rispetto alle persone con alto reddito e questo gap è particolarmente elevato in Ungheria, Italia e Grecia”, l’Ocse aggiunge che “il motivo più comune citato è rappresentato dai costi”.
L’Italia – sottolinea ancora l’Ocse – è inoltre uno di quei Paesi dove la quota totale della spesa per il welfare è aumentata dall’inizio della crisi (toccando il 41,3% nel 2013) a causa del forte aumento della disoccupazione.
Nel 2014, il rapporto debito lordo/Pil dell’Italia è salito a quota 156%, contro il 142,95% del 2013 e il 110,63% del 2007, rileva sempre l’Ocse.
Infine ci sono anche i dati forniti da Eurostat sulla spesa della pubblica amministrazione nell’Eurozona. Nel 2014 questa ha raggiunto 4.961 miliardi, il 49% del Pil contro il 49,4% nel 2013. Tra gli Stati Ue, si passa da una percentuale inferiore al 35% del Pil in Lituania e Romania a oltre il 57% di Finlandia, Francia e Danimarca. L’Italia è al 51,1% nella spesa per la pubblica amministrazione. I cali maggiori nella spesa rispetto al 2013 si evidenziano in Grecia -10,7% e Slovenia -9,9%.
Catapano Giuseppe osserva: Avvocati, un appello a Orlando
Un intervento del ministro della giustizia per risolvere il caos elezioni degli ordini forensi. Su 101 consigli rinnovati, infatti, in 20 hanno sporto reclamo elettorale dinanzi al Cnf. E i restanti sono in regime di prorogatio, con limiti allo svolgimento delle attività amministrative. L’indicazione unanime a via Arenula, dopo la sentenza del Tar dello scorso giugno, è arrivata ieri in occasione dell’Agorà degli ordini forensi, promossa dal Consiglio nazionale forense come luogo di confronto istituzionale per le questioni di interesse dell’avvocatura. La richiesta, da parte dei rappresentanti delegati dei consigli degli ordini dei 26 distretti di Corte d’appello, è stata di garantire al sistema ordinistico la necessaria stabilità con l’assunzione di un indirizzo che risolva in maniera definitiva e senza margini di incertezza le problematiche derivanti dalla sentenza Tar, che ha annullato alcune previsioni del regolamento del ministero della giustizia di disciplina delle elezioni dei consigli degli ordini, per la mancata previsione del «voto limitato». La preoccupazione degli ordini è stata raccolta dal Cnf che si è impegnato a riportarla al ministero. I lavori dell’Agorà si sono concentrati poi su altre questioni di interesse per la professione: l’assetto del nuovo sistema disciplinare; le problematiche collegate alla difesa d’ufficio e patrocinio a spese dello stato, con i progetti di collaborazione tra Cnf, Cassa e il ministero della giustizia per risolvere l’arretrato nella liquidazione dei compensi degli avvocati; l’analisi dei diversi regolamenti attuativi della riforma forense; i disegni di legge attualmente in parlamento, quali «concorrenza» e riforma del processo civile.
Catapano Giuseppe: Farmaci da banco online
Dal 1° luglio vendita online dei farmaci da banco. In questa prima fase, la vendita a distanza è consentita solo a farmacie e negozi che hanno già titolo alla vendita di farmaci, che rispondano ai requisiti di base stabiliti dalla normativa sulla vendita a distanza. Tutto questo grazie all’entrata in vigore della direttiva europea 2011/62/Ue su medicinali falsificati e recepita nel nostro paese con il dlgs del 19 febbraio 2014 n. 17. Il ministero dello salute intanto sta per emanare un decreto che definirà il logo identificativo nazionale per gli operatori che intendano effettuare la vendita online di medicinali. Tale logo, conforme alle indicazioni definite dall’Unione europea, avrà la funzione di garantire che il venditore online sia un soggetto che abbia già titolo a commerciare farmaci ai sensi della normativa vigente. Il logo sarà chiaramente visibile nei siti web per la vendita a distanza al pubblico di medicinali. Il ministero della salute, nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o ulteriori oneri per la finanza pubblica, promuoverà iniziative, anche in collaborazione con l’Unione delle camere di commercio, al fine di assicurare l’identificazione dei siti internet tramite i quali le farmacie effettuano vendita di farmaci online. Relativamente al trasporto dei medicinali venduti online, esso sarà effettuato nel rispetto delle linee guida in materia di buona pratica di distribuzione. L’Aifa, l’agenzia del farmaco, il ministero della salute, di intesa con l’agenzia delle dogane e dei monopoli, le regioni e le province autonome secondo le rispettive competenze, in conformità alle direttive e alle raccomandazioni dell’Unione europea, adotteranno le opportune misure e vigileranno affinché la produzione, l’importazione e la distribuzione sul territorio nazionale delle sostanze attive, ivi comprese quelle destinate all’esportazione, siano conformi alle norme di buona fabbricazione e alle linee guida in materia di buona pratica di distribuzione delle sostanze attive.
