Catapano Giuseppe osserva: Il caso Dailymotion, una rilettura delle norme in tema di discovery e un’attenta riflessione fra tutela dei diritti e privacy

Lo scorso 3 giugno 2015 il Tribunale di Torino ha affrontato un nuovo caso di violazione on-line dei diritti d’autore di cui è titolare esclusivo un produttore e distributore di opere audiovisive. Come accade ormai sistematicamente, nonostante le opere audiovisive e cinematografiche siano di regola oggetto di legittima privativa, spesso pagata a caro prezzo, esse vengono messe a disposizione del pubblico contro la volontà del titolare dei diritti su molteplici piattaforme a ridosso del loro primo sfruttamento, senza che ad oggi a tali violazioni sia possibile porre fine utilizzando gli strumenti giuridici concessi dalla legge.
Le ragioni per le quali è arduo ottenere la rimozione efficace dei file delle opere protette che vengono immesse sulla rete telematica da non disinteressati uploaders, sono essenzialmente riconducibili al fatto che l’interpretazione delle norme vigenti nel nostro Paese, impedisce la identificazione dei soggetti che commettono tali violazioni, sottraendo inoltre gli Internet Service Provider da un reale obbligo di definitiva disabilitazione dell’accesso ai file illeciti che si trovano sulle piattaforme dagli stessi gestite, anche se per essi sia stata comunicata la Notice and Take Down da parte del titolare dei diritti.
Ciò avviene soprattutto nei casi in cui la segnalazione dei file illeciti da eliminare riguardi la stringa che identifica univocamente l’indirizzo Internet di un contenuto presente sul server che lo ospita in quanto l’URL che li contraddistingue rappresenta unicamente il luogo ove i singoli specifici contenuti si trovano e non esaurisce il novero degli identici esemplari presenti su una determinata e singola piattaforma.
Avuto riguardo a quest’ultimo tema, quello della rimozione dei file illeciti, va osservato che per le piattaforme che dispongano di sistemi di identificazione delle opere su di esse presenti on-line, attraverso l’impiego dei c.d. reference file creati sulla base del materiale audiovisivo reclamato dal relativo titolare dei diritti, il Tribunale di Torino si era già pronunciato nel provvedimento dello scorso anno.
In tale caso, esso aveva affermato che un ordine del giudice volto ad impedire un nuovo caricamento di uno stesso file sui siti web, non è assimilabile e non rientra nella categoria degli “obblighi generali di sorveglianza”, come tali esclusi dall’azione dell’ISP in base alla normativa comunitaria, ma costituisce un obbligo del fornitore del servizio che è già a conoscenza della loro illecita presenza sul sito web che esso gestisce nella sua qualità di hosting provider attivo.
Nel medesimo provvedimento il Tribunale aveva osservato che non fosse necessario che i reference files venissero forniti per la verifica dell’ISP da parte dei titolari dei diritti, in quanto sarebbe stato sufficiente che il software del Content ID disponesse esso stesso dei file di confronto, al fine di identificare quelli di uguale contenuto posti in rete in violazione dei diritti d’autore.
Il medesimo ragionamento svolto nel giugno 2014 su questo specifico punto è stato seguito dal Tribunale di Torino nel caso della piattaforma francese Dailymotion, il quale ha quindi escluso che il titolare dei diritti debba provvedere ad una nuova denuncia di ogni ulteriore violazione afferente i medesimi contenuti già in precedenza segnalati, asserendo che il fornitore dei servizi on-line non può rifiutarsi di utilizzare il reference file necessario alla identificazione degli ulteriori esemplari dei file abusivi immessi in rete. Secondo questo giudice, infatti, con la denuncia – da parte dei titolari dei diritti – degli URL che conducono ai contenuti illecitamente caricati, l’Internet Service Provider ha avuto la conoscenza effettiva della violazione commessa e dispone di tutti gli elementi necessari per intervenire con la loro rimozione.
