Il 16 giugno, ogni anno, è una data “fatale” per tutti i contribuenti: scadono infatti i pagamenti di molte imposte, come Imu, Tasi, Tari (ovvero le tre componenti della Iuc, imposta unica comunale), Irpef, Ires. Irap… Anche se alcune scadenze sono state posticipate al 6 luglio (tutti i versamenti derivanti da Unico e Irap 2015), quelle relative ai pagamenti delle imposte comunali restano, purtroppo invariate: inoltre, la proroga, anche se di 20 giorni, non risolve certamente i problemi di tutti coloro che hanno difficoltà nell’adempimento. Ecco che, allora, viene in aiuto di chi pagherà in ritardo l’istituto del ravvedimento operoso: si tratta, in pratica, della possibilità di pagare le tasse, comprese quelle locali, oltre i termini, versando sanzioni ridotte. Come si calcola il ravvedimento operoso per il ritardo La quantificazione delle sanzioni varia a seconda dei giorni di ritardo: – da 1 a 14 giorni oltre la scadenza, si applica il ravvedimento sprint, grazie a cui la sanzione per omesso versamento viene ridotta a 1/15 del minimo per ogni giorno di ritardo; conseguentemente, essendo la sanzione, per la maggior parte dei casi, pari al 30% dell’imposta dovuta, dunque essendo il minimo pari al suo decimo (3%), si dovrà pagare un tanto pari allo 0,2% per ogni giornata che va dal termine di legge al versamento effettivo: ad esempio, se Tizio adempie 5 giorni dopo la scadenza, verserà l’1% in più, rispetto all’importo originario, oltre agli interessi; – da 15 a 30 giorni dopo il termine, si applica il ravvedimento breve; grazie a quest’istituto, la sanzione corrisponde a 1/12 del 30% dell’ammontare dell’imposta, ovvero al 2,5%, innalzato al 3% (1/10 del minimo) per le violazioni commesse dopo il 31 gennaio 2011. Facciamo un esempio: Tizio e Caio devono pagare 100 Euro d’Irpef; Tizio effettua il versamento con 29 giorni di ritardo, Caio con soli 20 giorni; per entrambi la sanzione sarà di 3 Euro, cambierà solo l’importo degli interessi; – dal 31° giorno posteriore alla scadenza, entro i termini di presentazione della dichiarazione periodica successiva, oppure entro un anno, ove non prevista, si applica invece il ravvedimento lungo. La sanzione alla quale si è assoggettati, in questo caso, è pari a 1/8 del 30%, dunque al 3,75%: esemplificando, se Tizio e Caio devono versare l’Imu per un ammontare di 100 Euro, ma, mentre il primo versa l’imposta dopo 3 mesi e mezzo, il secondo la versa dopo 6 mesi, l’importo della sanzione sarà di 3,75 Euro per tutti e due; varierà soltanto la quantificazione degli interessi, anche in questo caso. Vi sono, però, delle modifiche recentemente apportate, nel caso in cui il ritardo non superi il 90° giorno, che andremo ora ad esporre. Il nuovo ravvedimento della Legge di Stabilità 2015. Grazie alla nuova normativa introdotta dal primo gennaio 2015, ci si può ravvedere senza limiti di tempo: le uniche cause ostative al ravvedimento operoso consisteranno solo nella notifica di un atto di liquidazione o di un avviso di accertamento; pertanto, si potrà usufruire dell’istituto anche con ispezioni e verifiche in corso. L’ammontare delle sanzioni, per ravvedimento sprint e breve, resta lo stesso, così come per il lungo, qualora si superi la scadenza di oltre 90 giorni. Per i versamenti che vanno dal 31° al 90° giorno, si applica invece una sanzione ridotta del 3,3%. Ottime notizie anche per i super ritardatari. Difatti: – per i versamenti da 1 a 2 anni oltre la scadenza, è ora applicabile una sanzione del 4,2%; – superati i 2 anni, la sanzione ammonta solamente al 5%. Calcolo degli interessi per ravvedimento operoso Come abbiamo accennato, per ravvedere i versamenti non basta la sanzione, ma è necessario anche il pagamento degli interessi legali. L’ammontare del tasso d’interesse legale varia ogni anno: nel 2014 era pari all’1%, e nel 2015 è sceso allo 0,50%.La formula per calcolare gli interessi, relativa a ogni annualità, è la seguente: importo da pagare, moltiplicato per il tasso d’interesse, diviso 365, per il numero dei giorni di ritardo. Ad esempio, se Tizio deve pagare 100 Euro d’Irpef, con 90 giorni di ritardo, il calcolo sarà: [(100x 0,50%):365]x90. Quindi verserà 12 centesimi d’interessi.
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Giuseppe Catapano informa: Per la dichiarazione TASI si usa il modello IMU
Con la Circolare 2/DF del 3.6.2015 il Ministero, in vista della scadenza della dichiarazione TASI, prevista per il 30 giugno, sposa una soluzione pro-contribuente, su una questione su cui si era acceso un forte dibattito tra comuni e ministero. Il Ministero precisa che ai fini TASI si dovrà utilizzare lo stesso modello previsto per la comunicazione delle variazioni ai fini IMU. Secondo il ministero, infatti, non sussiste la necessità di approvare un nuovo modello dichiarativo, in quanto le informazioni necessarie al comune per il controllo e l’accertamento dell’obbligazione tributaria, sia per l’IMU sia per la TASI, sono pressoché identiche. Il ministero chiarisce inoltre che, nel caso di immobile concesso in locazione, l’obbligazione dichiarativa ricade sia sul titolare sia sull’occupante, tuttavia i casi in cui concretamente sussiste l’obbligo di dichiarazione sono assai ridotti. Il ministero infatti chiarisce che la dichiarazione non è dovuta: per i contratti registrati a partire dal 1° luglio 2010 (in quanto da tale data era necessario indicare nel mod. 69 i dati catastali dell’immobile oggetto di locazione); in tutti i casi in cui i dati catastali sono stati già comunicati al momento della cessione, risoluzione o proroga del contratto. In tutti questi casi, infatti, l’ente locale può verificare il conduttore di ogni immobile collegandosi alla banca dati dell’Agenzia delle entrate. Nei casi in cui, invece, permane l’obbligo dichiarativo, il soggetto diverso dal titolare del diritto reale (come l’inquilino) potrà utilizzare la parte del modello dichiarativo dedicata alle “annotazioni”, indicando il titolo in base al quale viene occupato l’immobile (es. locatario).
Giuseppe Catapano osserva: Imu, la casa in affitto non è abitazione principale
La nozione di abitazione principale ai fini Imu riguarda unicamente l’unica unità immobiliare adibita a residenza anagrafica e dimora abituale da parte del possessore. Ne consegue che un immobile locato non può mai considerarsi abitazione principale ai fini del tributo comunale e, dunque, non ne è esente. Il contribuente, tuttavia, può accedere allo sconto di imposta (deduzione) del 20% previsto dall’ultimo DL Sblocca Italia: infatti, la nuova legge prevede un beneficio fiscale fino a massimo 60 mila euro (da dividere in otto anni per un totale di massimo 7.500 euro all’anno) per chi acquista casa e poi la dà in locazione (leggi “Agevolazione per chi compra casa e poi l’affitta”). C’è peraltro da dire che se il padrone di casa non può opporsi a che l’inquilino trasferisca la propria residenza nella casa in affitto, non può fare egli lo stesso, non essendo la sua dimora abituale. Insomma, per il padrone di casa, che ha dato l’immobile in affitto, non c’è modo di evitare il pagamento dell’Imu.