Giuseppe Catapano comunica: Diritti d’imbarco aereo nell’imponibile IVA
Secondo quanto stabilito dall’articolo 1 della Legge n. 324/1976 in materia di diritti d’imbarco per l’uso di aree aeroportuali, il movimento degli aeromobili privati e delle persone negli aeroporti nazionali aperti al traffico aereo civile è assoggettato al pagamento, in favore delle compagnie di gestione aeroportuale, di un “diritto d’imbarco per passeggeri”, il quale, a norma del successivo articolo 5, “…è dovuto direttamente dal vettore che se ne rivale nei confronti del passeggero”. Secondo quanto precisato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 418/2015, il pagamento dei diritti d’imbarco da parte del vettore, poi oggetto di rivalsa nei confronti dei passeggeri attraverso la vendita dei biglietti aerei, integra un elemento di costo direttamente connesso alla prestazione del servizio di trasporto e, quindi, concorre a formare l’imponibile IVA. Tale affermazione trova fondamento nell’art. 78 della direttiva 2006/112/Ce del 28 novembre 2006 (di rifusione della VI direttiva Iva n. 388/1977 attuata dall’art. 13, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972), secondo cui, in via generale, la base imponibile delle operazioni comprende anche “le imposte, i dazi, le tasse e i prelievi, ad eccezione della stessa imposta sul valore aggiunto”.
Catapano Giuseppe osserva: Fatture false. Reato di dichiarazione fraudolenta per qualunque dichiarazione
La bozza di decreto legislativo attuativo delle Delega fiscale che riforma la disciplina dei reati tributari estende il reato di dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di false fatture a tutte le dichiarazioni ai fini delle imposte sui redditi e dell’Iva, non più solo a quelle annuali. Attualmente, infatti, l’art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000 punisce con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni coloro che, al fine di evadere le imposte sui redditi o l’IVA, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indicano in una delle dichiarazioni annuali elementi passivi fittizi. Nel consegue che, con il decreto di riforma, che abroga la parola «annuale» dal testo, il delitto scatterà con l’inclusione di elementi passivi fittizi derivanti da fatture false non solo nelle dichiarazioni annuali ma in qualunque dichiarazione. Si tratta di capire quali possano essere queste dichiarazioni (non annuali).
Giuseppe Catapano informa: Pensioni, lusso di stato
Nel 1995 la riforma Dini sancisce il logico principio che una pensione sia calcolata sui contributi versati e non sullo stipendio percepito, ma lascia una grande lacuna perché tale principio sarebbe stato applicato
solo a coloro che venivano assunti dopo il 1995. Per coloro che avevano maturato più di diciotto anni di lavoro rimaneva il metodo retributivo totale, mentre per chi ne aveva di meno ci sarebbe stato un calcolo pro rata. Sono passati venti anni dalla riforma Dini e in questo periodo le pensioni di lusso rappresentano ancora la quasi totalità delle pensioni.
