Catapano Giuseppe: PROCESSO VERBALE DI CONSTATAZIONE’ E, VENTI GIORNI DOPO, ECCO L’AVVISO DI ACCERTAMENTO: FISCO FRETTOLOSO E SCONFITTO

“Verifica” per una società, “rappresentante fiscale in Italia” di una azienda tedesca. Passaggi successivi sono il “processo verbale di constatazione”, datato 16 marzo 2007, e l’“avviso di accertamento”, datato 4 aprile 2007, con cui viene “disconosciuto il credito d’imposta (Iva) chiesto – e in parte ottenuto – a rimborso per l’anno 2003”.
Nodo gordiano, nella battaglia col Fisco, è la tempistica dell’“atto impositivo”, alla luce del “termine dilatorio di 60 giorni” previsto per legge.
Su questo fronte, nonostante la decisione pro Fisco emessa in Commissione tributaria regionale, i giudici della Cassazione ritengono motivate le proteste dell’azienda tedesca. In sostanza, è evidente la violazione del “termine dilatorio”, soprattutto perché il Fisco non ha rispettato “l’obbligo di attivarsi tempestivamente per consentire il dispiegarsi del doveroso contraddittorio procedimentale” colla società. E in questo quadro, concludono i giudici, è irrilevante il richiamo a presunti “motivi di particolare urgenza, costituita dalla scadenza della fideiussione a fronte del rimborso per l’anno 2003”.
Tutto ciò porta i giudici della Cassazione a sancire la sconfitta definitiva del Fisco.

Giuseppe Catapano scrive: Causa per responsabilità professionale, spese legali a carico dell’assicurazione

L’assicurazione deve rimborsare al proprio assicurato, contro il quale sia stata intrapresa un’azione di responsabilità professionale, le spese legali per il giudizio anche nel caso in cui nessun risarcimento venga riconosciuto al terzo che ha intrapreso la causa e che riteneva di essere stato danneggiato. È quanto precisato dalla Cassazione con una sentenza di ieri. L’assicurazione è dunque tenuta a sopportare le spese di lite dell’assicurato, nei limiti stabiliti dal codice civile ossia entro un quarto della somma assicurata.

Giuseppe Catapano: Il numero della cartella di pagamento sull’avviso a.r. non fa prova

L’indicazione del numero delle cartelle di pagamento sull’avviso di ricevimento non ha valore di prova assoluta e incontestabile (cosiddetta “fede privilegiata”) in quanto non si tratta di una attestazione che redige l’agente postale: solo il postino, infatti, in quanto pubblico ufficiale, può attribuire valore di prova a quanto indicato nelle buste postali. Infatti la legge stabilisce che gli avvisi di ricevimento sono predisposti dagli interessati (ossia dai clienti del servizio postale) e non dal postino medesimo. Inoltre, l’agente postale che consegna un plico con avviso di ricevimento fa firmare al destinatario, provvedendo a rispedirlo al mittente completo in ogni sua parte. Ciò comporta che le indicazioni sull’avviso di ricevimento, non hanno valore di prova privilegiata, ma valgono come semplice presunzioni. Risultato: è priva di alcun valore di prova la data di spedizione della raccomandata risultante dall’avviso di ricevimento della cartella di Equitalia senza che ad essa si accompagni una attestazione dell’ufficiale postale. Lo ha detto la Cassazione con una ordinanza di questa mattina. L’aspetto pratico della sentenza è piuttosto interessante: se la cartella di pagamento e l’avviso di ricevimento contengono indicazioni effettuate a penna dal mittente e non dall’ufficio postale, esse possono essere facilmente impugnate: basta contestarle per scaricare poi su Equitalia l’onere della prova contraria. La vicenda È stato respinto il ricorso dell’Agenzia delle entrate che sosteneva di aver notificato una cartella di pagamento entro i termini. Il contribuente aveva opposto, fra le altre cose, che dalla stampa del sito on line di Poste italiane la data era più risalente. I giudici hanno ritenuto, nel caso di specie, che il sito on line delle Poste Italiane sia in grado di dimostrare la data consegna della cartella di pagamento. È invece priva di valenza probatoria la data di spedizione della raccomandata risultante dall’avviso di ricevimento se non c’è l’attestazione del postino.