Di grande momento, nell’esame del provvedimento di cui ci occupiamo, è la parte che riguarda l’ordine impartito a Dailymotion di fornire al titolare dei diritti i dati in suo possesso utili a identificare i responsabili delle violazioni commesse con l’uploading dei file delle opere protette.
Questo tema, che concerne la discovery dei soggetti che pongono in essere violazioni attraverso la rete telematica, come è noto a chi legge, è stato al centro di una precedente vicenda, anche giudiziaria, che è durata numerosi anni.
Ci riferiamo al noto caso “Peppermint” ed alle sue evoluzioni giurisprudenziali, basate sull’applicazione delle norme della Legge Autore, che hanno dato attuazione alla c.d. Direttiva Enforcement (Dir. 2004/48/CE).
Ci riferiamo in particolare alle disposizioni di cui agli artt. 156-bis e 156-ter L.A., la prima delle quali dispone, fra l’altro, che la parte abbia fornito seri elementi dai quali si possa ragionevolmente desumere la fondatezza delle proprie domande possa ottenere “che il giudice ordini alla controparte di fornire gli elementi per l’identificazione dei soggetti implicati nella produzione e distribuzione dei prodotti o dei servizi che costituiscono violazione dei diritti di cui alla presente legge”. Proprio richiamando la suddetta ipotesi di difesa di un diritto in sede giudiziaria, il Tribunale di Roma, decidendo circa la tutela conferita ex art. 156-bis LDA, aveva avuto modo di stabilire, con provvedimento in data 19 agosto 2006, che: “L’esibizione consentita dall’art. 156-bis 1. 633/41 non è inibita da alcuna norma del D. Lgsl. 96/2003. Stabilisce infatti l’art. 24, comma 1, lettera (f), D. Lgsl. 196/2003 che il trattamento dei dati personali – con esclusione della diffusione – è consentito anche senza il consenso dell’interessato, quando sia necessario “per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria””. Il Tribunale con riferimento allo specifico caso oggetto del giudizio (Peppermint) aveva aggiunto che “Tale è proprio il caso che qui ci occupa, non avendo la società ricorrente altro strumento per risalire, attraverso l’IP degli autori dell’upload, alle generalità di questi ultimi”.
Questa linea giurisprudenziale venne successivamente mutata dal Tribunale di Roma, soprattutto per l’intervento dell’Autorità per la Tutela dei Dati Personali, la quale prese parte direttamente ad alcuni dei giudizi in cui gli attori facevano istanza volta ad ottenere i dati dei soggetti che avevano immesso on-line – abusivamente – file di opere tutelate, tanto che le decisioni posteriori a quelle sopra citate in merito alla possibilità di ottenere informazioni sui soggetti coinvolti si allinearono alle richieste del Garante Privacy, in base ad una serie di decisioni uniformi, fino a giungersi all’ultima ordinanza del caso Peppermint a noi conosciuta, quella resa dal giudice Gabriella Muscolo in data 19 marzo 2008 nel caso Techland – Peppermint Jam Records / Tiscali Italia.
Nell’ordinanza in questione il magistrato di prime cure, che al tempo faceva parte delle Sezioni Specializzate in materia di P.I. presso il Tribunale di Roma, ha condotto un’interessante analisi sul fondamento giuridico delle citate norme degli artt. 156-bis e 156-ter L.A., sostenendone la piena operatività ed efficacia nel nostro ordinamento per i fini che esse si prefiggono, ma rilevando che l’art. 156-bis, comma 3, imporrebbe al giudice, nel chiedere le informazioni dai contraffattori, l’obbligo di adottare “le misure idonee a garantire la tutela delle informazioni riservate, sentita la controparte”. Secondo lo stesso giudice del Tribunale di Roma, anche la Direttiva 2001/29/CE sulla tutela del D.A. nella società dell’informazione, all’art. 9, farebbe salve – fra le molte – le norme che riguardano “la riservatezza, la tutela dei dati e il rispetto della vita privata” la cui difesa prioritaria – ad avviso di tale magistrato – si estenderebbe anche ai provvedimenti inibitori “assunti nei confronti degli intermediari i cui servizi siano utilizzati da terzi per violare un diritto d’autore o diritti connessi” di cui all’art. 8 della medesima citata Direttiva.
