Era scoppiato un vero e proprio casus belli l’anno scorso in merito alla legittimità delle multe sulle strisce blu per “grattino scaduto”: secondo, infatti, giudici e Ministero mancherebbe, nel codice della strada, la norma che punisce il conducente quando l’auto permane sulle strisce blu anche quando il ticket orario è scaduto e non viene rinnovato. Oggi però arrivano le nuove istruzioni del Ministero dei Trasporti e Infrastrutture. La nota chiarisce che, ai fini della legittimità delle multe in questione, è necessario che vi sia un regolamento comunale a definire (o meglio, “regolamentare”) la sosta sulle strisce blu. Tale regolamento deve quindi indicare tutti i casi in cui sia obbligatorio il pagamento del ticket e, in particolare: – in quali fasce orarie; – in quali giorni della settimana (per esempio quelli feriali) – per quali categorie di veicoli. Solo se tali parametri sono stati ben definiti nel provvedimento del Comune, i vigili o gli ausiliari del traffico potranno elevare la multa da 25 euro agli automobilisti che lasciano la macchina anche oltre il tempo dal pagamento. Diversamente, la sanzione è illegittima. Dunque, ammesso che l’automobilista voglia avventurarsi in un ricorso al giudice di pace contro una multa di poche decine di euro, potrebbe eccepire l’inesistenza del regolamento comunale, onerando l’amministrazione resistente di esibirlo in giudizio; in assenza di tale prova, l’automobilista vincerà il ricorso. Insomma, a seguito della nuova nota, le multe per chi tiene l’auto per troppo tempo (rispetto a quanto ha pagato) sulle strisce blu non sono automaticamente “sanate”, né – al contrario – restano tutte illegittime, ma dipenderà da Comune a Comune, in base all’eventuale approvazione del regolamento apposito. Questo perché il Codice della strada prevede le multe sulle strisce blu solo “se si tratta di sosta limitata o regolamentata”. Di qui la domanda cruciale: quando la sosta è “regolamentata”? Sul punto era nato un forte dibattito sia in giurisprudenza che a livello amministrativo. Si era detto, infatti, che la violazione dell’obbligo di rinnovare il ticket avrebbe comportato solo un inadempimento contrattuale, con diritto del Comune a riscuotere le somme non con i normali strumenti del diritto amministrativo (sanzione e riscossione con iscrizione a ruolo dell’importo e intervento di Equitalia), ma con quelli del diritto civile (inadempimento contrattuale e azione di recupero crediti). Il problema aveva ovviamente scatenato le proteste dei sindaci che, dopo un incontro con il Governo, erano riusciti a strappare un orientamento diverso, ma contenuto in un semplice comunicato: atto che non è stato sufficiente a convincere le Prefetture del mutato indirizzo. Così ora i chiarimenti con la nuova nota ministeriale che delinea il concetto di “sosta regolamentata” e la conseguente applicazione della multa da 25 euro (per chi parcheggia senza pagare nulla la sanzione parte invece da 41 euro).