Solo una piccolissima percentuale (circa il 10%) percepisce pensioni con il metodo contributivo puro, con importi veramente miseri se paragonate a quelle maturate con il metodo retributivo. La spesa pensionistica, nonostante la riforma Dini, è aumentata, perché era rimasto il peccato originale della lacuna lasciata e ancora oggi assistiamo, oltre allo scandalo dei vitalizi alla casta, a pensionati che hanno già percepito il doppio, il triplo e fino a dieci volte i contributi versati. Questa situazione è ingiusta e deve essere corretta subito. I poveri giovani non possono continuare a versare contributi per pagare le pensioni d’oro calcolate con il metodo retributivo, sapendo, senza ombra di dubbio, che le loro saranno veramente misere.
Questa situazione investe in pieno i lavoratori autonomi della gestione separata che si sono resi già conto, con i primi pensionamenti, della triste realtà. Realtà che scopriranno in tanti con la possibilità per tutti di effettuare la propria proiezione pensionistica, fortemente voluta dal neopresidente dell’Inps, Tito Boeri. Il problema deve essere affrontato e i diritti acquisiti se «sproporzionati» vanno «riproporzionati» in una giusta visione di equità sociale. In tal senso si sono già espressi grandi conoscitori della materia pensionistica ed economisti del calibro di Tiziano Treu, Cesare Damiano, Michele De Lucia, Giuliano Cazzola, Renata Polverini, Ignazio Marino e non da ultimi Tito Boeri e Mario Baldassarri. L’Ancot che si batte da tempo per una previdenza più equa anche con il Colap e con la neo costituita Federazione dei tributaristi, è stata invitata a Palermo al «Festival del lavoro», un convegno indetto dai Consulenti del lavoro. Molto caldo il tema della tavola rotonda: «Un futuro a mezza pensione». Anche in questa occasione daremo il nostro modesto contributo alla soluzione dell’annoso e grande problema della previdenza.
Ci auguriamo che l’occasione di tale evento possa essere veramente propositivo per il governo che sta
mostrando vivo interesse per una riforma della previdenza con diversi suoi esponenti e con il premier Matteo Renzi in prima persona. Un sentito ringraziamento al presidente Marina Calderone, a Vincenzo
Silvestri e a tutto il Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro per il gradito invito.
Catapano Giuseppe scrive: Prodi, “Così l’Europa si suicida”
Romano Prodi critica quanto sta avvenendo in Europa all’indomani dell’esito referendario greco. Il vertice Merkel – Hollande a Parigi che precede sia l’Eurogruppo e l’Eurosummit con tutti i leader europei, manda un messaggio negativo.
L’ex presidente della Commissione dell’Unione Europea è convinto che il vero dramma dell’Europa sia “non capire che con questo atteggiamento ci suicidiamo”.
“Il futuro e l’innovazione viene disegnato in Stati Uniti e in Cina. Se non ci mettiamo insieme non disegneremo nulla”.
Sulla spinta anti austerity, Prodi chiede proposte che escano dallo schema e un impegno a “far capire alla gente che senza l’Europa siamo finiti”. “L’Italia avrebbe dovuto farsi ascoltare con un unico disegno (per la crescita) insieme alla Francia”, ma non è stato possibile.
Nei prossimi giorni ci sarà un negoziato per vedere come conservare l’euro. E secondo Prodi bsogna ridurre il passivo di Atene. È ormai chiaro a tutti come lo fu nel Dopoguerra nei confronti del debito tedesco. “La Grecia non arriverà mai a pagare il debito, così come nel 1954 si sapeva che la Germania non sarebbe stata in grado di pagarlo”.
Per l’ex premier Romano Prodi “ci sono le condizioni per cui il costo della rottura sia molto più elevato del costo di un compromesso”.
Tornando alla vittoria dei no all’austerity del popolo greco, con oltre il 61% al voto di domenica, per il professore bolognese Renzi ha sbagliato a sintetizzare il referendum greco come un derby tra Euro e Dracma. Per Prodi non si trattava infatti di “un derby Euro-Dracma e continuo ad insistere che un negoziato ed una accordo ci deve essere”.
Catapano Giuseppe comunica: Il Tribunale di Milano ha deciso che il divieto dell’anatocismo previsto dall’art. 120 T.U.B. è già in vigore dal 1° gennaio 2014 per tutti i contratti bancari
Il nuovo art. 120 T.U.B.