Giuseppe Catapano informa: Autovelox e tutor, da oggi le multe sono “incostituzionali”

Le multe con Autovelox e tutor sono, ora, tutte illegittime: e questo perché, pochi istanti fa, la Corte Costituzionale, con una sentenza che stravolge i precedenti delle aule dei giudici di pace italiani e della stessa Cassazione, ha dichiarato incostituzionale il codice della strada nella parte in cui non prevede l’obbligo di sottoporre a verifiche periodiche e a taratura i sistemi di controllo elettronico della velocità dei veicoli. Questo significa che tutti gli apparecchi non “revisionati” periodicamente dalle autorità di polizia non potranno elevare più multe. Una mannaia per le casse dei Comuni che, sino ad oggi, hanno contato proprio sui velox e sui tutor per potersi finanziare. Ma procediamo con ordine. Sino ad oggi la Cassazione ha sempre rigettato i ricorsi degli automobilisti fondati sulla eccezione della mancata taratura dell’autovelox, dando ragione alle amministrazioni locali: e questo perché non esiste alcuna norma, nel nostro ordinamento, che prevede l’obbligo di taratura e di controllo periodico degli autovelox. E difatti così è. Tant’è vero che l’intervento di oggi della Corte Costituzionale è volto a colmare questa lacuna: la Corte, in particolare, è dovuta intervenire con una sentenza cosiddetta creativa, ossia che non fa altro che far “nascere” una nuova norma (prima, appunto, inesistente). E infatti, la Consulta scrive che è incostituzionale il codice della strada… “nella parte in cui non prevede che tutte le apparecchiature impiegate nell’accertamento delle violazioni dei limiti di velocità siano sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e di taratura”. In buona sostanza, così disponendo, la Corte Costituzionale non fa altro che dire cosa, da oggi, bisognerà fare. E quindi, obbliga le forze dell’ordine a sottoporre a verifiche e taratura gli autovelox e tutor. Il ragionamento è abbastanza semplice e lo abbiamo spiegato nell’altro articolo di oggi “Autovelox, taratura obbligatoria”: qualsiasi strumento di misura, specie se di tipo elettronico, è soggetto a variazione delle sue caratteristiche, dei valori misurati dovuti ad invecchiamento delle proprie componenti e ad eventi quali urti, vibrazioni, shock meccanici e termici. La stessa usura potrebbe far sì che le multe più “vecchie” siano errate rispetto a quelle più “giovani”. Insomma, la Corte Costituzione ritiene che gli autovelox, i tutor e i vari fratellini piccoli non siano sempre affidabili; pertanto la polizia deve sempre verificare che essi siano sempre in buon stato di funzionamento. Gli effetti sui ricorsi al giudice di pace Si tratta di una sentenza che potrebbe mettere uno “stop” alle multe, almeno finché le amministrazioni non adegueranno le proprie procedure interne ai nuovi obblighi. Per quanto, invece, riguarda le aule dei tribunali, l’effetto è altrettanto prorompente. Infatti, le sentenze della Corte Costituzionale hanno efficacia immediata dal giorno della loro stessa pubblicazione. Così il dictat di oggi della Consulta è già operativo. Risultato: le cause in corso e quelle che verranno avviate nei prossimi giorni dovranno tenere conto del nuovo cambiamento di interpretazione e, quindi, accogliere i ricorsi degli automobilisti che abbiano sollevato l’eccezione di difetto di taratura. Tuttavia l’informazione sulla taratura del rilevatore di velocità è in possesso solo dell’organo di polizia che ha proceduto al controllo. Di conseguenza, il destinatario della multa potrà richiedere, in via preventiva, tale informazione direttamente all’autorità, avendo tuttavia cura di muoversi con celerità, al fine di non far scadere i termini di proposizione dei ricorsi (30 giorni di fronte al Giudice di pace, 60 nel caso di ricorso al Prefetto, a partire dalla data di notificazione o contestazione del verbale) che, anche in caso di richiesta di delucidazioni, non subiscono interruzioni o sospensioni di alcun tipo. Insomma, al fine di evitare un ricorso inutile, occorre in ogni caso vedere se l’apparecchio utilizzato è stato sottoposto a verifica. A volte ciò è riportato nel verbale. Altre volte è necessario chiedere al corpo di polizia l’esibizione del documento. Alcuni richiedono di esibirlo direttamente al giudice di pace, perché presentano subito ricorso e non di rado questa strategia premia perché le amministrazioni non sono in grado di portare il certificato in udienza. E per chi ha già pagato? Per chi ha già pagato la multa o ha appena perso un ricorso al giudice di pace, la sentenza di ieri della Corte costituzionale non cambia nulla, e non permette di sperare in rimborsi anche in caso di multe prodotte da autovelox non verificati periodicamente. Il pagamento, infatti, chiude definitivamente la partita e la sentenza ha effetto esclusivamente sui rapporti giuridici aperti al momento della sua pubblicazione.