A tale stregua, il Tribunale di Roma dopo avere svolto un ragionamento circa la proporzionalità delle misure da adottare per la tutela dei diritti, anche in relazione al principio di bilanciamento degli interessi tutelati (privacy e proprietà intellettuale) tracciato dalla sentenza della Corte di Giustizia nel procedimento Promusicae / Telefonica(8), ha ritenuto che nei casi in cui “l’esecuzione dell’ordine di discovery si risolvesse in una comunicazione dei dati personali dei consumatori, senza alcun consenso dei medesimi, che operano sulla rete sulla presunzione di anonimato, la misura violerebbe il diritto alla riservatezza dei medesimi e pertanto ne difetterebbe il requisito di ammissibilità”.
Di diverso tenore è il testo dell’ordinanza del giudice di Torino di cui ci occupiamo oggi, secondo il quale, invece, il bilanciamento fra i contrapposti diritti deve essere letto nel senso che: “il diritto comunitario non impone agli Stati membri di istituire un obbligo di comunicare dati personali per garantire l’effettiva tutela del diritto d’autore nel contesto di un procedimento civile, ma neppure lo vieta”. Avuto riguardo alla domanda proposta dalla ricorrente Delta TV Programs nei confronti di Dailymotion, secondo il presidente delle Sezioni Specializzate di Torino essa appare “logica, mirata e circoscritta agli autori di conclamate, circoscritte e riconosciute violazioni, per giunta penalmente rilevanti (ai sensi dell’art.171 l.d.a.), e soprattutto, in palese divergenza rispetto al caso deciso dalla Corte di Giustizia (Promusicae vs.Telefonica), considerato che qui non si tratta di acquirenti di prodotti illecitamente diffusi ma dei veri e propri autori dell’atto di violazione”. In altri termini: va chiaramente distinto il downloading dall’uploading di opere protette, costituendo il primo un’azione penalmente neutra, mentre il secondo – chiaramente connotato da scopo di lucro – appare come fatto grave e tale da mutare il bilanciamento degli interessi in gioco.
A sostegno di tale tesi, il giudice del tribunale piemontese sottolinea che, nel caso in esame, non ci troviamo di fronte ad una contrapposizione fra sfruttamento patrimoniale dell’opera e libertà di comunicazione e di espressione dei privati che riproducono abusivamente i file di opere protette per un fine personale, ma detta contrapposizione semmai riguarda “la riproduzione e diffusione a fini almeno indirettamente commerciali dell’opera in regime di concorrenza di fatto”. In altri termini, la tutela della privacy non giustifica azioni di arricchimento a danno del titolare dei diritti sulle opere protette, tanto da sacrificare totalmente il suo investimento e quello dei suoi cessionari.
Non dissimilmente da quanto recentemente deciso dal Tribunale di Torino, anche il Tribunal de Grand Instance di Strasburgo, in data 21 gennaio 2015, ha ordinato a quattro importanti service provider di fornire agli avvocati dell’associazione antipirateria ricorrente “l’identità, l’indirizzo postale, l’indirizzo e-mail delle persone titolari degli indirizzi IP riportati nel processo verbale” in atti.
Forse è troppo presto per affermare che ci troviamo di fronte ad un revirement dei magistrati di fronte al dilagare degli illeciti commessi attraverso la rete telematica, ma – questo è certo – l’attenzione al problema sta crescendo al pari della preoccupazione dei titolari dei diritti sui contenuti, i quali ultimi appartengono in misura crescente alle stesse imprese che gestiscono le piattaforme digitali di maggiore rilievo e che hanno compreso la necessità di disporne per acquisire contatti e pubblicità, in altre parole: profitto.

