L’indicazione del numero delle cartelle di pagamento sull’avviso di ricevimento non ha valore di prova assoluta e incontestabile (cosiddetta “fede privilegiata”) in quanto non si tratta di una attestazione che redige l’agente postale: solo il postino, infatti, in quanto pubblico ufficiale, può attribuire valore di prova a quanto indicato nelle buste postali. Infatti la legge stabilisce che gli avvisi di ricevimento sono predisposti dagli interessati (ossia dai clienti del servizio postale) e non dal postino medesimo. Inoltre, l’agente postale che consegna un plico con avviso di ricevimento fa firmare al destinatario, provvedendo a rispedirlo al mittente completo in ogni sua parte. Ciò comporta che le indicazioni sull’avviso di ricevimento, non hanno valore di prova privilegiata, ma valgono come semplice presunzioni. Risultato: è priva di alcun valore di prova la data di spedizione della raccomandata risultante dall’avviso di ricevimento della cartella di Equitalia senza che ad essa si accompagni una attestazione dell’ufficiale postale. Lo ha detto la Cassazione con una ordinanza di questa mattina. L’aspetto pratico della sentenza è piuttosto interessante: se la cartella di pagamento e l’avviso di ricevimento contengono indicazioni effettuate a penna dal mittente e non dall’ufficio postale, esse possono essere facilmente impugnate: basta contestarle per scaricare poi su Equitalia l’onere della prova contraria. La vicenda È stato respinto il ricorso dell’Agenzia delle entrate che sosteneva di aver notificato una cartella di pagamento entro i termini. Il contribuente aveva opposto, fra le altre cose, che dalla stampa del sito on line di Poste italiane la data era più risalente. I giudici hanno ritenuto, nel caso di specie, che il sito on line delle Poste Italiane sia in grado di dimostrare la data consegna della cartella di pagamento. È invece priva di valenza probatoria la data di spedizione della raccomandata risultante dall’avviso di ricevimento se non c’è l’attestazione del postino.
cartella esattoriale
Catapano Giuseppe osserva: Equitalia, posso impugnare la cartella se sto già pagando a rate?
Chi ha già in atto, con Equitalia, un piano di rateazione (o “rateizzazione” come in molti dicono), ossia l’impegno a pagare la cartella a rate, non perde, almeno in teoria, la possibilità di impugnarla in un momento successivo e, quindi, fare ricorso. Questo perché il pagamento del debito non comporta acquiescenza, ossia ammissione del debito stesso (il contribuente, infatti, potrebbe voler pagare solo per evitare conseguenze peggiori come il pignoramento, il fermo auto o un’ipoteca). Tuttavia le ipotesi in cui è, di fatto, possibile l’impugnazione sono minime. Vediamole qui di seguito. Vizio di annullabilità dell’atto prodromico Il contribuente non può impugnare la cartella esattoriale di Equitalia per contestare un vizio dell’atto prodromico, quello cioè notificatogli, in precedenza, dall’ente titolare del tributo o della sanzione (per esempio, la multa del Comune, un accertamento fiscale dell’Agenzia delle Entrate, una richiesta di pagamento di imposte o di contributi previdenziali dall’Inps, ecc.). Infatti, quando la contestazione riguarda il merito di tali atti amministrativi, esistono termini di legge ben precisi per impugnarli. Scaduti tali termini, gli importi non pagati vengono “iscritti a ruolo” e, solo allora, inviati ad Equitalia. Questo significa che se il vizio è relativo all’atto notificato a monte della riscossione, il ricorso non è più possibile per decorrenza dei termini. Vizio di annullabilità della cartella di Equitalia Il contribuente non può impugnare la cartella esattoriale di Equitalia dopo 60 giorni dalla sua notifica per i vizi meno gravi, quelli cioè che danno luogo ad annullabilità della cartella stessa: è il caso, per esempio, di una cartella che calcoli in modo errato gli interessi o che venga inviata a un soggetto che non è l’effettivo debitore