Catapano Giuseppe: Stop abogados in Cassazione

All’avvocato non basta aver preso l’abilitazione in Spagna per la difensa davanti alle “Corti superiori” per poter poi esercitare, anche in Italia, la professione davanti alla Cassazione: è necessario, infatti, che anche i cosiddetti abogados siano iscritti nella speciale sezione prevista per gli avvocati “stabiliti”, e che quindi abbiano maturato almeno 12 anni di anzianità professionale (salvo le nuove regole sull’iscrizione all’albo dei cassazionisti entrate in vigore con l’ultima riforma forense). È la stessa Suprema Corte a riferirlo con una sentenza di ieri.

Nuova puntata, quindi, nella eterna contesa tra regole europee sulla libertà di stabilimento e di circolazione dei servizi da un lato, e norme interne sulla regolamentazione delle professioni dall’altro: al centro della vicenda, di nuovo il tentativo dei legali di superare, attraverso le meno restrittive regole spagnole, le rigidità della normativa italiana.
A spezzare le speranze degli “avvocati con la valigia”, è intervenuta la stessa Suprema Corte, secondo cui il ricorso per Cassazione deve essere sempre sottoscritto da un difensore iscritto nell’apposito albo speciale: in difetto, si ha una causa di inammissibilità dell’atto di impugnazione che non potrebbe essere sanata neanche dal successivo conseguimento, da parte del difensore stesso, dell’abilitazione in questione, né dai motivi nuovi che fossero presentati da un difensore cassazionista intervenuto dopo la scadenza del termine per impugnare.

Quindi, il difensore con la diversa abilitazione professionale conseguita in Spagna deve comunque dimostrare, per l’esercizio del patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori, la sua iscrizione nella sezione speciale dell’albo degli avvocati cassazionisti.

Catapano Giuseppe: MERCE IN LIQUIDAZIONE, RICARICO CONTENUTO AL MINIMO E POI AZIENDA CEDUTA: ILLEGITTIMO L’ACCERTAMENTO INDUTTIVO

Ultimi dodici mesi di attività per l’esercizio commerciale: la proprietaria si gioca le proprie ‘carte’ per minimizzare le perdite, con la “liquidazione della merce”, prima della “cessione dell’azienda”. E tale difficile contesto economico rende fragile la ricostruzione operata dal Fisco, che ha determinato “maggiori ricavi” – rispetto a quelli dichiarati ufficialmente –, applicando “al costo del venduto il ricarico del 31 per cento, derivato dalla media delle ultime tre dichiarazione dei redditi”.
A dare il ‘la’ ai sospetti del Fisco è stata anche “la mancata risposta della contribuente al questionario, inviatole dall’Ufficio, in relazione alla perdita dichiarata” nel 1998 e pari a “102milioni di lire”, e quei sospetti si sono concretizzati in un “accertamento induttivo del reddito” dell’esercizio commerciale.
Ma la visione tracciata dal Fisco viene demolita, in maniera definitiva, dai giudici della Cassazione, i quali sottolineano il ‘peso’ di “eventi particolarmente significativi nell’esercizio dell’impresa, quali la liquidazione dei beni e la successiva cessione dell’azienda”, eventi che “risultano idonei a giustificare una percentuale di ricarico sensibilmente inferiore alla media”.
In questa ottica, basta richiamarsi, per i giudici, alla “comune esperienza”, secondo cui “il prezzo praticato in sede di liquidazione, comprensiva delle rimanenze di magazzino, e quindi di prodotti in buona parte già obsoleti, non corrisponde al valore di mercato, applicandosi in tal caso sconti anche rilevanti, strumentali al più celere realizzo dell’attivo aziendale”.
Di conseguenza, viste “la particolare contingenza economica, culminata nella cessione dell’azienda, e la non contestata liquidazione delle merci, comprese le rimanenze”, è minata alle fondamenta la solidità del “criterio della percentuale media di ricarico”. E ciò spinge i giudici a sancire la nullità definitiva dell’“avviso di accertamento” emesso dal Fisco.

