Catapano Giuseppe: Eurodisney, prezzi più alti per italiani o tedeschi. Ma anche Zalando, Asos…

A Disneyland Parigi due per una famiglia con bambini costano 865 euro se sei francese o belga, 1.114 euro se sei spagnolo, 1.204 se sei romeno e 1.339 se sei italiano. Prezzi per la stessa identica camera. Nello stesso giorno. Prezzi che variano solo ed esclusivamente in base alla nazionalità di chi prenota. Con italiani, tedeschi e spagnoli penalizzati rispetto a francesi e belgi.
Ad accorgersi del tutto e a denunciarlo è stato un europarlamentare. Uno di quelli la cui nazionalità è favorita, il socialista belga Marc Tarabella. Il punto è che differenziare la tariffa in base alla nazionalità è discriminatorio e illegale. Disneyland, spiega su Repubblica Paolo Brera nel riportare la notizia, per ora si rifiuta di commentare.
Che sia discriminazione e comunque comportamento non legale lo dimostra una direttiva europea del 2006 che all’articolo 95 recita: “L’accesso a un servizio non può essere negato o reso più difficile in base alla nazionalità o al luogo di residenza” Non solo, sempre secondo la direttiva in questione “tariffe e condizioni variabili debbano essere direttamente giustificate da costi supplementari”.
E’ evidente che qualcosa a Eurodisney non torna. Il punto è che non è un caso isolato. Perché l’online, da questo punto di vista è una giungla. Uno compra una maglietta e la paga in base all’indirizzo da cui proviene l’ordine. Tra i marchi finiti sotto accusa da Tabarella ce ne sono alcuni di rilievo:
Siti di abbigliamento online come «Zalando, La Redoute, Asos e altri permettono di acquistare capi a prezzi diversi da un paese all’altro», ma rendono «impossibile acquistare nei Paesi europei in cui è più economico». Nelle boutique in calce e mattoni, due negozi della stessa catena possono vendere lo stesso prodotto a prezzi differenti, ma non possono certo impedire a un cliente di comprare in quello più economico. Online, invece, le frontiere sono intatte e i doganieri inflessibili: per la spedizione, «Zalando ti chiede il codice di avviamento postale» e ti rimanda al sito del paese in cui ti trovi.

Giuseppe Catapano informa: RENZI IN STILE CAMERON? PRO E CONTRO IN VISTA DI ELEZIONI CHE SARANNO UN ESAME SEVERO PER IL GOVERNO

Si è diffusa l’idea che quattro milioni di pensionati in ansia per le conseguenze della sentenza della Consulta sulla legge Fornero, che gli insegnanti e gli studenti scioperanti per la riforma della scuola, che i dipendenti pubblici sul piede di guerra, e che i disillusi di Renzi – fans della prima ora, via via andati perdendo fiducia – siano complessivamente un numero tale da poter tirare un brutto scherzo al presidente del Consiglio in occasione delle elezioni regionali che si terranno fra due settimane. Non sappiamo francamente se sia davvero così, e comunque ci sottraiamo come sempre alla lotteria dei sondaggi e delle previsioni. Notiamo però alcune cose. Alcune a favore di Renzi. Primo: è fisiologico perdere consenso in corso d’opera; anzi, più se ne perde più può essere il segnale che si stanno prendendo decisioni – giuste o sbagliate che siano – senza l’ansia di voler accontentare tutti e piacere a tutti. Secondo: Renzi ha scientemente spaccato il Pd, per trasformarlo in qualcosa che fosse libero dai condizionamenti vetero-comunisti di una parte della “vecchia ditta” e vetero-cattocomunisti di quella che una volta era la sinistra DC più ideologica. Se pagasse un prezzo elettorale a sinistra sarebbe normale – e, immaginiamo, calcolato – e comunque andrà verificato quanto questa operazione gli consente di recuperare al centro, nel corpaccione maggioritario dell’elettorato moderato. Se anche fosse che si becca il 30% anziché il quasi 41% delle europee, risulterebbe pur sempre il primo partito e sarebbe molto più libero politicamente. Dunque, nel caso, il gioco sarebbe valsa la candela. Terzo: i nemici di Renzi, pur essendoci molti motivi buoni per criticarlo, continuano invece a usare argomenti logori (“va troppo veloce”), esagerati (“l’Italicum cancella la democrazia”) e conservativo-corporativi (“no ai presidi sceriffo nelle scuole”), mostrando di non avere alcun progetto riformatore alternativo. Così, alla fine, anche chi non è del tutto convinto dell’azione del governo e trova urticanti certi modi e toni di Renzi, finisce per votarlo, aiutato dal sempre più gettonato concetto che “non c’è alternativa”.