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Giuseppe Catapano informa: Autovelox e tutor, da oggi le multe sono “incostituzionali”
Le multe con Autovelox e tutor sono, ora, tutte illegittime: e questo perché, pochi istanti fa, la Corte Costituzionale, con una sentenza che stravolge i precedenti delle aule dei giudici di pace italiani e della stessa Cassazione, ha dichiarato incostituzionale il codice della strada nella parte in cui non prevede l’obbligo di sottoporre a verifiche periodiche e a taratura i sistemi di controllo elettronico della velocità dei veicoli. Questo significa che tutti gli apparecchi non “revisionati” periodicamente dalle autorità di polizia non potranno elevare più multe. Una mannaia per le casse dei Comuni che, sino ad oggi, hanno contato proprio sui velox e sui tutor per potersi finanziare. Ma procediamo con ordine. Sino ad oggi la Cassazione ha sempre rigettato i ricorsi degli automobilisti fondati sulla eccezione della mancata taratura dell’autovelox, dando ragione alle amministrazioni locali: e questo perché non esiste alcuna norma, nel nostro ordinamento, che prevede l’obbligo di taratura e di controllo periodico degli autovelox. E difatti così è. Tant’è vero che l’intervento di oggi della Corte Costituzionale è volto a colmare questa lacuna: la Corte, in particolare, è dovuta intervenire con una sentenza cosiddetta creativa, ossia che non fa altro che far “nascere” una nuova norma (prima, appunto, inesistente). E infatti, la Consulta scrive che è incostituzionale il codice della strada… “nella parte in cui non prevede che tutte le apparecchiature impiegate nell’accertamento delle violazioni dei limiti di velocità siano sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e di taratura”. In buona sostanza, così disponendo, la Corte Costituzionale non fa altro che dire cosa, da oggi, bisognerà fare. E quindi, obbliga le forze dell’ordine a sottoporre a verifiche e taratura gli autovelox e tutor. Il ragionamento è abbastanza semplice e lo abbiamo spiegato nell’altro articolo di oggi “Autovelox, taratura obbligatoria”: qualsiasi strumento di misura, specie se di tipo elettronico, è soggetto a variazione delle sue caratteristiche, dei valori misurati dovuti ad invecchiamento delle proprie componenti e ad eventi quali urti, vibrazioni, shock meccanici e termici. La stessa usura potrebbe far sì che le multe più “vecchie” siano errate rispetto a quelle più “giovani”. Insomma, la Corte Costituzione ritiene che gli autovelox, i tutor e i vari fratellini piccoli non siano sempre affidabili; pertanto la polizia deve sempre verificare che essi siano sempre in buon stato di funzionamento. Gli effetti sui ricorsi al giudice di pace Si tratta di una sentenza che potrebbe mettere uno “stop” alle multe, almeno finché le amministrazioni non adegueranno le proprie procedure interne ai nuovi obblighi. Per quanto, invece, riguarda le aule dei tribunali, l’effetto è altrettanto prorompente. Infatti, le sentenze della Corte Costituzionale hanno efficacia immediata dal giorno della loro stessa pubblicazione. Così il dictat di oggi della Consulta è già operativo. Risultato: le cause in corso e quelle che verranno avviate nei prossimi giorni dovranno tenere conto del nuovo cambiamento di interpretazione e, quindi, accogliere i ricorsi degli automobilisti che abbiano sollevato l’eccezione di difetto di taratura. Tuttavia l’informazione sulla taratura del rilevatore di velocità è in possesso solo dell’organo di polizia che ha proceduto al controllo. Di conseguenza, il destinatario della multa potrà richiedere, in via preventiva, tale informazione direttamente all’autorità, avendo tuttavia cura di muoversi con celerità, al fine di non far scadere i termini di proposizione dei ricorsi (30 giorni di fronte al Giudice di pace, 60 nel caso di ricorso al Prefetto, a partire dalla data di notificazione o contestazione del verbale) che, anche in caso di richiesta di delucidazioni, non subiscono interruzioni o sospensioni di alcun tipo. Insomma, al fine di evitare un ricorso inutile, occorre in ogni caso vedere se l’apparecchio utilizzato è stato sottoposto a verifica. A volte ciò è riportato nel verbale. Altre volte è necessario chiedere al corpo di polizia l’esibizione del documento. Alcuni richiedono di esibirlo direttamente al giudice di pace, perché presentano subito ricorso e non di rado questa strategia premia perché le amministrazioni non sono in grado di portare il certificato in udienza. E per chi ha già pagato? Per chi ha già pagato la multa o ha appena perso un ricorso al giudice di pace, la sentenza di ieri della Corte costituzionale non cambia nulla, e non permette di sperare in rimborsi anche in caso di multe prodotte da autovelox non verificati periodicamente. Il pagamento, infatti, chiude definitivamente la partita e la sentenza ha effetto esclusivamente sui rapporti giuridici aperti al momento della sua pubblicazione.