La legge di stabilità 2014 (Legge n. 147 del 27 dicembre 2013, comma 629) ha modificato l’art. 120, comma 2, del D.lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (Testo Unico Bancario), introducendo una disciplina innovativa in materia di anatocismo.
La novità legislativa è prevista nel comma 2 dell’art. 120 T.U.B., alla lettera b).
2. Il CICR [Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio] stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che:
a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori;
b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale.
La nuova norma prevede quindi un divieto di capitalizzazione periodica degli interessi (c.d. anatocismo), innovando rispetto alla norma previgente che disponeva invece la legittimità dell’anatocismo alla sola condizione che gli interessi attivi e passivi fossero capitalizzati con la stessa periodicità (nella prassi bancaria, trimestrale).
Il precedente comma 2 dell’art. 120 T.U.B. disponeva difatti solamente:
2. Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori.
Dopo la modifica dell’art. 120 T.U.B. era sorto dubbio in dottrina (nell’assenza di pronunce giurisprudenziali, nella novità della questione) se il nuovo divieto fosse già entrato in vigore al 1° gennaio 2014 (data di entrata in vigore della l. n. 147/2013) oppure se fosse necessario attendere che il Comitato Interministeriale del Credito e Risparmio (CICR) emanasse la nuova delibera applicativa prevista dall’art. 120 T.U.B. (in sostituzione di quella previgente del 9 febbraio 2000, che ha disciplinato la materia dei rapporti bancari sino ad oggi).
La dottrina ed i commentatori in generale (compreso il Consiglio del Notariato, che ha emesso un parere in materia) propendevano in linea di massima per la seconda ipotesi: l’entrata in vigore effettiva del nuovo divieto di anatocismo bancario era da intendersi posticipata alla futura delibera del CICR. Sino ad allora il divieto di anatocismo non sarebbe stato efficace.
Le due ordinanze collegiali del 25 marzo e del 3 aprile 2015
Il Tribunale di Milano, con due ordinanze collegiali del 25 marzo e del 3 aprile 2015 (Presidente Dott.ssa Laura Cosentini, Giudice relatrice Dott.ssa Silvia Brat, Giudice Dott. Francesco Matteo Ferrari), ha invece recisamente affermato che il nuovo divieto assoluto di anatocismo bancario previsto dalla lettera b) dell’art. 120 T.U.B. è da intendersi già in vigore, e questo sin dal 1° gennaio 2014 (data di entrata in vigore della Legge n. 147 del 27 dicembre 2013, che ha modificato l’art. 120 T.U.B.).
Le due ordinanze collegiali del Tribunale di Milano sono state emesse su ricorso di una associazione dei consumatori e degli utenti, ex art. 140, comma 8, del Codice del Consumo, al fine di inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti e adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle pretese violazioni.
In particolare, con i ricorsi ex art. 140 del Codice del Consumo, l’associazione chiedeva che fosse inibita alla banca la capitalizzazione degli interessi passivi successivamente al 1° gennaio 2014.
Il Tribunale ha deciso, in particolare, che, sulla scorta della mera interpretazione letterale del nuovo art. 120 T.U.B., le banche ben possano già escludere dalle condizioni economiche qualsiasi clausola anatocistica, sia per i contratti in essere sia per quelli ancora da stipulare, senza dovere attendere la normativa regolamentare secondaria del CICR.
È, difatti, ragionevolmente esigibile dalle banche una condotta prudenziale, trattandosi di un operatore qualificato dotato di uffici legislativi interni e direzionali, capaci di approfondimento della nuova norma e della legislazione di favore verso il consumatore, anche di matrice comunitaria.
La scelta delle banche, invece, di mantenere in essere una disposizione contrattuale superata a seguito dell’intervento abrogativo del legislatore, concreta – nella visione del Tribunale milanese – una condotta omissiva, proprio per le competenze specialistiche esigibili da una banca, ed è per questo contraria alla correttezza dovuta nei rapporti contrattuali, evidenziata proprio dal disallineamento del comportamento concreto rispetto al testo di legge.
