La Corte dei Conti ha reso pubblico il Giudizio di parificazione del rendiconto generale dello Stato per l’esercizio finanziario 2014. Recupero di efficienza degli apparati pubblici, partecipazione dei cittadini alla copertura di alcuni servizi, alleggerire la pressione fiscale e rigidità del sistema pensionistico, sono alcuni dei concetti chiave espressi dalla Corte dei Conti.
In questi anni è stato comunque condotto uno sforzo per il riequilibrio dei conti pubblici in linea con i programmi generali di revisione e contenimento della spesa. Lo sottolinea il presidente della Corte dei Conti Raffaele Squitieri evidenziando che anche gli interessi sul debito “hanno invertito la tendenza e si sono ridotti significativamente”.
Ma la ridotta natalità, il contemporaneo innalzamento dell’età media della popolazione e l’erosione dei livelli dell’occupazione – ha evidenziato Enrica Laterza, presidente di Coordinamento delle Sezioni riunite della Corte dei Conti – creano una combinazione sfavorevole, peraltro più accentuata che nella maggior parte degli altri paesi occidentali, che non può essere affrontata con i mezzi tradizionali delle politiche di bilancio, mentre richiederebbe una revisione coraggiosa dei confini dell’intervento pubblico”.
“Nel corso del 2014, – spiega il presidente della Corte dei Conti Raffaele Squitieri – la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 40, ha chiarito che il Patto di stabilità – e, più in generale, i vincoli di finanza pubblica – obbligano l’Italia, nei confronti dell’Unione europea, ad adottare politiche di contenimento della spesa, il cui rispetto viene verificato in relazione al Conto consolidato delle Amministrazioni pubbliche, elaborato dall’ISTAT sulla base dei bilanci delle oltre 10 mila unità istituzionali comprese nell’elenco che l’Istituto di statistica è tenuto a pubblicare, ogni anno, sulla Gazzetta Ufficiale”.
Nel contempo Enrica Laterza, presidente di Coordinamento delle Sezioni riunite della Corte dei Conti, evidenzia che la pressione fiscale è stata nel 2014 pari al 43,5% del Pil, 1,7 punti in più rispetto alla media dell’area euro, affermando che “la prospettiva di una pressione fiscale che resti sull’attuale elevato livello appare difficilmente tollerabile”.
Così come pesa la rigidità delle pensioni sul contenimento della spesa pubblica. La “forte rigidità” del sistema pensionistico e i margini di risparmio sempre più stretti su redditi da lavoro e consumi intermedi, “già ripetutamente colpiti”, mettono in difficoltà i programmi di spending review rafforzati con la legge di stabilità 2015”.
“In una fase di emergenza economico-finanziaria, la politica fiscale è stata piegata ad obiettivi immediati di gettito, al fine di garantire gli equilibri di finanza pubblica. – ha detto Laterza – L’affannata ricerca di risultati si è tradotta, tra il 2008 e il 2014, nell’adozione di oltre 700 misure di intervento in materia fiscale, di aggravio o di sgravio del prelievo. Ne è risultata sacrificata l’esigenza di una ragionata revisione strutturale del sistema fiscale, che consenta di pervenire ad una minore onerosità e ad una maggiore equità distributiva”. Laterza riconosce comunque che grazie al bonus Irpef e alle misure sull’Irap inserite nella scorsa legge di stabilità “di recente si sono avviati interventi di alleggerimento dell’onere tributario sui fattori produttivi”.
C’è la necessità di riorganizzare alla radice le prestazioni e la modalità di fruizione dei servizi pubblici. Laterza sottolinea infatti che “il recupero di efficienza degli apparati pubblici non può essere disgiunto da una maggiore partecipazione dei cittadini alla copertura dei costi di alcuni servizi, che richiederà in primo luogo una contestuale, rigorosa, articolazione tariffaria che realizzi il precetto costituzionale della concorrenza alle spese pubbliche in ragione della diversa capacità contributiva”.
E’ quindi necessaria una riorganizzazione dei servizi di welfare sulla base di una “riscrittura del patto sociale che lega i cittadini all’azione di Governo”.
Infine il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha fornito un quadro generale della nostra economia, spiegando che insieme a quella europea, sono in una fase di “ristagno, stagnazione”. Ciò significa che per tornare ai livelli del 2008 “ci vorranno anni”. Il governatore ritiene inoltre ‘molto grave’ il segnale di mancanza di fiducia che si avverte in questo periodo fra i paesi dell’Eurozona, “segno che dal lato politico il progresso è ancora lontano”. A proposito del negoziato in corso per la soluzione della crisi greca, secondo Visco “è evidente che un paese con un modello orientato all’export, con una posizione creditoria molto elevata, ha almeno altrettante colpe di un paese che accumula tanti debiti”.
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Giuseppe Catapano scrive: Corte dei Conti, aumento tasse locali dovuto allo Stato centrale
Aumentano le tasse locali, ma ciò è dovuto a scelte del governo centrale, “piuttosto che espressione dell’autonomia impositiva degli enti decentrati”. La Corte dei Conti evidenzia inoltre che tra il 1995 e il 2014 la quota delle entrate derivanti dalle amministrazioni locali sul totale della Pubblica Amministrazione è quasi raddoppiata passando dall’11,4% al 21,9%, ribadendo che “ciò è stato il frutto di scelte operate a livello di governo centrale”.
Lo rileva il Rapporto 2015 della Corte dei Conti sul coordinamento della finanza pubblica, nel quale sono forniti al Parlamento e al Governo una valutazione della nostra finanza pubblica. Vengono anche analizzati gli andamenti macroeconomici e le prospettive della finanza pubblica.
“Il rapporto fra la spesa dei Governi locali e il totale della spesa pubblica del periodo 2001-2014 è rimasto sostanzialmente costante, in Italia come pure in Germania. Solo in Francia, ove si registrava un livello di “centralismo” di partenza decisamente più elevato, il peso della spesa pubblica locale si è lievemente accresciuto”.
Si sostiene anche che “un duraturo controllo sulle dinamiche di spesa può ormai difficilmente prescindere da una riscrittura del patto sociale che lega i cittadini all’azione di governo e che abbia al proprio centro una riorganizzazione dei servizi di welfare”.
Così come indicato anche nel Def, “le condizioni di sostenibilità di lungo periodo della finanza pubblica – sottolinea la Corte dei Conti – richiedono uno scenario macroeconomico ambizioso”, con interventi profondi capaci di rialzare le dinamiche produttive. In questo programma di riforme strutturali bisogna anche “restituire capacità di spesa a famiglie e imprese. Una direzione intrapresa nel 2014, con la riduzione del cuneo fiscale sul costo del lavoro e con un bonus erogato alle famiglie”.
Il blocco della dinamica retributiva e “la consistente flessione” del numero dei dipendenti della P.a. hanno portato nei quattro anni 2011-2014 ad una diminuzione complessiva della spesa di personale di circa il 5%, pari a 8,7 miliardi.
Mentre il riordino delle Province deve sciogliere ancora il nodo dei dipendenti. “L’assorbimento dei soprannumerari delle Province rischia di rendere più difficile l’operazione di riordino”. Si tratta questa di “un’operazione impegnativa che impatta su un quadro disomogeneo e frammentato”, che evidenzia criticità strutturali, in parte acuite dai recenti interventi di contenimento della spesa pubblica.
Quella della distribuzione del personale delle Province tra Regioni e Comuni, spiega la Corte, è una operazione che pesa “sia sotto i profili del dimensionamento organizzativo dei diversi enti, sia sotto quello dell’esistenza di non sempre giustificate differenze nel trattamento economico”.