Oltre agli assegni per il nucleo familiare e al nuovo bonus bebè, una legge del 2014 ha introdotto – nel limite di risorse pari a 45 milioni di euro per l’anno 2015 – un beneficio a favore delle famiglie numerose. In particolare, la norma ha lo scopo di contribuire alle spese per il mantenimento dei figli, buoni per l’acquisto di beni e servizi a favore del nucleo familiare. Limiti di reddito e condomini Possono accedere al beneficio in commento i nuclei familiari con un numero di figli minori che sia pari o superiore a quattro. Quindi, una famiglia con tre figli non può avere i benefici, così come non potrà averli una famiglia con quattro figli di cui uno abbia superato i 18 anni. Inoltre, la famiglia deve essere in possesso di una situazione economica corrispondente a un valore dell’Isee non superiore a 8.500 euro annui. La norma, però, ad oggi non è ancora operativa. Un apposito decreto ministeriale dovrà regolamentare l’erogazione del bonus. Le modifiche all’ISEE Ricordiamo che, dal 1˚gennaio 2015 tutte le prestazioni sociali, scolastiche e sanitarie agevolate devono essere richieste presentando il nuovo Isee. L’indicatore della situazione economica equivalente delle famiglie, che fotografa la capacità di spesa in base a reddito, patrimonio e numerosità del nucleo familiare, è stata modificata, dopo 17 anni, dal Decreto “Salva Italia” ed è calcolato ora con un sistema completamente rinnovato. La modalità di calcolo varia, peraltro, a seconda della prestazione richiesta.
gente attiva
Catapano Giuseppe osserva: OK, ITALICUM E SENATO SONO RIFORME PESSIME MA L’ANTI-RENZISMO BECERO È SOLO UN REGALO A RENZI
Lo abbiamo detto e lo ripetiamo alla vigilia della sua definitiva approvazione: la nuova legge elettorale è un indigeribile minestrone privo di qualunque parentela con i sistemi europei più consolidati, che mischia proporzionale, premio di maggioranza, sbarramento e doppio turno per diventare alla fine una forzatura maggioritaria. Al di là della controversa e comunque non decisiva questione “preferenze-liste bloccate”, che sarebbe stato meglio risolvere adottando i collegi uninominali, il cervellotico sistema escogitato, ha palesemente questi difetti: adotta un premio spropositato a fronte di una soglia bassa; caso unico in Europa, somma sbarramento e premio, producendo uno squilibrio eccessivo tra l’obiettivo della governabilità e quello della rappresentatività; induce il rischio alla frammentazione delle opposizioni; non annulla l’indicazione del nome del candidato premier prevista da norme precedenti, palesemente in contrasto con il profilo costituzionale del nostro sistema istituzionale, che assegna al Capo dello stato il compito di indicare il nome del presidente del Consiglio e al Parlamento di approvarlo. Soprattutto, è un aborto per due ragioni: da una parte la clausola di salvaguardia, difficilmente aggirabile per decreto, proroga l’entrata in vigore al luglio 2016; dall’altra, è valida solo per la Camera, mentre per il Senato si userebbe la legge (proporzionale) uscita dalla sentenza della Corte Costituzionale, con il rischio che, nel caso in cui le riforme istituzionali dovessero fermarsi, si voterebbe con sistemi diversi per i due rami del Parlamento. Inoltre, essa si incrocia con una riforma del Senato che è una vera e propria schifezza, perché non risolve il problema dell’efficienza e velocità della produzione legislativa (mentre basterebbe rivedere i regolamenti parlamentari), e nello stesso tempo apre la porta agli esponenti del decentramento regionale proprio quando invece bisognerebbe rivederlo se non addirittura abolirlo.
Insomma, un italico pasticcio che ignora i motivi del fallimento della Seconda Repubblica e che rende palese la fondatezza di quanto da tempo andiamo affermando, e cioè che se è vero che dobbiamo fare le riforme dopo tanto immobilismo – e una nuova regolamentazione elettorale e un superamento del bicameralismo inefficiente sono cose più che necessarie – è altrettanto vero che fare le riforme sbagliate è peggio che non farne alcuna. E queste in campo, ahinoi, sono proprio del tutto sbagliate.
