Per anni ai servizi domestici, assunta a voce, non versati i contributi e, soprattutto, pagata in contanti: sono errori, questi, che non bisognerebbe mai fare neanche con la donna delle pulizie perché, qualora questa decida di intentare una causa al capo famiglia, assumendo di essere stata assunta, ma mai pagata e mai “denunciata” all’ufficio del lavoro, la prova contraria sarà pressoché impossibile. Risultato: dopo anni e anni di collaborazione, il “datore di lavoro”, anche se non è un imprenditore, dovrà pagare tutti gli stipendi di cui non vi è una traccia (perché non avvenuti con assegno o bonifici, ma solo per contanti). Oltre, ovviamente, ai contributi previdenziali e alle sanzioni. È quanto si evince da una sentenza di ieri della Cassazione. Quale difesa? Quasi nessuna. Sostenere che si è trattato di una collaborazione dovuta a rapporto di parentela, affinità o amicizia richiede una prova precisa e puntuale, da parte del capo famiglia, che difficilmente si potrebbe fornire. Stesso discorso vale qualora ci difenda sostenendo che, secondo gli accordi tra le parti, le prestazioni lavorative erano da considerarsi a titolo gratuito. E questo perché il lavoro si paga (tradotto in termini giuridici, si usa dire che vi è “presunzione di onerosità”, salvo prova contraria). Insomma, ogni tipo di attività svolta in favore di un’altra persona potrebbe essere facilmente inquadrata nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato qualora si dimostri il rapporto di soggezione alle direttive del datore di lavoro e, quindi, il fatto che le prestazioni si siano ripetute nel tempo con una certa continuità. Per la collaboratrice, invece, il gioco della prova è molto più facile. A lei basterà dimostrare, con testimoni, di aver svolto le faccende domestiche, lavato i piatti, lucidato i pavimenti, insomma di fare le tipiche pulizie di casa sotto le direttive, il controllo e le indicazioni della famiglia ospitante. Quanto al compenso, alla donna delle pulizie basterebbe sostenere di non aver mai ricevuto alcuna paga per scaricare sul datore di lavoro l’onere della prova contraria. Se quest’ultimo non riesce a fornire la dimostrazione di aver versato le retribuzioni concordate (cosa che succede tutte le volte che si paga in contanti) la sua condanna sarà praticamente inevitabile.