Catapano Giuseppe informa: Zingaretti presenta la svolta Lazio, dai fondi UE alle norme anticorruzione

“Il Lazio è sempre più europeo. La regione sta facendo dei passi in avanti incredibili, negli ultimi due anni abbiamo aumentato del 123% la capacità di spendere i fondi della nuova programmazione”. Il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, ha sottolineato la svolta operativa dovuta al lavoro della Giunta, come quella relativa ad una “serie di azioni concrete che partiranno entro quest’anno sulla programmazione unitaria dei Fondi europei 2014-2020”.
“Siamo a un punto di svolta ma dentro un percorso che parte da lontano – spiega Zingaretti – Questa sfida è iniziata ancora prima che ci insediassimo alla guida della Regione: un percorso che inizia con un programma di governo che individuava proprio nell’Europa la più grande occasione di rigenerazione del Lazio e l’orizzonte naturale per cambiare la nostra regione”.
Zingaretti ha così presentato la programmazione unitaria 2014-2020 dei fondi Sie (Strutturali e investimenti europei).
A marzo 2013 il Lazio – spiega Zingaretti – era “di gran lunga l’ultima regione italiana per certificazione della spesa dei fondi Ue. Ora siamo a un passo dall’obiettivo del 100%”.
“Per la prima volta c’è un’unica cabina di regia, apriremo gli sportelli Europa nei territori per dare a tutti l’accessibilità alle notizie dei bandi, dopo la fase di risanamento oggi entriamo nella fase del lancio dello sviluppo. E’ un momento difficile ma sappiamo che in questo caso il Lazio se avrà un rapporto intelligente con l’Europa, potrà risorgere e tornerà a essere una delle locomotive italiane”.
Inoltre una legge della regione Lazio interviene sulle concessioni delle spiagge, per quanto “riguarda la classificazione delle diverse tipologie di utilizzo del demanio marittimo e la ripartizione delle spiagge libere (o libere con servizi) per le quali prima non esisteva una equa distribuzione sul litorale e che invece oggi viene regolamentata nella misura di almeno il 50% dell’arenile per ogni Comune”.
“Punto fondamentale della riforma – spiega Zingaretti – l’obbligo della trasparenza che prima non era assolutamente prevista e che invece oggi obbliga i Comuni a pubblicare le informazioni sulle concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative. Altrettanto importante, poi, aver introdotto una norma, prima inesistente, che regolamenta la destagionalizzazione delle attività degli stabilimenti e che tende a incentivare un utilizzo del demanio marittimo per tutto l’anno e non solo nel periodo estivo”.
Infine Zingaretti presenta anche le nuove norme anticorruzione. Da settembre nel Lazio cambieranno infatti le regole per la composizione delle commissioni di gara, partiranno le gare telematiche e prenderà forma il ‘Patto d’integrità con i fornitori’.

Giuseppe Catapano informa: LA COOBBLIGAZIONE SOLIDALE AL PAGAMENTO DELL’IMPOSTA DI REGISTRO TRA NOTAIO E SOCIETÀ

A norma dell’art. 57 del DPR n. 131 del 1986, il notaio che ha redatto l’atto ed ha richiesto la registrazione è obbligato (quale responsabile di imposta) in solido con la società (obbligato principale) al pagamento dell’imposta. Ne deriva che legittimamente l’ufficio ha notificato l’avviso di liquidazione al notaio in base all’art. 1292 c.c., secondo cui, in caso di obbligazione solidale, “ciascuno può essere costretto all’adempimento per la totalità e l’adempimento da parte di uno libera gli altri”, e rimette al creditore, nella specie all’amministrazione finanziaria, la facoltà di scegliere l’obbligato al quale rivolgersi, senza alcun dovere di notificare l’avviso anche alla società (cfr. Cass. n. 4047 del 2007 e n. 15005 del 2014), principio che, sotto il profilo processuale, si esprime nella regola che esclude la sussistenza del litisconsorzio necessario tra i vari condebitori d’imposta nella lite tributaria (cfr., da ultimo, Cass. n. 24098 del 2014).

Da tali principi consegue, da una parte, che la Società non è legittimata a dolersi della fondatezza dell’atto rivolto nei confronti del coobbligato, dato che in tal modo verrebbe a vanificarsi la facoltà di scelta della creditrice di chiedere l’adempimento ad uno qualsiasi degli obbligati solidali, e, dall’altra, che la mancata impugnazione ha reso definitivo il rapporto tributario nei confronti del Notaio.