Detto questo, e proprio perché si tratta di un giudizio inequivocabile, ci permettiamo di dissentire in modo fermo e assoluto con la gran parte delle motivazioni di coloro – forze politiche e commentatori – che in queste ore si sono dichiarati contrari a queste riforme, senza per questo temere di essere bollati come filo-renziani. Le accuse più stupide, in sé e perché offrono su un piatto d’argento a Renzi argomenti a suo favore da spendere con l’opinione pubblica, sono quelle di chi ha gridato al fascismo, all’insorgere di una pericolosa “democratura”. È lo stesso errore commesso con Berlusconi. Se al Cavaliere, anziché rovesciargli addosso le accuse più infamanti, se invece di scatenargli contro magistratura e media fino all’ossessione, ci si fosse limitati a dire che non era capace di governare – come purtroppo era chiaro fin dall’inizio, causa mancanza di cultura politica – e gli si fossero opposte idee di governo riformatrici, vi possiamo garantire che la sua presenza a palazzo Chigi si sarebbe fermata al 1994. E invece l’anti-berlusconismo è stato il più formidabile propellente di cui Berlusconi abbia potuto godere. Ora la storia si ripete con Renzi. Dire che si forzano i tempi, quando sono anni che si aspetta, e si forzano le regole perché è stata messa la fiducia, nonostante si sappia che gli è perfettamente consentito – e lui l’ha usata, pur non avendone alcun bisogno, proprio perché sapeva di poter beneficiare di questo stupido riflesso condizionato – o urlare che stiamo mettendo un uomo solo al comando, quando tutta la Seconda Repubblica è stata una leadercrazia travestita da bipolarismo, significa essere politicamente sciocchi e fare un regalo grande come una casa a colui che si vorrebbe combattere. Se poi a strapparsi le vesti sono coloro (minoranza Pd, Forza Italia) che al Senato quelle stesse norme avevano già approvato senza batter ciglio e contro le quali, nel merito, si limitano a chiedere “modifiche” (ma come, aprono la porta al fascismo e ci si limita a volerle ritoccare?), beh allora si cade addirittura nel ridicolo. In un referendum svoltosi nel 2009, promosso dal costituzionalista Guzzetta nel 2007, si proponeva il premio di maggioranza alla lista e non alla coalizione. Tra i tanti, lo firmarono Rosi Bindi, Gianni Cuperlo e Renato Brunetta e fu approvato anche da Berlusconi. Oggi, tutti soggetti che gridano alla “democrazia in pericolo”: ma via, siamo seri. Certo, anche Renzi nel gennaio 2014 twittava: “Le regole si scrivono tutti insieme, farle a colpi di maggioranza è uno stile che abbiamo sempre contestato”. Ma questa incoerenza non giustifica quella degli altri. Semmai aggiunge preoccupazione a preoccupazione. Tutta questa veemente invettiva da parte della “vecchia immobile” classe politica non fa che accreditare Renzi agli occhi dell’opinione pubblica come il premier che le cose le fa. Purtroppo, a prescindere da cosa fa. Mentre è del merito che dovremmo seriamente occuparci.
La verità è che se Bersani e soci vogliono davvero fermare queste schifezze – e lo sono, delle schifezze, non perché abbiano connotati anti-democratici, ma perché non servono a dare la necessaria governabilità al Paese – devono proporre riforme alternative e indicare in una nuova Assemblea Costituente lo strumento per rivedere in modo serio il nostro assetto istituzionale. E devono offrire non lo spettacolo penoso di gente che piagnucola perché Renzi gli ha portato via il gelato – anche perché agli italiani i malandrini fanno simpatia – ma di riformisti seri e decisi che spiegano ai cittadini che la governabilità non la si ottiene con qualche formula matematica, come ha dimostrato l’esperienza della passata legge elettorale, e che per assicurare un governo stabile non basta un premio di maggioranza, per quanto possa essere ampio, ma è necessaria la legittimazione dei governi e quindi occorrono regole e politiche condivise.
Il fatto è che Italicum e Senato federale sono solo delle scuse, il terreno di gioco per un doppio regolamento di conti, interno a Pd e FI. Renzi vuole creare un grosso partito centrista, emarginando quel che rimane della sinistra politica e sindacale. La quale, avendo perso ogni credibilità agli occhi del Paese, tenta di resistergli. Berlusconi, preso da rimettere ordine nel suo impero, non è più interessato a pagare i costi di Forza Italia, di cui intende liberarsi, insieme a quasi tutta la nomenclatura che lui stesso ha partorito, ufficialmente per far nascere il partito repubblicano americano in Italia (con buona pace del vecchio Pri di lamalfiana memoria), in realtà per qualcosa di più modesto, un manipolo di parlamentari fedeli che gli guardi le spalle. La prima sarebbe cosa buona e giusta, se Renzi avesse cultura di governo e classe dirigente all’altezza della sfida. La seconda è classificabile come questione sostanzialmente privata.