Giuseppe Catapano scrive: Agenzia Entrate, annullamento accertamento oltre i termini?

Innanzi tutto è opportuno fare una breve premessa in merito allo scandalo dei dirigenti dell’Agenzia delle Entrate e sulla validità dei relativi atti di accertamento fiscale. A seguito della sentenza della Corte Costituzionale, “sono decaduti, con effetto retroattivo, dagli incarichi dirigenziali tutti coloro che erano stati nominati in base alle norme dichiarate incostituzionali e, di conseguenza, devono ritenersi illegittimi tutti gli avvisi di accertamento firmati dai dirigenti nominati in base a leggi dichiarate incostituzionali”. Sul versante dell’onere probatorio, come detto più volte dalla Corte di Cassazione, a fronte dell’eccezione del contribuente sulla validità della sottoscrizione, spetta all’Agenzia delle Entrate dimostrare la legittimità della stessa, il che, nella specie, si concretizza nel provare che il soggetto è stato assunto a seguito di regolare concorso. Diversi giudici tributari stanno riconoscendo la nullità degli atti sottoscritti dai c.d. “dirigenti decaduti”. Tra tutti spiccano, per importanza: CTR Lombardia, CTP Campobasso, CTP Lecce, CTP Milano. In quasi tutti suddetti precedenti si parla di radicale nullità dell’accertamento: questo significa che il vizio può essere fatto valere in ogni stato e grado del giudizio e può essere rilevato anche d’ufficio. Essendo tali atti radicalmente nulli, ossia non sanabili neanche con il decorso del tempo, viene aperta la possibilità del ricorso ad una vasta area di contribuenti. Tra questi possiamo menzionare a titolo esemplificativo non solo a chi è stato notificato un accertamento fiscale, ma anche a chi abbia già presentato ricorso contro quest’ultimo avendo già sostenuto vari gradi di giudizio senza successo o addirittura chi non abbia mai fatto opposizione contro alcun atto impositivo. Tutto ciò è spiegato dal fatto che i vizi di nullità possono essere fatti valere in qualsiasi momento in quanto tali vizi non possono essere mai sanati. Nessun tribunale, sino ad oggi, si è occupato della fattispecie evidenziata dal lettore: ossia la decorrenza dei termini per proporre ricorso. Tuttavia, i principi del nostro ordinamento stabiliscono che un atto radicalmente nullo non può essere sanato neanche con il decorso dei termini per proporre opposizione. Il che aprirebbe la possibilità, nel caso di specie, all’accoglimento del ricorso. Il condizionale è tuttavia d’obbligo quando si ha a che fare con un fenomeno di portata talmente ampia da coinvolgere la stabilità di gran fetta della riscossione esattoriale. In ogni caso, c’è anche da dire che sul punto ancora non si è pronunciata la Cassazione. Quanto alle possibilità di vittoria, ovviamente, stando alla perfetta autonomia decisionale dei giudici, il fatto che la maggioranza delle sentenze sia a favore del contribuente non garantirà al ricorrente una sicura vittoria, potendo il singolo magistrato decidere diversamente dall’indirizzo generale e persino da quello tracciato dalla Cassazione.