È pur vero, però, che a sfavore del presidente del Consiglio militano altri argomenti. Primo: se ricevi una scomoda eredità come il “caso pensioni” non puoi rispondere, come ha fatto Renzi, “ci inventeremo qualcosa”. Secondo: se vuoi introdurre la meritocrazia nella scuola (sacrosanto intendimento) non puoi mettere sul piatto l’assunzione di 160 mila precari, orrenda toppa a un buco pluriennale, e per di più beccarti i sindacati che ti spernacchiano. Su questo tema condividiamo il giudizio, sereno ma tagliente, di Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli, secondo cui l’operazione precari “avrà effetti molto negativi, abbassando la qualità della scuola e ostacolandone il rinnovamento per molti anni a venire, perché senza una preventiva analisi dei profili necessari si adotta la logica assumiamo questi insegnanti e poi vediamo che cosa gli possiamo far fare”. Terzo: è inutile ostinarsi a declamare che l’economia ha svoltato, perché non è vero e chi lo constata quotidianamente si irrita a sentirselo dire. E noi, che non temiamo di passare per gufi (ci siamo abituati), azzardiamo persino di dire che i nostri fondamentali economici sono ancora con i piedi ben piantati nella recessione. Si pensi solo a questo: abbiamo fatto nel primo trimestre +0,3%, abbiamo messo in cascina su base annua due decimi di punto, tutte le stime (ultima quella di S&P) ci dicono che chiuderemo il 2015 a +0,4% e la massima ambizione è di smentire queste nefaste ipotesi confermando la previsione del governo di +0,7%. Risultati modesti in assoluto, ma che diventano negativi se si considera che sono stati e saranno conseguiti in un contesto favorevole senza precedenti (tassi, cambio, prezzo del petrolio, liquidità Bce), senza il quale saremmo ancora con il segno meno davanti. Quarto: il decisionismo di Renzi in materia di legge elettorale e riforme istituzionali non paga. Non perché gli italiani che nel merito ha smontato sia l’Italicum che il nuovo Senato, ma perché – a torto, sia chiaro – non considerano prioritario il tema.

Dunque, vedremo cosa uscirà dalle urne. Una cosa è certa: Renzi ha commesso l’errore – che gli deriva da quello di voler essere anche il segretario del Pd – di politicizzare l’appuntamento elettorale. Lo fece con le europee, gli ha detto bene e ci ha campato sopra per un anno, ma ora potrebbe anche doversene pentire. In tutti i casi sgombriamo preventivamente il campo da paralleli impropri: la vittoria di Cameron e l’Italicum di Renzi. Si è scritto che i Tory hanno vinto le elezioni con il 36% dei voti, e nessuno ha gridato allo scandalo. Ma lo storico maggioritario inglese non ha nulla da spartire con l’Italicum, e i candidati conservatori (tutti scelti dagli elettori) hanno conquistato 330 collegi uninominali, e se Cameron non disponesse della maggioranza assoluta, adesso sarebbe al lavoro per formare un governo di coalizione, senza dover ricorrere al ballottaggio tra le prime due liste. Detto questo, rimaniamo dell’idea che un sistema, il first-past-the-post, in cui un partito (Ukip) che prende quasi quattro milioni di voti pari al 12,6% e porta a casa un solo seggio mentre un altro (lo Snp) ne ottiene 56 con solo il 4,7%, sia a dir poco bizzarro, e comunque non rispondente al dna italiano. Una cosa, invece, è vera e non si è detta: il pragmatismo a-ideologico di Renzi – a volte usato bene, altre male, ma questo è un altro discorso – lo rende molto più somigliante a Cameron che ai laburisti. E non solo a quelli un po’ radicali di Miliband, ma anche a quelli riformisti di Blair. E questo elemento di genetica politica vedrete che, dopo le regionali, terrà banco. Ma ci torneremo a giugno, quando il quadro politico sarà costretto a fare i conti con il risultato elettorale.

Catapano Giuseppe informa: Banda italiani-romeni, bambino di 8 anni venduto e comprato a 30mila euro

Una banda di italiani e romeni ha venduto un bambino (romeno) di 8 anni a 30mila euro. E’ successo a Messina, scrive Gianluca Rossellini sul Corriere del Mezzogiorno. A comprare il piccolo, una coppia siciliana che vive in Svizzera e che non poteva avere figli e non riusciva ad adottarli. A venderlo, sei italiani e due rumeni, ora accusati di associazione per delinquere finalizzata alla riduzione in schiavitù.
I quattro fermati italiani, scrive l’agenzia Ansa, sono Vincenzo Nibali, 47 anni, di Castell’Umberto, Franco Galati Rando e Aldo Galati Rando, rispettivamente di 46 e 54 anni, entrambi di Tortorici, e Vito Calianno, di 43.
Gli investigatori, spiega sempre l’Ansa, hanno fermato anche la madre ed il fratello del bambino romeno, che oggi ha otto anni. L’età del piccolo non è casuale e si ricollega all’escamotage tentato dai due coniugi per riuscire ad avere un figlio ad ogni costo.
Nel 2008, ricostruisce l’Ansa, la coppia, originaria della provincia di Messina, aveva denunciato la nascita di un bambino mai esistito. Si sarebbe poi attivata per attribuire le generalità di questo figlio “fantasma” ad un bimbo individuato in Romania attraverso alcuni intermediari.
I due coniugi, spiega l’Ansa, si sarebbero accordati con i familiari del bambino per una cifra di trentamila euro. La consegna del denaro sarebbe avvenuto il 17 gennaio scorso in una zona di campagna nei Nebrodi. Una settimana dopo i due coniugi, con la madre rumena ed il fratello maggiorenne del bambino venduto, partono alla volta di Messina. Ma i carabinieri, che stavano già monitorando la vicenda, intervengono prima della consegna del bimbo ai futuri genitori. Il piccolo è stato adesso affidato ad una comunità per minori di Messina e potrà essere adottato regolarmente.