Catapano Giuseppe informa: ISCRIZIONI IPOTECARIE, CARTELLA CONTESTATA: DECISIVA LA NOTIFICA. IN BALLO ORIGINALE E FOTOCOPIA DELLA RELATA
“Iscrizioni ipotecarie” contestate dalla contribuente, la quale sostiene che non le è stata “notificata la cartella esattoriale”.
Ebbene, tale obiezione viene ritenuta fondata dai giudici tributari, i quali evidenziano, in premessa, che “la società concessionaria, non costituita in primo grado, aveva prodotto solo in appello la copia delle relate di notifica concernenti la menzionata cartella di pagamento” e aggiungono che “le predette fotocopie delle relate di notifica, siccome recanti l’attestazione di conformità all’originale da parte della stessa società concessionaria” non rispondono alle “previsioni” normative, secondo cui “la conformità all’originale deve essere attestata da un pubblico ufficiale competente, tra i quali non poteva considerarsi compresa la società concessionaria”.
Per i giudici, di conseguenza, è lapalissiana “l’inesistenza della prova dell’avvenuta notifica della cartella”.
Tale visione, però, viene ritenuta lacunosa dai giudici della Cassazione. Questi ultimi, difatti, ricordano che “la Commissione” può ordinare “l’esibizione degli originali degli atti e documenti, ove sorgano contestazioni: tra gli atti e documenti considerati sono compresi anche quelli contenuti nel fascicolo dei documenti prodotti dalle parti”. Ciò comporta l’applicazione del principio secondo cui “in tema di contenzioso tributario, la produzione, da parte del ricorrente, di documenti in copia fotostatica costituisce un mezzo idoneo per introdurre la prova nel processo, incombendo all’Amministrazione finanziaria l’onere di contestarne la conformità all’originale, ed avendo il giudice l’obbligo di disporre, in tal caso, la produzione del documento in originale”.
E tale principio, viene chiarito, vale anche “a parti invertite”: in questo caso, quindi, “il giudicante avrebbe dovuto disporre l’esibizione dell’originale del documento contestato, prima di adottare qualsivoglia determinazione che dipendesse dalla contestazione di conformità”.
Ciò rimette in discussione ovviamente l’intera vicenda, affidata nuovamente alla Commissione tributaria regionale.
Catapano Giuseppe osserva: CONTRIBUENTE NON ISCRITTO ALL’ANAGRAFE DEL COMUNE, ILLOGICO IL RICORSO AL RITO DEGLI ‘IRREPERIBILI’: NOTIFICA NON VALIDA, CARTELLA NULLA
“Cartella di pagamento” datata 2003 – e relativa ad Irpef 1994 –, ma il contribuente lamenta di “averne avuto conoscenza soltanto attraverso la successiva intimazione di pagamento, notificatagli nel 2005”.
Decisive le procedure di notifica relative alla “cartella”… Procedure definite “singolari” dai componenti della Commissione tributaria regionale, e tali da rendere nullo l’operato del Fisco.
Più precisamente, “il messo notificatore, rilevato che il destinatario dell’atto non risultava iscritto all’anagrafe del Comune (ciò che effettivamente era – all’epoca – vero, avendo il contribuente acquisito la residenza in detto Comune nel 2005), ha ritenuto – per ciò solo – di adottare il rito degli ‘irreperibili’”, ma se il contribuente “non aveva la residenza” in quel Comune, “era incongrua l’affissione presso quel Comune”, in quanto la norma “prevede il deposito presso il Comune di ultima residenza o di nascita”.
E ora tale visione, tracciata in secondo grado, viene condivisa e fatta propria dai giudici della Cassazione, i quali evidenziano che “il contribuente” non era iscritto “nell’anagrafe” e non aveva, quindi, “il domicilio fiscale” nel Comune, e ciò “né all’epoca della tentata notificazione della cartella de qua (2003), né in epoca anteriore”. In sostanza, “non risulta che il Comune fosse, nel 2003, quello di domicilio fiscale del contribuente, né che lo fosse stato prima, tale, cioè, da poter essere considerato quello di ultima residenza nota”, aggiungono i giudici.
E ciò esclude in radice che possa considerarsi valida “la notificazione della cartella presso quel Comune, poiché la rilevata non iscrizione (all’epoca) nell’anagrafe comunale non legittimava il messo alla procedura di notificazione semplificata, in quanto questa presuppone un mutamento del domicilio fiscale (della cui comunicazione e conseguente variazione nei registri anagrafici il contribuente è onerato), cioè il trasferimento da un Comune già noto come quello di (ultimo) domicilio fiscale”.
Catapano Giuseppe informa: Nella classifica del “Pil del benessere”, Italia sotto la media
Per chi ritiene che il Pil sia un misuratore molto limitato dello stato di benessere di un paese, il Bli dovrebbe fare al caso suo.