o, ancora, che riporti delle somme non dovute. Alla luce di ciò, poiché il procedimento di richiesta e accettazione della rateazione avviene, di norma, in tempi non immediati, potrebbe essere che, anche in questo caso, siano decorsi i suddetti 60 giorni e quindi sia venuta meno la possibilità di impugnare la cartella esattoriale davanti al giudice. Se però il termine dei 60 giorni non è ancora compiuto, bisogna porre attenzione a un’altra circostanza. Se si vuol far valere un vizio di notifica dell’atto, è bene sapere che, presentando ricorso, lo si sana. Ci spieghiamo meglio. Se il contribuente vuol contestare il fatto che il postino abbia consegnato la cartella a un soggetto che non era un familiare convivente (come richiede il codice), non potrebbe andare dal giudice sostenendo di non aver mai ricevuto tale atto, proprio perché, se lo fa nei termini, significa comunque che ne ha preso visione e, dunque, che ne è venuto in possesso. Insomma, così facendo, sconfesserebbe sé stesso. Questo concetto viene espresso dalla giurisprudenza con il principio secondo cui tutte le volte in cui l’atto, benché viziato, raggiunge (in un modo o nell’altro) il suo scopo non è più impugnabile e il vizio si sana. Si pensi ancora al caso in cui il contribuente riceva una notifica presso la Casa Comunale e, tuttavia, l’agente postale non gli invii la seconda raccomandata per informarlo di aver tentato invano la notifica. Anche qui, il ricorso contro l’errore del postino sanerebbe il vizio. In tutti questi casi, insomma, non rileva tanto la “forma” della procedura di notifica, quanto piuttosto il risultato definitivo: se il destinatario è venuto a conoscenza della cartella (a prescindere dalle modalità concrete) non c’è più possibilità di fare ricorso. In questi casi, non resterebbe altro da fare che attendere la successiva mossa di Equitalia (per esempio, un pignoramento, un’ipoteca o un fermo) e solo allora, “cadendo dalle nuvole”, contestare il mancato ricevimento della cartella. Ovviamente, però, se si è chiesto la rateazione del debito, Equitalia non avvierà mai le procedure esecutive e, quindi, non ci sarà neanche possibilità di fare ricorso. Vizio di nullità dell’atto prodromico o della cartella di Equitalia Non resta che verificare la possibilità di ricorrere contro la cartella esattoriale per vizi di nullità assoluta, ossia di inesistenza dell’atto prodromico (quello cioè con la pretesa fiscale vera e propria) o della successiva cartella. In questo caso, il decorso dei termini per l’impugnazione non è più un ostacolo in quanto, secondo la nostra legge e la giurisprudenza costante, la nullità assoluta è insanabile: in altre parole, il vizio può essere fatto valere in ogni stato e grado del procedimento, oltreché essere rilevabile d’ufficio, senza termini massimi. Non c’è quindi una scadenza per impugnare un atto firmato da un soggetto che, in verità, non aveva i poteri per firmalo; per contestare la notifica fatta da un corriere privato e non da un soggetto a cui la legge attribuisce tale potere; o, ancora, per rilevare che la cartella esattoriale o la pretesa fiscale era priva del suo contenuto minimo per venire in esistenza (per esempio, l’indicazione del responsabile del procedimento). Dunque, solo in questo caso è possibile il ricorso nonostante sia stato già avviato un piano di rateazione del debito.
Giuseppe Catapano informa: ‘BUCATI’ SOTTOSCRIZIONE E INDICAZIONE DEL RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO: CARTELLA DI ACCERTAMENTO ANCORA IN PIEDI…
“Cartella di pagamento” nei confronti di una società, e relativa alla “liquidazione in base alla dichiarazione dei redditi per gli anni 2000 e 2001”. Ma, secondo i giudici tributari regionali, l’operato del Fisco è viziato… più precisamente, decisiva è la “mancanza di sottoscrizione e dell’indicazione del responsabile del procedimento”, e ciò, sempre per dei giudici di secondo grado, porta all’annullamento della “cartella”.