Resta da aggiungere che tale accertamento non pregiudica la posizione della Società tenuto conto che, a norma dell’art. 1306, co. 1, c.c., “la sentenza pronunciata tra il creditore ed uno dei debitori in solido … non ha effetto contro gli altri debitori”, potendo, solo, esser opposta, ex art. 1306, co. 2, c.c., su istanza del condebitore, che ritenga di potersi avvalere del giudicato favore formatosi nei confronti di altro condebitore (sempreché, beninteso, non si sia confronti nei suoi confronti di un giudicato diretto contrario sul medesimo punto).

Catapano Giuseppe: Pensione per chi ha la legge 104

La pensione anticipata per chi assiste parenti con disabilità grave è uno degli argomenti più dibattuti, in questi ultimi anni, poiché chi sopporta un simile onere ha, ovviamente, seri problemi nella prosecuzione del rapporto lavorativo: purtroppo lo Stato, sinora, non ha provveduto a creare una normativa previdenziale ad hoc, ed in linea generale non è prevista alcuna agevolazione. Bisogna osservare, però, nel dettaglio, che la possibilità di collocarsi a riposo con uno “sconto”, ovvero con i requisiti precedenti alla Riforma Pensioni del 2011, era stata inizialmente contemplata da un decreto emanato nel 2013. La disposizione, meglio conosciuta come Salvaguardia, in effetti, prevedeva una quiescenza anticipata, modificando il Decreto Salva-Italia, ma solo nei confronti dei soggetti che avessero fruito, nel corso dell’anno 2011, o di permessi in base alla Legge 104, o di congedi per assistere familiari gravemente ammalati; per ottenere il beneficio, perciò, non bastava soltanto l’assistenza, ma era indispensabile aver richiesto riposi , per tale motivazione, durante il 2011, indipendentemente dal protrarsi dell’assenza. Grazie alla norma del 2013, questi lavoratori si sono potuti pensionare nel 2014: non tutti, però, sono riusciti a raggiungere la quiescenza, ma solamente coloro che avevano raggiunto la quota 96 entro il primo gennaio 2014 (ad esempio, con un’età di 61 anni e 35 di contribuzione). Sono stati emanati, in seguito, altri decreti di Salvaguardia, sino ad arrivare alla Sesta: la normativa, di fatto, ha rinnovato quanto contemplato dalle precedenti normative in merito, ossia, oltre ad altre tipologie di eccezioni, la possibilità di andare in pensione, per gli aventi diritto a riposi per l’assistenza di familiari con Legge 104 nell’anno 2011, al raggiungimento dei parametri anteriori al Salva Italia (almeno 61 anni e 3 mesi compiuti, più 35 anni di contribuzione, con quota 97,3, oppure 40 anni di contributi a prescindere dell’età), entro il 6 gennaio 2016 (poiché, per chi beneficia della deroga alla Riforma Previdenziale, è applicata una finestra di 12 mesi). La disposizione, purtroppo, risulta scaduta dal 5 gennaio 2015, poiché tale data costituiva il termine ultimo per presentare richiesta al Ministero del Lavoro. Non bisogna dimenticare, peraltro, che la norma limitava la platea dei beneficiari a soli 1.800 soggetti in tutt’Italia. Fortunatamente, il nostro Parlamento è già al lavoro per la Settima Salvaguardia: lunedì 4 maggio, infatti, è stato depositato un nuovo disegno di legge in merito, che, tra le diverse categorie d’interessati, comprende sempre i fruitori di congedi e permessi per l’assistenza a parenti invalidi o gravemente malati. Data anche la caducità della Legge Monti Fornero, dichiarata illegittima, in alcune parti, dalla Corte Costituzionale, con una sentenza depositata lo scorso 30 aprile, non sarebbe una scelta sciocca ampliare il numero dei beneficiari, anche per evitare futuri contenziosi in merito alla disciplina previdenziale.