Se si pensa che la felicità sia sinonimo del benessere e della qualità della vita sociale, allora l’Italia è il 23esimo paese più “ricco” al mondo, dietro a Slovenia e Repubblica Ceca. Al primo posto c’è l’Australia.
È il risultato della classifica stilata dal Better Life Index, che l’Ocse, in collaborazione con Expo 2015 di cui è partner ufficiale, ha lanciato da lunedì anche in italiano.
La ricerca, informa l’Ocse, si basa sulle risposte di oltre 3.600 persone e prende in considerazione 11 fattori per misurare l’indice di benessere in 36 paesi. Gli Stati presi in esame sono quelli che fanno parte dell’Organizzione della cooperazione e dello sviluppo economico più Brasile e Russia.
L’Italia si posiziona al 13esimo posto nell’equilibrio lavoro-vita, al 14esimo nel reddito e al 17esimo nella salute. In tutte le altre voci, invece, la performance è al di sotto della media: nelle relazioni sociali siamo in 21esima posizione, nell’impegno civile in 23esima, in abitazione e in sicurezza in 24esima, in soddisfazione personale e in ambiente in 27esima. Malissimo facciamo nell’istruzione (21) e nell’occupazione (29).
La ricerca fornisce indicazioni anche sulle disparità tra le varie regioni nei diversi ambiti: particolarmente evidente la differenza che c’è tra il migliore (provincia di Bolzano che si trova nel 15% di testa tra tutte le regioni Ocse) e il peggiore (Campania, ultima) nell’occupazione. Ampie differenze regionali esistono anche in materia di sicurezza (ai poli opposti provincia di Trento e Calabria), ambiente (Sardegna la migliore, Lombardia la peggiore) e reddito (ancora provincia di Bolzano e Campania).
Molto positivo a livello generale il risultato relativo alla salute, dove 18 regioni italiane conseguono i migliori risultati in area Ocse. Le regioni italiane sono anche tra le migliori in materia di sicurezza e impegno civile.
Solo dolori, infine, sul capitolo istruzione, dove tutte le regioni italiane conseguono risultati inferiori rispetto alla media Ocse. Una volta appurato il livello al quale si trova la soddisfazione degli italiani nei vari ambiti, la ricerca dà informazioni anche su cosa conta di più per loro: al primo posto c’è la salute, al secondo l’istruzione e al terzo la soddisfazione personale.
Catapano Giuseppe osserva: Divorzio, i sei o dodici mesi di separazione decorrono dalla prima udienza
Il 22 aprile scorso la Camera dei Deputati ha definitivamente approvato a larghissima maggioranza (398 sì, 28 no e 6 astenuti) la c.d. legge sul divorzio breve. Certamente, non si tratta di una rivoluzione copernicana. C’è già chi parla di un’occasione mancata di eliminare il doppio passaggio separazione – divorzio adeguando, così, la normativa italiana a quella degli Stati che prevedono il divorzio diretto (senza passare attraverso un periodo di separazione). Ad ogni modo, con la contrazione del tempo necessario per addivenire alla domanda di divorzio si riduce drasticamente, quel “periodo di riflessione” fonte di tanto contenzioso.
Tempi – Per quanto concerne le separazioni giudiziali è prevista la riduzione da tre anni a dodici mesi della durata minima del periodo di separazione ininterrotta dei coniugi che consente di presentare la domanda di divorzio. I dodici mesi decorrono dalla data di presentazione dei coniugi dinnanzi al giudice per l’udienza presidenziale di separazione. Ovviamente, ciò avrà come inevitabile conseguenza il fatto che al momento della presentazione della domanda di divorzio sarà ancora pendente (presumibilmente in primo grado) il procedimento di separazione giudiziale. Tuttavia in queste ipotesi la causa non dovrà essere assegnata al giudice della separazione personale (contrariamente a quanto previsto dalla Camera in prima lettura).
Nelle separazioni consensuali è prevista la riduzione a sei mesi della durata del periodo di separazione ininterrotta dei coniugi che consente la presentazione del ricorso per ottenere divorzio. Tale termine breve si applica anche ai giudizi inizialmente contenziosi, che poi, in virtù dell’intervenuto accordo delle parti, si trasformano in congiunti.
Comunione legale – La norma prevede, altresì, la riduzione dei tempi per ottenere la separazione dei beni, per il caso in cui i coniugi durante l’unione matrimoniale abbiano optato per il regime della comunione legale. Fino ad oggi lo scioglimento della comunione avveniva con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione personale. La nuova norma prevede, invece, che lo scioglimento della comunione avvenga nel momento in cui il giudice autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale.