Giuseppe Catapano informa: ‘BUCATI’ SOTTOSCRIZIONE E INDICAZIONE DEL RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO: CARTELLA DI ACCERTAMENTO ANCORA IN PIEDI…

“Cartella di pagamento” nei confronti di una società, e relativa alla “liquidazione in base alla dichiarazione dei redditi per gli anni 2000 e 2001”. Ma, secondo i giudici tributari regionali, l’operato del Fisco è viziato… più precisamente, decisiva è la “mancanza di sottoscrizione e dell’indicazione del responsabile del procedimento”, e ciò, sempre per dei giudici di secondo grado, porta all’annullamento della “cartella”.
Di avviso opposto, però, i giudici della Cassazione. Questi ultimi, in premessa, ricordano che “la cartella esattoriale che ometta di indicare il responsabile del procedimento, se riferita a ruoli consegnati agli agenti della riscossione in data anteriore al 1° giugno 2008”, come in questo caso, “non è affetta da nullità”. E, subito dopo, ancora i giudici di terzo grado aggiungono che “l’omessa sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, la cui esistenza non dipende tanto dall’apposizione del sigillo o del timbro o di una sottoscrizione leggibile, quanto dal fatto che tale elemento sia inequivocabilmente riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo, tanto più che la cartella, quale documento per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli, deve essere predisposta secondo il modello approvato con decreto del Ministero competente, che non prevede la sottoscrizione dell’esattore, ma solo la sua intestazione e l’indicazione della causale, tramite apposito numero di codice”.
Chiara, quindi, la chiave di lettura offerta dai giudici della Cassazione, e di cui dovranno tenere conto i giudici tributari regionali riprendendo in esame la vicenda.

Catapano Giuseppe osserva: Stop avvocati di Equitalia

Niente più avvocati esterni per Equitalia: a difendere l’Agente per la riscossione, da oggi, ci penserà l’Agenzia delle Entrate, almeno quando è lei l’ente creditore “mandante”, ossia quando il tributo sottostante alla cartella esattoriale è di sua provenienza. È questo l’effetto di un accordo appena siglato tra Equitalia e le Entrate per assicurare alla prima la difesa sulle questioni di competenza della seconda. L’intesa si applica a tutti i ricorsi notificati dal 16 marzo in poi e potrebbe essere duplicata anche per gli altri enti creditori (per es. Inps, Dogane, ecc.). In pratica, in caso di ricorso notificato anche o solo nei confronti dell’Agenzia, quest’ultima, in quanto titolare del diritto di credito oggetto di contestazione, prenderà anche le difese di Equitalia. Il che del resto è avvalorato dalla Cassazione secondo cui l’Agenzia delle Entrate è legittimata passiva sia per vizi imputabili alla sua attività che per quella di Equitalia. Ciò risponde a una duplice esigenza. Da un lato Equitalia non ha dei propri legali interni, ma deve ricorrere, di volta in volta, a professionisti esterni, con conseguente aumento di spese: spese che, invece, potranno essere contenute tutte le volte in cui, in giudizio, c’è anche l’Agenzia delle Entrate, la quale invece si vale di un proprio team legale di esperti in questioni tributarie. Dall’altro lato, la collaborazione tra i due enti garantirà una difesa tecnica più efficace. Il nuovo accordo consente all’amministrazione finanziaria di presentarsi alla platea dei contribuenti come interlocutore unico, determinato a sostenere le proprie legittime pretese fino all’epilogo della riscossione. L’ufficio delle Entrate comunque si costituisce nel proprio interesse, in quanto titolare della pretesa, e difende le questioni di competenza dell’agente sulla base della linea difensiva prospettata da quest’ultimo.

Giuseppe Catapano: Accertamenti Agenzia Entrate e cartelle Equitalia, nullità confermata