Di avviso opposto, però, i giudici della Cassazione. Questi ultimi, in premessa, ricordano che “la cartella esattoriale che ometta di indicare il responsabile del procedimento, se riferita a ruoli consegnati agli agenti della riscossione in data anteriore al 1° giugno 2008”, come in questo caso, “non è affetta da nullità”. E, subito dopo, ancora i giudici di terzo grado aggiungono che “l’omessa sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, la cui esistenza non dipende tanto dall’apposizione del sigillo o del timbro o di una sottoscrizione leggibile, quanto dal fatto che tale elemento sia inequivocabilmente riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo, tanto più che la cartella, quale documento per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli, deve essere predisposta secondo il modello approvato con decreto del Ministero competente, che non prevede la sottoscrizione dell’esattore, ma solo la sua intestazione e l’indicazione della causale, tramite apposito numero di codice”.
Chiara, quindi, la chiave di lettura offerta dai giudici della Cassazione, e di cui dovranno tenere conto i giudici tributari regionali riprendendo in esame la vicenda.
Giuseppe Catapano informa: Cartella nulla se la notifica dell’atto dell’Agenzia Entrate è irregolare
Lo potremmo chiamare “effetto domino”: se cade la prima tessera, cadono tutte quelle collocate in successione dopo di essa. Lo stesso identico principio regola gli atti amministrativi e fiscali: nel momento in cui un provvedimento viene dichiarato nullo, sono nulli anche tutti quelli successivi che sono stati emanati in conseguenza del primo. Per esempio: se è nullo un accertamento fiscale, è nulla anche la cartella di Equitalia inviata al contribuente per il mancato pagamento del primo. Questo concetto è molto importante per comprendere una delle ipotesi più frequenti di vizi degli atti dell’Agenzia delle Entrate: il difetto di notifica. Se, infatti, non viene mai notificato, al legittimo destinatario, l’atto a monte del procedimento (quello che i tecnici chiamano “atto prodromico”), gli eventuali atti notificati successivamente, anche se in modo corretto, sono nulli. Questo perché il contribuente non può prendere conoscenza del procedimento tributario avviato contro di lui quando oramai “i giochi sono fatti” e per lui non c’è più possibilità di contestarlo. La Cassazione insegna, infatti, che l’omessa notifica di un atto presupposto costituisce vizio procedurale che comporta la nullità dell’atto successivo. Il contribuente può proporre opposizione (per far valere tale nullità) indifferentemente nei confronti dell’ente creditore titolare del tributo (per es. l’Agenzia delle Entrate, l’Inps, ecc.) o Equitalia. Tale principio era stato battezzato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte con una storica sentenza, secondo cui l’atto successivo (ad esempio, la cartella di pagamento) è di per sé nullo se non preceduto dalla rituale notifica di quello presupposto (ad esempio, l’accertamento). Il discorso è identico non solo nel caso in cui l’atto prodromico non venga mai notificato, ma anche se notificato in modo irregolare, senza per esempio la completa compilazione della relata di notifica, o consegnato al soggetto sbagliato, nel posto diverso da quello della residenza, ecc. In questi casi, però, volendo scendere più sul tecnico, bisognerebbe distinguere tra due tipi di vizi: – nullità: si tratta degli errori più gravi commessi al momento della notifica, errori che non possono essere mai sanati. È il caso, per esempio, di un accertamento consegnato al contribuente da un soggetto che non abbia pubblici poteri per farlo (per esempio, il postino privato). In tal caso, il contribuente potrà fare tranquillamente opposizione contro l’atto stesso per notifica inesistente; – annullabilità: sono i casi di vizi meno gravi che, invece, vengono sanati se si dimostra – anche con un comportamento implicito del contribuente – che il destinatario ha comunque preso visione dell’atto. Si pensi al caso in cui l’avviso di accertamento venga consegnato a un familiare non convivente che, in quel momento, si trovava in casa del destinatario effettivo. E qui sta l’inghippo: se il contribuente propone ricorso contro l’atto per chiederne l’annullamento dimostra, tacitamente, di averne preso visione (come potrebbe fare ricorso contro un atto se non lo ha materialmente visto?). Dunque, l’impugnazione comporta la sanatoria del vizio. In tali ipotesi, allora, l’unica strada per uscirne è far finta di nulla e attendere la notifica del successivo atto, per poi impugnare quest’ultimo sostenendo di non essere mai venuti a conoscenza dell’atto prodromico.