L’ordinanza con la quale i coniugi sono autorizzati a vivere separati viene comunicata all’ufficiale dello stato civile ai fini dell’annotazione dello scioglimento della comunione. Le nuove disposizioni si applicano anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, anche nei casi in cui il procedimento di separazione che ne costituisce il presupposto risulti ancora pendente alla stessa data.
La domanda di divisione della comunione legale tra i coniugi potrà essere introdotta unitamente alla domanda di separazione o di divorzio. Fino ad oggi il presupposto della domanda di divisione era la pronuncia definitiva di separazione quindi, prima di tale momento, mancava il titolo per richiederla.
La nuova norma prevede infine la conservazione dell’efficacia dei provvedimenti temporanei ed urgente emessi dal Presidente in sede di separazione anche a seguito di ricorso per la cessazione degli effetti civili o per lo scioglimento del matrimonio. Nulla è invece cambiato in ordine alle procedure di negoziazione assistita.
IL TESTO
“Disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di comunione tra i coniugi”
(Testo approvato in via definitiva dalla Camera dei deputati il 22 aprile 2015, non ancora promulgato o pubblicato nella Gazzetta Ufficiale)
Articolo 1
1. Al secondo capoverso della lettera b) del numero 2) dell’articolo 3 della legge 1o dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, le parole: «tre anni a far tempo dalla avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale» sono sostituite dalle seguenti: «dodici mesi dall’avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale e da sei mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale».
Articolo 2
1. All’articolo 191 del codice civile, dopo il primo comma è inserito il seguente:
«Nel caso di separazione personale, la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purché omologato. L’ordinanza con la quale i coniugi sono autorizzati a vivere separati è comunicata all’ufficiale dello stato civile ai fini dell’annotazione dello scioglimento della comunione».
Articolo 3.
1. Le disposizioni di cui agli articoli 1 e 2 si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, anche nei casi in cui il procedimento di separazione che ne costituisce il presupposto risulti ancora pendente alla medesima data.
Catapano Giuseppe informa: Il resoconto dell’incontro “Credito: tutti per uno, tutela per tutti”
E’ stato un successo il primo incontro organizzato da StopSecret Magazine a Roma il 22 aprile 2014 presso la Camera dei Deputati, la sala dei gruppi parlamentari era gremita (oltre 350 iscritti che sono venuti a sentire e vivere questa bella esperienza), avvocati, ufficiali giudiziari, investigatori, credit manager, società di recupero crediti e di informazioni commerciali e, soprattutto, di associazioni di categoria, dei consumatori ed istituzioni.
Il risultato è stato un interessante e articolato confronto, sincero e appassionato, sul tema della gestione dei dati nel processo di recupero stragiudiziale e giudiziale, tra il Garante della Privacy, le associazioni dei consumatori, quelle dei professionisti di questo settore (ACMI, FEDERPOL, UIRS e AUGE), il Sottosegretario al Ministero di Giustizia, l’On. Cosimo Maria Ferri, che ha promosso la riforma della giustizia e l’On. Giuseppe Berretta che, in Commissione Giustizia è stato il promotore e il protagonista di questa innovazione che rappresenta un punto di svolta per il paese e non solo per i professionisti coinvolti nel processo civile.
Una giustizia civile efficiente, infatti, non fa paura a nessuno, al contrario aumenta la competitività e l’appeal del nostro bel paese in ambito internazionale. Lo rende appetibile per gli investitori stranieri, che, come noto, cercano prioritariamente la certezza del diritto come prerequisito per la scelta sui loro investimenti.
In particolare, il dibattito della lunga mattinata si è articolato, senza sosta, in due momenti: una prima tavola rotonda sulla gestione delle informazioni nel processo di recupero stragiudiziale ottimamente introdotta dal segretario generale di FEDERPOL Roberto Gobbi. L’Avv. Gobbi ha, infatti, sostanzialmente raffigurato alle istituzioni presenti in sala come il comparto economico rappresentato da FEDERPOL sia oggi un mondo imprenditoriale evoluto, fatto di regole, formazione e come al contempo, le imprese del settore sviluppino occupazione in modo significativo (al punto da aver da poco stipulato un CCNL di categoria). Tanto premesso ha lanciato il suo messaggio chiedendo apertamente “che i poteri d’indagine degli investigatori in ambito penale siano traslati anche nel processo civile, in modo da rendere maggiormente efficiente la macchina della giustizia”.