Catapano Giuseppe scrive: Normativa sui cookie: chiarimenti del Garante Privacy e prime multe
Il 2 giugno è scaduto il termine entro il quale i siti internet avrebbero dovuto adeguarsi alla normativa in materia di cookie, con particolare riferimento all’informativa per gli utenti . Il Garante della privacy, considerata la delicatezza della materia, è intervenuto con una recente nota per fornire alcuni chiarimenti sugli obblighi dei siti e sulla necessità di tutelare la privacy degli utenti, il cui consenso preventivo è essenziale ai fini dell’uso lecito dei cosiddetti cookie di profilazione (cioè quelli che tracciano le scelte di navigazione dell’utente). Innanzitutto viene specificato che la normativa in materia di cookie si applica a tutti i siti che, a prescindere dalla presenza di una sede nel territorio dello Stato, installano cookie sui terminali degli utenti, utilizzando quindi per il trattamento strumenti situati sul territorio dello Stato. I siti che non consentono l’archiviazione delle informazioni nell’apparecchio dell’utente o l’accesso a informazioni già archiviate, e che quindi non utilizzano cookie, non sono soggetti agli obblighi previsti dalla normativa. Per l’uso di cookie esclusivamente tecnici (necessari cioè per far funzionare il sito) è richiesto il solo rilascio dell’informativa con le modalità ritenute più idonee (ad es. inserendo il riferimento nella privacy policy del sito) senza necessità di realizzare un apposito banner. I cookie analitici (cioè quelli necessari per monitorare l’uso del sito da parte degli utenti per finalità di ottimizzazione dello stesso) possono essere assimilati ai cookie tecnici se vengono realizzati e utilizzati direttamente dal sito senza l’intervento di soggetti terzi. Se però i cookie analitici sono realizzati e messi a disposizione da terze parti, è necessario che queste ultime utilizzino strumenti idonei a ridurre il potere identificativo dei cookie (per esempio, mediante il mascheramento di porzioni significative dell’indirizzo IP). L’impiego di tali cookie deve, inoltre, essere subordinato a vincoli contrattuali tra siti e terze parti, nei quali si faccia espressamente richiamo all’impegno della terza parte ad utilizzarli esclusivamente per la fornitura del servizio, a conservarli separatamente e a non “arricchirli” o a non “incrociarli” con altre informazioni di cui esse dispongano. Molti siti hanno evidenziato la difficoltà di apportare le modifiche necessarie in materia di cookie alle proprie piattaforme che già contengono al loro interno strumenti, spesso pre-configurati, per la gestione dei cookie. Consapevole di tali difficoltà, il Garante ha indicato ai siti il termine di un anno per adeguarsi compiutamente alla normativa. In caso di cookie di profilazione provenienti da domini “terze parti”, sono necessari due elementi: a) il banner che genera l’evento idoneo a rendere il consenso documentabile (a carico del sito principale) b) i link aggiornati ai siti gestiti dalle terze parti in cui l’utente potrà effettuare le proprie scelte in merito alle categorie e ai soggetti da cui ricevere cookie di profilazione. Il Garante chiarisce inoltre che se sul sito i banner pubblicitari o i collegamenti con i social network sono semplici link a siti terze parti che non installano cookie di profilazione, non c’è bisogno di informativa e consenso. Nell’informativa estesa il consenso all’uso di cookie di profilazione potrà essere richiesto per categorie (es. viaggi, sport). Il provvedimento del Garante prevede che la prosecuzione della navigazione mediante accesso ad altra area del sito o selezione di un elemento dello stesso (ad esempio, di un’immagine) comporta la prestazione del consenso all’uso dei cookie. Il Garante fa presente che a tal fine sono ammesse soluzioni per l’acquisizione del consenso basate su “scroll“, ovvero sulla prosecuzione della navigazione all’interno della medesima pagina web. È però necessario che tali soluzioni, particolarmente rilevanti nel caso di dispositivi mobili, siano chiaramente indicate nell’informativa e siano in grado di generare un evento, registrabile e documentabile presso il server del gestore del sito (prima parte), che possa essere qualificato come azione positiva dell’utente. Se un dominio gestisce più siti web, è sufficiente effettuare una sola notifica al Garante per l’utilizzo dei cookie.