Catapano Giuseppe osserva: SE LA CARTELLA PRESUPPOSTA AL PIGNORAMENTO E’ STATA NOTIFICATA ALLORA LA COMPETENZA E’ DEL GIUDICE ORDINARIO
Un’altra diatriba che riguarda la diversa interpretazione della competenza sull’impugnazione. L’atto di pignoramento è sicuramente di competenza del giudice ordinario in veste di giudice delle esecuzioni ma non sempre. Molte sentenze della suprema corte, ma anche dei giudici di merito, riferiscono che se la notifica degli atti prodromici al pignoramento sono difettosi e non raggiungono lo scopo allora la competenza è del giudice tributario ove si tratti di tributi. Ma in questo caso il puns dolens è proprio quello della regolare notifica delle cartelle esattoriali ed ancora prima degli avvisi di accertamento. Sia i giudici di primo che di secondo grado avevano sentenziato che tutti gli atti presupposti erano stati regolarmente notificati, per cui, anche per il supremo giudice non vi era dubbio sulla giurisdizione ordinaria della questione. La nomofiliachia evidenziata riguarda l’interpretazione dell’art.2 del d.lgs 546 del 1992 in tema di contenzioso tributario, dove è delineato appunto l’ambito di applicazione delle liti fiscali. Non essendoci dubbi la Cassazione rimanda al giudice delle esecuzioni la decisione della questione.
Giuseppe Catapano informa: Equitalia, solo l’avviso di ricevimento prova la notifica della cartella
Per dimostrare di aver correttamente notificato la cartella esattoriale, Equitalia è tenuta a esibire l’originale dell’avviso di ricevimento della raccomanda spedita al cliente. Non ci sono altri mezzi per fornire tale prova. Non vale la fotocopia e, ancor di più, il semplice estratto di ruolo. Va bene, dunque, che ormai la giurisprudenza abbia ritenuto valida la notifica diretta, a mezzo posta, da parte dell’esattore, ma almeno la prova della correttezza di tale adempimento deve essere certa e cristallina: e non c’è altro modo di fornirla se non producendo il cosiddetto “a.r.” in originale. Del resto, è proprio l’avviso di ricevimento che può fornire la dimostrazione incontrovertibile della data di spedizione e di ricezione (essenziale per verificare se Equitalia sia decaduta dal potere di riscuotere e se il contribuente abbia presentato il ricorso nei termini). Lo ha chiarito la Cassazione con una sentenza di questa mattina. Attenzione però: non è necessario che Equitalia porti in causa anche la copia della cartella (salvo – aggiungiamo noi – che il contribuente contesti anche il contenuto del plico stesso, nel qual caso spetta al notificante fornire la prova contraria e dimostrare cosa la busta contenesse: leggi “Equitalia deve dimostrare l’esatto contenuto della cartella di pagamento”). Con una lunga motivazione, la Suprema Corte ha sottolineato che in tema di notifica della cartella esattoriale, la prova del perfezionamento del procedimento di notificazione e della relativa data può essere fornita solo mediante la produzione dell’avviso di ricevimento. Come detto però, la copia della cartella di pagamento non deve necessariamente essere presentata al giudice: la cartella, infatti – si legge in sentenza – una volta pervenuta all’indirizzo del destinatario, deve ritenersi consegnata a quest’ultimo. Essa, in pratica, già si “presume” conosciuta con la semplice esistenza dell’avviso di ricevimento, salvo prova contraria da parte del contribuente. Quest’ultimo, cioè, dovrebbe dimostrare di essersi trovato senza sua colpa nell’impossibilità di prenderne cognizione. La sentenza contiene poi un’ultima importante precisazione. L’omissione della notifica della cartella di pagamento è un vizio che ha come conseguenza la nullità del pignoramento di Equitalia. E l’opposizione al pignoramento va presentata davanti al giudice dell’esecuzione (tribunale ordinario e non CTP), anche quando ne venga fatta valere la nullità per omessa notifica della cartella (o dell’intimazione ad adempiere); in tale caso, il giudice dovrà verificare solo la sussistenza o meno del difetto di notifica all’esclusivo fine di pronunciarsi sulla nullità dell’atto consequenziale. Sul problema della giurisdizione competente a decidere l’opposizione al pignoramento di Equitalia si era pronunciata la stessa Cassazione qualche giorno fa e da noi segnalata in “Competenza e giurisdizione contro l’esecuzione forzata di Equitalia”.