Alla prima tavola rotonda hanno partecipato: Carmine Evangelista di AZ Holding, il gruppo Cerved (che ha partecipato anche alla seconda tavola rotonda con l’Avv. Tanzarella), il credit Manager, Giovanni Restelli, di Gtech SPA – Lottomatica – ed infine il dott. Andrea Zito per Serfin 97.
Il dibattito ha consentito l’approfondimento ed il confronto sui principali problemi nella gestione dei dati dei debitori nel processo di recupero stragiudiziale (in particolare quelli non forniti dal cliente in sede di stipula del contratto).
Prima della seconda tavola rotonda dedicata al recupero giudiziale dei crediti, c’è stato un vivace break istituzionale che ha avuto come protagonisti il Sottosegretario al Ministero della Giustizia Cosimo Maria Ferri che ha letto i più recenti provvedimenti giurisprudenziali in tema di accesso alle banche dati, alla luce della riforma della giustizia dell’On. Giuseppe Berretta, uno dei padri della riforma della giustizia.
L’ intervento di ambo i rappresentanti del Governo e del Parlamento non si è limitato al solito saluto distaccato delle istituzioni, come avviene in molti convegni, ma è stato molto vivace e sentito, in particolare il sottosegretario si è sottoposto subito dopo il proprio intervento ad un fuoco di fila di domande dalla sala, soprattutto dalle Associazioni di categoria presenti che hanno chiesto a gran voce l’allargamento anche ai loro comparti dei nuovi poteri di indagine (FEDERPOL) e importanti chiarimenti (l’AUGE).
A seguire ha preso la parola il dott. De Paoli, dirigente presso il Garante per la Privacy, che ha ripercorso a beneficio dei presenti le ultime iniziative del suo ufficio, in particolare i principali tavoli di lavoro su cui questa autorità è impegnata per ammodernare l’assetto di regole relative alla gestione dei dati nel nostro paese (il tavolo per la riforma dei Sistemi di Informazione Creditizia, quello dei SIT per la creazione della nuova centrale antifrode in ambito telefonico) ed infine, ha ricordato l’adozione di un nuovo codice deontologico per gli operatori delle informazioni commerciali.
Gianluca Di Ascenzo Vice Presidente del CODACONS, che partecipa a quei tavoli di lavoro sin dalla loro partenza insieme ad altre poche associazioni dei consumatori come ad esempio Acu e Konsumer Italia, ha evidenziato anche il cambio di passo da parte del mondo consumeristico italiano, volto a dare una reale tutela ai cittadini ma in un’ottica di promozione sociale capace di contribuire all’educazione dei consumatori con iniziative concrete.
La mattinata si è conclusa con la tavola rotonda sulla gestione dei dati in ambito giudiziale aperta dal Presidente di ACMI Roberto Daverio, cui hanno partecipato come detto l’AUGE (Associazione degli Ufficiali Giudiziari) con Adele Carrera e Francesco Laquidara, Nazzareno D’Atanasio di MARAN (società leader nel mondo del recupero crediti), Luca Polverino avvocato ed esperto del comparto NPL ed asset management, e il già ricordato Rocco Tanzarella di CERVED, tutti concordi nel chiedere alle istituzioni, la rapida emanazione dei decreti attuativi, dell’art. 492 bis del Codice di procedura Civile.
I lavori sono finiti alle ore tredici con l’inusuale rispetto dei tempi programmati.
Questo primo evento, ha commentato Cosimo Cordaro AD di Stop Secret S.r.l., “è stato un vero successo e siamo solo al primo passo di un lungo cammino – e con orgoglio ha proseguito dicendo – la gestione delle informazioni merita un approfondimento costante per gli operatori e, insomma, basta segreti o meglio StopSecret!”.
A tal riguardo a breve sul sito verrà proposto il calendario degli eventi per questo 2015.
Giuseppe Catapano informa: Dis-coll: la disoccupazione ai co.co.co.; come funziona
Anche chi ha un contratto di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.), sia pure a progetto (co.co.pro.) potrà ottenere l’indennità di disoccupazione. Il nuovo ammortizzatore sociale si chiama dis-coll. In verità la misura è sperimentale per il 2015, questo perché il Governo dovrebbe eliminare per sempre i co.co.pro., mentre i co.co.co. dovrebbero rimanere.
Destinatari
I destinatari di questo nuovo trattamento sono i collaboratori coordinati e continuativi, anche nella modalità a progetto, iscritti in via esclusiva alla gestione separata presso l’Inps (quindi non iscritti contestualmente ad altre Casse o gestioni). Sono esclusi amministratori e sindaci.
I collaboratori devono, inoltre, non essere pensionati e non avere partita Iva.
Condizioni soggettive
Condizione per ottenere la dis-coll è la perdita involontaria del lavoro. Viene escluso quindi il lavoratore che sia receduto dal contratto per propria volontà.