Il Tribunale di Milano, in composizione collegiale, nell’ordinanza del 23 marzo 2015, ha osservato:
La disposizione in esame non può che leggersi nel senso della rigorosa esclusione dell’anatocismo nei rapporti bancari, sulla base della mera interpretazione letterale, in forza della quale è difficile assegnare all’espressione “gli interessi periodicamente capitalizzati non possono produrre interessi ulteriori” significato diverso dall’esclusione dell’anatocismo; ciò anche alla luce della correlazione con il successivo periodo, che impone di calcolare gli interessi capitalizzati, ossia annotati in conto, esclusivamente sulla sorte capitale. In tal senso depone anche il raffronto con la precedente versione del comma 2 dell’art. 120, che rimetteva al CICR di stabilire criteri e modalità “per la produzione di interessi sugli interessi scaduti”, espressione che all’art. 1283 c.c. definisce l’anatocismo, e che oggi non è più riproposta nella norma in esame, che si limita a parlare di “produzione di interessi”. Tale interpretazione è peraltro coerente con la relazione di presentazione della proposta di legge alla Camera, nella quale era espressamente chiarito che la proposta di legge intendeva sancire l’illegittimità della prassi bancaria dell’anatocismo. Non solo, ma la voluntas legis è ulteriormente riscontrabile nella mancata conversione in legge dell’art. 31 D.L. n. 91/14, il quale aveva reintrodotto la legittimità dell’anatocismo bancario.
Orbene, a fronte di simili risultanze, non è condivisibile l’opzione proposta dalla banca resistente, che ha escluso l’immediata precettività della norma e ne ha subordinato l’applicabilità ad un intervento di normazione secondaria ad opera del CICR. Ed invero, gli interrogativi circa la mancata capitalizzazione, la sorte degli interessi attivi con relativa capitalizzazione, il conteggio degli interessi di mora in aggiunta alle rate già comprensive degli interessi come ad esempio nei contratti di mutuo ed in quelli di leasing sono del tutto svincolati dal paletto invalicabile imposto dal legislatore ed incentrato sull’esclusione dell’anatocismo bancario e costituiscono, per l’appunto, il terreno sul quale si misurerà l’intervento del CICR.
Ed, infatti, se certamente non può trascurarsi l’anomalia prima facie di interessi che, una volta capitalizzati, possano essere infruttuosi, vi è anche da rilevare come ben possa essere data evidenza contabile ad un saldo finale modulato separatamente con riferimento allo stato passivo o attivo del conto capitale e degli interessi maturati sullo stesso nel medesimo arco temporale, senza che questi ultimi possano essere incorporati nel primo per le operazioni contabili conseguenti: ad avviso del Collegio è, infatti, proprio in tale ambito che deve essere confinato l’intervento regolamentare del CICR, cui è assegnato lo specifico compito di esprimersi in ordine alle specifiche tecniche bancarie contabili, senza, tuttavia, disporre in termini diversi dal divieto di anatocismo, che, pertanto, è da ritenersi operante a decorrere dall’1.1.14.
Né possono ricavarsi elementi di segno contrario dalla riforma dell’art. 120 T.U.B. di cui al D.lvo n. 342/99 che rimandava a futura delibera CICR di stabilire “modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati”; ciò in quanto in quel caso la norma di legge dava legittimità ad una prassi anatocistica vietata dal codice civile, sulla scorta di una granitica giurisprudenza di legittimità e di merito, con la conseguenza che non vi era alcuna urgenza nel rendere operativa con norma regolamentare una modalità di conteggio degli interessi più gravosa per il correntista.
Nel caso in esame, invece, l’eliminazione legislativa dell’anatocismo è destinata ad operare nelle operazioni bancarie in corso a vantaggio del correntista e, proprio sempre e in forza del principio del favor per il consumatore di matrice comunitaria, ampiamente applicato nell’ordinamento positivo, non può una norma regolamentare procrastinare l’entrata in vigore di una simile disposizione di legge.
