Ci si chiede spesso se coloro che svolgono stages o tirocini formativi all’interno di una azienda rientrino, ai fini dell’applicazione della legge sulla sicurezza sul lavoro, nel percorso formativo dettato dall’Accordo Stato-Regioni sulla formazione dei lavoratori, dirigenti e preposti? La risposta è si. La definizione di lavoratore ai fini dell’applicazione del decreto legislativo sopra citato è contenuta nello stesso decreto legislativo. Infatti, il lavoratore è la: “persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari”. Lo stesso articolo, così come modificato da una legge successiva, indica comunque anche coloro che sono da considerarsi equiparati ai lavoratori, ed in merito precisa che: “Al lavoratore così definito è equiparato: il socio lavoratore di cooperativa o di società, anche di fatto, che presta la sua attività per conto delle società e dell’ente stesso; l’associato in partecipazione …; il soggetto beneficiario delle iniziative di tirocini formativi e di orientamento …; l’allievo degli istituti di istruzione ed universitari e il partecipante ai corsi di formazione professionale nei quali si faccia uso di laboratori, attrezzature di lavoro in genere, agenti chimici, fisici e biologici, ivi comprese le apparecchiature fornite di videoterminali limitatamente ai periodi in cui l’allievo sia effettivamente applicato alla strumentazioni o ai laboratori in questione; i volontari del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e della protezione civile; il lavoratore di cui al decreto legislativo 1° dicembre 1997, n. 468, e successive modificazioni”, Dalla semplice lettura della norma è facile osservare che fra gli equiparati ai lavoratori il legislatore ha voluto specificatamente inserire gli stagisti ed i tirocinanti. È chiaro quindi che, nell’ipotesi in cui presso un’azienda siano presenti soggetti che svolgano stages o tirocini formativi, il datore di lavoro sarà tenuto a osservare tutti quegli obblighi previsti dalla legge sulla sicurezza nei confronti dei lavoratori, e sarà tenuto anche per questi casi ad adempiere agli obblighi formativi connessi alla specifica attività svolta. Agli stagisti ed ai tirocinanti in definitiva, ai sensi dell’Accordo Stato-Regioni sulla formazione dei lavoratori, dirigenti e preposti, deve essere impartita una formazione generale della durata di 4 ore ed una formazione specifica della durata di 4, 8 o 12 ore a seconda del settore di attività al quale appartiene l’azienda ed a seconda della fascia di rischio, basso, medio o alto, nella quale è inserita l’attività dell’azienda medesima. In tal senso si è espresso anche il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nella risposta ad un quesito allo stesso formulato in data 1/10/2012. Nel fornire tale risposta, infatti, il Ministero del Lavoro, dopo aver ribadita la equiparazione, degli stagisti e dei tirocinanti con i lavoratori, ha concluso sostenendo che, nel caso in cui presso un’azienda o uno studio professionale siano presenti soggetti che svolgano stage o tirocini formativi, il datore di lavoro sarà tenuto ad osservare tutti gli obblighi di legge necessari a garantire la salute e la sicurezza degli stessi e, quindi, adempiere gli obblighi formativi connessi alla specifica attività svolta.
lavoratore
Catapano Giuseppe osserva: Licenziamento ingiurioso: le ultime sentenze
Il licenziamento può essere anche ingiurioso. Ciò capita, ad esempio, quando l’azienda lo pubblicizzi pur non essendo necessario, accompagnandolo a considerazioni sulle qualità personali e/o professionali del lavoratore senza che ve ne sia bisogno o attribuendogli condotte dolose e/o infamanti secondo il comune sentire. Se, invece, l’azienda si limita a contestare un generico comportamento colposo (per quanto non vero) non vi è ingiuria. Insomma, il carattere ingiurioso del licenziamento (la cui prova spetta al lavoratore) non consiste, pertanto, nella semplice contestazione, da parte del datore di lavoro, di un fatto lesivo del decoro del lavoratore, ma dipende unicamente dalla forma con cui esso viene espresso o dalla pubblicità o da altre modalità con cui sia stato adottato, quando ciò sia idoneo a ledere l’integrità psico-fisica del lavoratore. In tali casi, fermo restando il risarcimento del danno per il licenziamento illegittimo o pretestuoso, al dipendente spetta un’ulteriore voce di danno per l’onta subìta. Infatti, una cosa è il licenziamento ingiustificato (perché privo di giustificato motivo o di giusta causa o discriminatorio o verbale) e un’altra è invece il licenziamento ingiurioso che, in quanto lesivo della dignità e dell’onore del lavoratore, dà luogo ad un ulteriore risarcimento del danno. Danno che, ovviamente, il dipendente dovrà dimostrare . La legge prevede già delle forme di risarcimento per il caso di licenziamento illegittimo, commisurate al periodo di lavoro e, ora, con il cosiddetto contratto a tutele crescenti, prefissate dalla legge. Dunque, il lavoratore non può chiedere un ulteriore risarcimento del danno morale a seguito dell’illegittima perdita dello stipendio. E ciò perché il danno costituito dalla lesione dell’integrità psico-fisica del lavoratore e causato esclusivamente dal licenziamento illegittimo (per assenza della relativa giustificazione: giusta causa o giustificato motivo o violazione di norme legali o contrattuali) non è risarcibile. Tutto ciò che può chiedere il lavoratore è il danno per l’eventuale licenziamento ingiurioso: quest’ultimo, infatti, trova la sua causa non nella perdita in sé del posto di lavoro, bensì nel comportamento illegittimo del datore di lavoro . Il licenziamento ingiustificato o non motivato è certamente illegittimo e produce un danno che segue i risarcimenti previsti dalla legge, ma non per questo è anche ingiurioso. Per cui il lavoratore non può pretendere, a tale titolo, un ulteriore risarcimento ove non provi di aver subito anche un danno diverso da quello derivante dall’essere stato illegittimamente licenziato.