Inoltre è richiesto il possesso dello stato di disoccupazione al momento della presentazione della domanda dell’indennità.
A differenza della indennità “una tantum” prevista dalla precedente normativa, non è più necessario il requisito della condizione di monocommittenza del collaboratore coordinato e continuativo. Non vi sono neanche limiti di reddito nell’anno precedente.
Requisiti contributivi
Il richiedente deve aver:
– versato almeno 3 mesi di contribuzione nel periodo tra il 1° gennaio dell’anno solare precedente quello dell’evento di cessazione dal lavoro e l’evento stesso e,
– nell’anno solare dell’evento di cessazione dal lavoro,versato almeno un mese di contribuzione oppure avere un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa di durata pari almeno ad un mese e che abbia dato luogo a un reddito almeno pari alla metà dell’importo che dà diritto all’accredito di un mese di contribuzione.
Esempio:
Un collaboratore che perde il lavoro a giugno 2015 (per un rapporto iniziato a febbraio 2015 e senza attività lavorativa nel2014) potrebbe maturare il diritto alla DIS-COLL se in questo periodo sono stati versati e accreditati contributi ai fini pensionistici per almeno 1.166,10 euro (4.664,40112×4).
A quanto ammonta
Nei casi in cui il reddito di riferimento del collaboratore sia pari o inferiore nel 2015 a 1.195 euro l’importo dell’indennità corrisponde al 75% del reddito medio mensile calcolato sull’anno di cessazione dal lavoro e sull’anno solare precedente.
Se il reddito di riferimento è superiore a 1.195 euro, il 75% di tale importo è incrementato del 25% della parte che eccede i 1.195 euro.
L’importo complessivo, comunque, non può superare 1.300 euro.
È prevista una riduzione progressiva della prestazione pari al 3% dell’indennità di ogni mese a decorrere dal 4° mese di godimento.
Per la Dis-Coll non è previsto il riconoscimento di contributi figurativi, mentre è ugualmente assoggettata a imposizione fiscale, essendo sostitutiva del reddito.
Durata
La durata del beneficio è parametrata alla storia contributiva dei lavoratori. Pertanto la corresponsione dell’indennità è prevista per un numero di mensilità pari alla metà delle mensilità di contribuzione relative al periodo di riferimento ovvero tra il 1° gennaio dell’anno solare precedente quello dell’evento di cessazione dal lavoro e l’evento stesso. Naturalmente non vengono computati nel calcolo per definire la durata della prestazione i periodi già considerati per l’erogazione di altre prestazioni di disoccupazione.
La durata massima dell’indennità è 6 mesi.
La Dis-Coll è corrisposta mensilmente per un periodo pari alla metà dei mesi o frazioni di essi di durata del rapporto o dei rapporti di collaborazione presenti nel periodo che va dal 1° gennaio dell’anno solare precedente l’evento di cessazione dal lavoro e fino al predetto evento.
Per continuare a godere dell’indennità è necessario che il collaboratore conservi lo stato di disoccupazione, oltre che partecipare regolarmente alle iniziative di attivazione del lavoratore e di ricerca attiva di una nuova occupazione e ai percorsi di riqualificazione professionale proposti dai servizi competenti.
Presentazione della domanda
Per ottenere l’indennità bisogna presentare domanda in via telematica all’Inps entro 68 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro. Il diritto alla prestazione decorre non prima dell’ottavo giorno successivo alla cessazione del rapporto di lavoro oppure, superato questo termine, dal giorno successivo la presentazione della domanda.
Anche se la bozza di Dlgs sulle tipologie contrattuali prevede l’eliminazione del lavoro a progetto, non sono tuttavia eliminati i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa. In questo, peraltro, si trova coerenza nella previsione della Dis-Coll non solo per i lavoratori a progetto, ma appunto genericamente per i collaboratori coordinati e continuativi. Appunto perché non scompariranno a decorrere dal 1° gennaio 2016 tali figure, la Dis-Coll potrebbe essere estesa ad anni successivi al 2015, saranno necessari nuovi ed appositi stanziamenti.
Catapano Giuseppe: La patente è equiparata alla carta di identità?