(…)
È agevole concludere come, sulla scorta della mera interpretazione letterale del dato normativo de quo, gli istituti di credito ben possano escludere dalle condizioni economiche qualsiasi clausola anatocistica, sia per i contratti in essere sia per quelli ancora da stipulare.
È, difatti, ragionevolmente esigibile, da parte di un operatore qualificato come un istituto di credito, dotato di uffici legislativi interni e direzionali, una condotta prudenziale, che tenga conto di tutti i criteri ermeneutici ampiamente a disposizione; condotta prudenziale che è, oltre tutto, in linea con il favor per il consumatore, come ormai introdotto da oltre un ventennio di disposizioni legislative e regolamentari anche nel settore bancario.
La scelta, invece, di mantenere in essere una disposizione contrattuale superata a seguito dell’intervento abrogativo del legislatore concreta quella condotta omissiva che, proprio per le competenze specialistiche esigibili dall’operatore professionale, è contraria alla correttezza dovuta nei rapporti contrattuali ed evidenziata proprio dal disallineamento rispetto al testo di legge.
Ad avviso del Collegio, pertanto, non sussistendo alcuna giustificazione della condotta omissiva dell’odierna resistente, non può che concludersi che per la scorrettezza dell’operato della banca.
(…)
Con riferimento, invece, all’effettività dell’inibitoria ed alla pubblicità da assegnare all’ordinanza di accoglimento – rimedi previsti dall’art. 140, I comma, lett. B) e c) ed VIII comma del Codice del Consumo – il Tribunale rileva come l’ampiezza delle disposizioni legislative de quibus consenta al giudice, mediante misure atipiche, di fornire la risposta più adeguata al caso in esame e più aderente ad un’effettiva protezione degli interessi dei consumatori. (…)
Trasfondendo tali principi nel caso di specie, quindi, è certamente da accogliere l’ordine alla resistente di pubblicare sulla home page del proprio sito internet avviso con il dispositivo della presente ordinanza diretto ad informare tutti i consumatori che, con decorrenza, 1.1.14, per il contratto di conto corrente denominato (…), è vietata qualsiasi forma di anatocismo riferita agli interessi passivi.
Non deve essere, invece, accolta la richiesta circa l’informativa ad ottenere, per ogni correntista, il ricalcolo del saldo del proprio conto corrente, trattandosi di diritto soggettivo nella disponibilità di ogni singolo consumatore.
Deve, inoltre, essere ordinato alla resistente di inviare comunicazione avente le stesse modalità di trasmissione degli estratti conto, e quindi, cartacea per gli estratti inviati in via cartacea, online per gli estratti comunicati per posta elettronica, diretta ad informare tutti i consumatori che, a partire dall’1.1.14, è vietata ogni clausola anatocistica riferita agli interessi passivi.
Il Tribunale anche in tale ordinanza ha ritenuto:
La norma [art. 120 T.U.B. come innovato dalla Legge n. 147 del 27 dicembre 2013, comma 629], pertanto, non può che essere intesa come rivolta a vietare l’anatocismo nei rapporti bancari, di fatto introducendo in tale ambito una disciplina speciale più rigorosa della normativa dettata dall’art. 1283 c.c. (con l’effetto che, se dal 2000 al 2013 la normativa speciale era rivolta ad ammettere nei rapporti bancari l’anatocismo in misura più ampia rispetto alla regola generale, oggi l’art. 1283 c.c. è derogato per i rapporti bancari in termini di maggiore rigore, capovolgendo la disciplina previgente).
Catapano Giuseppe: L’abuso di denominazione bancaria da parte di soggetti diversi dalle banche
L’art. 133 del Testo Unico Bancario (Decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385) disciplina il c.d. abuso di denominazione bancaria da parte di soggetti diversi dalle banche e dagli intermediari finanziari, a protezione della riserva legale dell’attività bancaria e finanziaria e dell’affidamento del pubblico nell’attività medesima.
La norma prevede in concreto il divieto dell’uso da parte di soggetti diversi da quelli autorizzati di qualsiasi parola idonea ad ingannare l’utente sul legittimo svolgimento dell’attività bancaria e finanziaria.