Catapano Giuseppe informa: 120mila euro di multa, ma che ci faceva con la Bmw (pubblica) quel figlio di Achille
In 17 anni hanno totalizzato un record. Tra semafori rossi, eccessi di velocità e affini hanno collezionato multe per 120mila euro. Multe tutte pagate ma non con i soldi di chi le ha prese, con quelli di una società pubblica, la Ferrovie Nord Milano. Protagonisti della vicenda Norberto Achille, per 17 anni a capo della società, suo fratello Nicola ma soprattutto suo figlio Marco Achille.
Era quest’ultimo a usare, non si sa bene a che titolo, le auto di rappresentanza di Ferrovie Nord. E a collezionare multe su multe. Pratica che, scrive Repubblica in un lungo pezzo firmato da Emilio Randacio, sarebbe continuata anche a inchiesta in corso.
L’auto preferita da Marco Achille è soprattutto una Bmw 5. Ma al di là dell’uso improprio, del possibile rilievo penale della vicenda, una domanda sorge spontanea. Come si fa ad arrivare a prendere 120mila euro di multe? Cosa ci faceva con quella Bmw pubblica il figlio di Achille? Sulla questione si interroga a modo suo Massimo Gramellini che sulla Stampa scrive:
Centoventimila euro di multe. Anche a prenderne una al giorno, quanti anni di coscienzioso menefreghismo ci vogliono per metterle insieme? E quale sorgente inesauribile di punti zampillava dalla patente di chi ha continuato, sbadato e imperterrito, a collezionare contravvenzioni? Qui si narrano le gesta dei figli neanche più giovanissimi del presidente delle Ferrovie Nord (FN) di Milano, a cui il babbo aveva dato in uso due auto blu decisamente indisciplinate. Uno dei tanti agi che il satrapo dei pendolari divideva con i suoi cari. Dai telefoni all’abbigliamento, dalla pay-tv alle scommesse sportive. Possibile che nessuno si fosse accorto di niente? Cercheranno di farcelo credere, ma sarà ben esistito un ragioniere che saldava gli estratti conto, un revisore addetto ai controlli, un amministratore che per mestiere avrebbe dovuto dare uno sguardo ai bilanci e invece soffriva di temporanea cecità. Esistevano, ovviamente. Però nessuno ha parlato perché nessuno si è stupito né tantomeno scandalizzato
Di cronaca si occupa invece Randacio. Cita le intercettazioni. Telefonate che raccontano di un padre, Randacio, che a un certo punto sembra quasi spaventato per la piega che sta prendendo la vicenda e di un figlio, Marco, che imperterrito continua a usare l’auto e prendere multe:
(… ) Achille riceve una telefonata da tale “Alida”, definita dagli investigatori come “conoscente di Norberto”. “Stamattina un altro articolo…. su Repubblica… con 120mila euro di multe pagate ai familiari”. L’interlocutrice sembra basita. Ma “questo è vero?”, chiede al numero uno di Fnm. “Beh, in parte sì… Sono, se tu fai il conto 17 anni, son tanti voglio dire, ovviamente… però non sono state pagate (le multe, ndr), sono arrivate in ritardo… un casino su quelle multe”. Infrazioni al codice della strada commesse — se si segue il solco dell’indagine — soprattutto dalla Bmw “in uso esclusivo a Marco Achille”. Al quale il padre, a un certo punto si rivolge categorico «non andare in giro con quella macchina lì, adesso se ci beccano facciamo proprio il botto, capisci?».
Era un vezzo, quello di infrangere le norme e di metterle sul conto della società, che non si frena comunque in casa del manager, anche quando lo scandalo è già scoppiato. Sempre il 26 marzo, il padre avvisa telefonicamente il figlio; “Sono arrivate altre due multe. Per velocità e un semaforo rosso”. Il padre sembra severo, questa volta. “Sì, può darsi perché sono passato in quel cazzo di viale Famagosta a 55 all’ora”, risponde serafico il commercialista. Ma il padre sbotta. “Di oltre 10 chilometri all’ora (sopra il limite, ndr). E poi un’altra perché sei passato con il rosso. Cazzo, sono altri 500 euro di multa”. Tanto, poi, paga l’azienda.