La nuova patente di guida (quella con il tesserino plastificato) è valida come “documento di riconoscimento” allo stesso modo della carta d’identità e del passaporto? Una domanda che si pongono in tanti, specie quando si ha la necessità di presentare i propri documenti da un notaio o all’interno di una pubblica amministrazione, per il rilascio di un certificato, di un’autentica di firma, di un atto pubblico, ecc. E questo perché se è normale portare sempre con sé la patente, non è altrettanto frequente che i cittadini tengano nel portafoglio anche il passaporto, il codice fiscale o la carta d’identità. E allora, la speranza è sempre che la prima possa sostituire i secondi ai fini dell’identificazione ufficiale del soggetto titolare. Ebbene, la risposta a questo comune interrogativo è affermativa. In ordine alla validità della patente di guida, ai fini dell’identificazione dei relativi titolari, anche nel nuovo formato plastificato si è espresso in senso positivo il ministero dell’Interno, con una circolare del 14 marzo 2000. Il carattere di documento di identificazione personale contraddistingue tuttora la patente di guida, anche in formato plastificato, in quanto contiene i requisiti prescritti dalla legge (e in particolare dal regolamento del Tulps, testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), che considera equipollente alla carta d’identità ogni documento munito di fotografia e rilasciato da un’amministrazione dello Stato. La funzione di documento di riconoscimento attribuita alla patente di guida è stata confermata dal testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa. In particolare, quest’ultimo indica come documenti equipollenti alla carta d’identità: – il passaporto, – la patente di guida, – la patente nautica, – il libretto di pensione, – il patentino di abilitazione alla conduzione di impianti termici, – il porto d’armi.
Catapano Giuseppe: Grecia scivola verso una Cipro Bis: banche chiuse e capitali bloccati
Banche chiuse e capitali bloccati, proprio come già fece Cipro in tempo di default. Questa la prospettiva che si apre per la Grecia secondo il rapporto di Prometeia, che spiega come il governo di Atene per far fronte alla crisi potrebbe già nei prossimi 3 o 6 mesi essere costretta a seguire la strada di Cipro. Intanto gli economisti europei, da Mario Draghi della Bce al presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem, attaccano senza pietà Yanis Varoufakis, ministro delle Finanze greco, definendolo “perditempo e dilettante“.
Il rapporto di previsione presentato a Bologna da Prometeia non esclude una circolazione interna alla Grecia di strumenti di pagamento paralleli (tipo I Owe You) per sopperire alla mancanza contingente di fondi. Si tratta di una previsione a medio e breve termine, quindi nell’arco dei prossimi mesi. A differenza di Cipro, tuttavia, questi ipotetici provvedimenti, spiega l’associazione bolognese, andrebbero a gravare su una situazione già provata da sei anni consecutivi di recessione. Una situazione sociale già compromessa quindi, fatto che pone davanti alla politica, in primis alla Ue, una serie di interrogativi a cui, appunto, solo la politica potrà dare una risposta definitiva.
Prometeia non avanza ipotesi su quale sia la probabilità che questo scenario di verifichi, giudicandolo semplicemente possibile, e fa previsioni che sono compatibili sia con la “normalità vista sinora”, ma senza nemmeno escludere invece un nuovo scossone che provvedimenti più estremi, come l’inserimento di strumenti di pagamento paralleli per un periodo di tempo limitato, potrebbero implicare. Entrambe le possibilità mantengono però alla fine elevata la sfiducia nei confronti della Grecia con effetti negativi anche sulle economie più fragili dell’Uem e sulla Grecia stessa. Prometeia stima infatti che fino ai mesi estivi lo spread rispetto al bund dei rendimenti dei paesi periferici tenda ad ampliarsi e che quest’anno la Grecia torni a registrare una nuova contrazione del Pil.
Mario Draghi ha ribadito alla Grecia che l’aiuto della Bce potrebbe arrivare ma il tempo di Atene per mettersi in paro con le richieste dell’Europa sta finendo:
“La liquidità d’emergenza (Ela) sarà data fino a che le banche (greche ndr) saranno solvibili e ci sarà collaterale adeguato, ma vista l’attuale fragilità della situazione la Bce potrebbe dover tornare indietro e rivedere l’haircut sul collaterale. Il tempo sta finendo, la rapidità è essenziale”.
A condividere le idee di Draghi e arrivare a definire “perditempo e incompetente” il ministro Varoufakis è Dijssemlbloem, presidente dell’Eurogruppo, che ha detto:
“Bisogna fare di più, c’è il senso d’urgenza, i greci sanno che il tempo sta finendo, ma aprile ancora non è finito. E’ stato perso troppo tempo, c’è bisogno di progressi significativi così che le istituzioni possano dare luce verde alla lista di riforme e l’Eurogruppo all’accordo – precisando che la prossima revisione del caso greco sarà all’Eurogruppo dell’11 maggio -. E’ stata una discussione molto critica, abbiamo fatto un accordo due mesi fa, ora credevamo di poter prendere una decisione, ma invece siamo molto lontani e quindi sì, è stato un dibattito molto critico”.