In particolare, è vietato:
– a soggetti diversi dalle banche l’uso, nella denominazione o in qualsivoglia segno distintivo o comunicazione rivolta al pubblico, delle parole “banca”, “banco”, “credito”, “risparmio” ovvero di altre parole o locuzioni, anche in lingua straniera, idonee a trarre in inganno sulla legittimazione allo svolgimento dell’attività bancaria;
– ai soggetti diversi dagli intermediari finanziari di cui all’articolo 106 T.U.B., l’uso, nella denominazione o in qualsivoglia segno distintivo o comunicazione rivolta al pubblico, della parola “finanziaria” ovvero di altre parole o locuzioni, anche in lingua straniera, idonee a trarre in inganno sulla legittimazione allo svolgimento dell’attività finanziaria loro riservata;
Oltre le banche e gli intermediari finanziari, la norma protegge altri soggetti operanti nell’attività riservata bancaria e finanziaria, nonchè attività del settore di recente formulazione (come ad esempio l’emissione di moneta elettronica ed il microcredito).
In particolare, è anche vietato:
– a soggetti diversi dagli istituti di moneta elettronica e dalle banche l’uso, nella denominazione o in qualsivoglia segno distintivo o comunicazione rivolta al pubblico, dell’espressione “moneta elettronica” ovvero di altre parole o locuzioni, anche in lingua straniera, idonee a trarre in inganno sulla legittimazione allo svolgimento dell’attività di emissione di moneta elettronica;
– a soggetti diversi dagli istituti di pagamento l’uso, nella denominazione o in qualsivoglia segno distintivo o comunicazione rivolta al pubblico, dell’espressione “istituto di pagamento” ovvero di altre parole o locuzioni, anche in lingua straniera, idonee a trarre in inganno sulla legittimazione allo svolgimento dell’attività di prestazione di servizi di pagamento.
Chiunque contravviene ai divieti suddetti è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 5 milioni di €.
Se la violazione è commessa da una società o un ente, è applicata la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 30.000 fino al 10 per cento del fatturato.
Le stesse sanzioni si applicano a chi, attraverso informazioni e comunicazioni in qualsiasi forma, induce in altri il falso convincimento di essere sottoposto alla vigilanza della Banca d’Italia o di essere abilitato all’esercizio delle attività previste all’articolo 111 T.U.B. (Microcredito).
L’art. 133 del T.U.B. – come ben scritto in una risalente pronunzia della Pretura di Torino del 19 febbraio 1998 – descrive una fattispecie di pericolo astratto laddove indica tassativamente alcune parole il cui uso esclusivo è riservato alle banche (ed adesso, in specifici settori, anche ad altri intermediari abilitati).
In caso di uso di una di tali parole non è difatti necessario procedere alla verifica dell’idoneità concreta ad ingannare il destinatario circa lo svolgimento legittimo dell’attività bancaria, atteso che è lo stesso legislatore a ritenere astrattamente il pericolo di lesione sia dell’interesse della banca sia dell’affidamento dell’utente. La norma descrive quindi una fattispecie di pericolo concreto laddove esige la verifica dell’idoneità lesiva dell’abuso di termini che per la loro forza semantica possono indurre a pensare ad una attività bancaria, rinviando alla discrezionalità del giudice la verifica di tale possibilità.
È sufficiente comunque che l’uso sia idoneo a trarre in inganno perché il precetto sia violato, non essendo necessario che si ingeneri effettivamente la confusione che il legislatore vuole evitare.
La Banca d’Italia può determinare in via generale le ipotesi in cui, per l’esistenza di controlli amministrativi o in base a elementi di fatto, le parole o le locuzioni indicate possano essere utilizzate da soggetti diversi dalle banche, dagli istituti di moneta elettronica, dagli istituti di pagamento e dagli intermediari finanziari.
È il caso, ad esempio, delle società appartenenti ad un gruppo bancario che utilizzino il logotipo della capogruppo, oppure, ancora, delle c.d. casse peote, che da tempo remoto raccolgono somme di denaro senza fine di lucro, concedendo modesti prestiti al consumo ispirandosi alla mutualità.