Sono nulle e non vanno pagate le pretese di pagamento dell’Agenzia delle Entrate per gli accertamenti fiscali firmati dai 767 dirigenti decaduti con la sentenza della Corte Costituzionale di marzo scorso. A confermare il primo orientamento favorevole al contribuente dato dalla CTP di Milano è ora la CTR Lombardia: il primo caso di giudizio di appello che si risolve in favore del cittadino. La sentenza è quasi fresca di giornata, perché appena diffusa, sebbene depositata l’altro ieri, ma le sue motivazioni hanno già scosso il fisco italiano che ora intravede seriamente il pericolo di dover rinunciare a riscuotere l’evasione fiscale degli ultimi anni. Questo perché, se in primo grado si erano avuti precedenti discordanti, la Ctr milanese è invece categorica: per gli atti firmati dai dirigenti incaricati decaduti a seguito della decisione della Consulta “non sembra esservi ombra di dubbio sulla caducità, anche alla luce della giurisprudenza di legittimità succedutasi negli anni”. Come noto, la Consulta, nello scorso mese di marzo, aveva dichiarato illegittima la nomina a dirigente di ben 767 funzionari, perché avvenuta senza pubblico concorso. Risultato: anche gli atti firmati da tale personale – secondo la Commissione lombarda di secondo grado – sono da considerare radicalmente nulli. E ciò anche in forza di un costante orientamento della Cassazione (da noi, spesso, richiamate in queste pagine per sostenere appunto la fondatezza di tale tesi) secondo cui va interpretata con estremo rigore quella norma di legge che prescrive: “L’accertamento è nullo se non reca la sottoscrizione (…)” del capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. L’aspetto più interessante della pronuncia è che essa fa riferimento al concetto di nullità radicale dell’accertamento fiscale: si tratta, cioè, del vizio più grave (dopo l’inesistenza) di cui può essere affetto un atto. In buona sostanza, la nullità può essere rilevata in ogni stato e grado del processo, e finanche dal giudice stesso qualora il contribuente non lo faccia per dimenticanza o ignoranza. Come dire che è la stessa Corte, dinanzi alla quale sia stato impugnato un atto, a doverlo annullare d’ufficio se si accorge che fa parte di quelli firmati da chi non aveva i poteri, e questo a prescindere dall’eventuale contestazione del ricorrente. Non ci sono neanche termini massimi per far valere il vizio, perché la nullità può essere rilevata (oltre che dal giudice) anche dalla parte in secondo grado o anche prima che la causa venga decisa, nonostante l’eccezione non sia stata inserita nell’atto di ricorso. Secondo dunque la CTR Lombardia la nullità può essere rilevata d’ufficio dal giudice in quanto si verificherebbe un’ipotesi di nullità assoluta del provvedimento, essendo tale atto viziato da difetto assoluto di attribuzione rilevabile in ogni stato e grado del giudizio, anche d’ufficio. I giudici sconfessano anche la teoria del funzionario di fatto, cui si sta appellando l’Agenzia delle Entrate per salvare l’orticello, ma che, evidentemente, non ha applicazione nel caso di specie. Chi sono i dirigenti decaduti? L’elenco dei dirigenti senza poteri, interessati dalla sentenza della Corte Costituzionale, è stato messo a disposizione dalla stessa Agenzia delle Entrate per questioni di trasparenza. Si può consultare a questa pagina web: http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/content/nsilib/nsi/agenzia/amministrazione+ trasparente/personale/dirigenti+cartella/curricula+e+dati+retributivi+dirigenti In pratica si può trattare di a) direttori provinciali “reggenti”; b) altri funzionari/dirigenti su delega di questi reggenti; c) dirigenti “reggenti” con incarico di capo ufficio/area delegati alla firma dal direttore provinciale. Nella prime due ipotesi infatti, il direttore provinciale “reggente”, non avendo potuto occupare quel ruolo non poteva né sottoscrivere l’atto né delegare terzi. Nella terza ipotesi, invece, il dirigente (capo ufficio/area) che ha sottoscritto l’atto, su delega del direttore provinciale, non poteva ricoprire tale incarico. Anche alle cartelle di Equitalia L’aspetto che interessa più i contribuenti forse è questo: la nullità si estende anche alle cartelle di Equitalia? Il punto è delicato e ancora non si riscontrano decisioni in merito. Tutto si gioca proprio sull’accennato concetto di “nullità assoluta”: essa non è mai sanabile e comporta l’annullamento non solo dell’atto viziato, ma anche di tutta quella serie di atti che sono stati emessi come conseguenza del primo. Un effetto domino, quindi, secondo un principio di diritto che ora potrebbe tornare utile al contribuente. Dunque, se l’accertamento è nullo e sulla scorta di esso, in caso di mancato pagamento, è stata emessa la cartella di Equitalia, anch’essa dovrebbe essere nulla. Come detto, però, bisognerà procedere ancora con prudenza, in attesa di comprendere come le Commissioni Tributarie si orienteranno sulla questione.