Giuseppe Catapano informa: Equitalia: se anche inizi a pagare puoi sempre impugnare la cartella non notificata
Hai iniziato a pagare (o hai pagato integralmente) una cartella esattoriale e solo dopo ti sei accorto che la notifica non era avvenuta correttamente? Sei sempre in tempo per impugnarla (e, quindi, chiedere il rimborso di quanto anticipato): questo perché il pagamento anticipato non sana i vizi di notifica. Lo ha chiarito la Cassazione con una tanto recente quanto importante sentenza . Il principio di raggiungimento dello scopo Il codice di procedura civile stabilisce che non può considerarsi nullo un atto che, pur carente dei requisiti essenziali, abbia comunque raggiunto il suo scopo, cioè sia arrivato a conoscenza del destinatario e questi abbia avuto la possibilità di difendersi. Questo principio vale soprattutto in tema di notifiche: per cui, se il contribuente viene, in qualsiasi modo, a conoscenza del plico, allora non può, nello stesso tempo, impugnarlo davanti al giudice, sostenendo di non averne mai ricevuto una corretta notifica. Il pagamento non è raggiungimento dello scopo Questo principio, però, non si applica nel caso in cui il contribuente abbia pagato la cartella di pagamento. In soldoni, il fatto di aver già sborsato i soldi in favore dell’Agente della riscossione non impedisce di contestare la cartella in un secondo momento. Secondo, infatti, la sentenza in commento, il pagamento della pretesa fiscale non sana la nullità della relativa notifica. Il pagamento, insomma, non può considerarsi come elemento per ritenere che l’atto abbia raggiunto il suo scopo. Il cittadino, infatti, potrebbe aver aperto il portafogli per altri scopi come, per esempio, evitare un’ipoteca, il fermo dell’auto o il blocco del conto corrente. Ciò vale ancor di più tutte le volte in cui il vizio della cartella o della notifica non è quello della nullità, ma della inesistenza. La differenza è macroscopica: a dispetto della nullità (che, evidentemente, in alcuni casi può essere sanata), l’inesistenza è insanabile perché ricorre tutte le volte in cui vengono violate norme di legge particolarmente importanti, poste a garanzia del contribuente. Tale sarebbe, per esempio, il caso di mancanza di firma del direttore dell’Agenzia delle Entrate sull’avviso di accertamento. O ancora, la mancanza di date sulla relata di notifica. O, ancora, la consegna della cartella esattoriale effettuata da una posta privata e non da Poste Italiane. Risultato: il fatto di aver iniziato a pagare Equitalia (o aver pagato integralmente tutto il debito) non impedisce al contribuente di impugnare la cartella viziata, poiché il far fronte alla pretesa tributaria non equivale a sanare il vizio della notifica. E, in più, nel caso in cui il vizio della cartella o della sua notifica non sia quello della nullità, ma della inesistenza, non esistono termini di scadenza per l’impugnazione. Dunque, è nulla l’ipoteca dell’esattore, in caso di recapito dell’accertamento a un indirizzo sbagliato, anche quando il cittadino abbia saldato tutto o parte del debito. Il pagamento non sana il vizio nella procedura attuata dalla società di riscossione.
Catapano Giuseppe: Con il fermo auto posso circolare o vendere l’auto?
Il fermo amministrativo (anche detto “ganasce fiscali”) viene emesso a seguito del mancato pagamento della cartella esattoriale inviata da Equitalia entro i termini di legge (60 giorni) e ha ad oggetto i veicoli iscritti nei pubblici registri.
Decorsi 60 giorni dalla data di notifica della cartella esattoriale, il concessionario della riscossione può disporre il fermo del veicolo chiedendone l’iscrizione al PRA.
Dopo aver emesso il provvedimento di fermo, prima di chiederne l’iscrizione al PRA, il concessionario della riscossione deve inviare al contribuente una comunicazione con la quale lo invita a versare l’importo dovuto entro il termine di 20 giorni.
Trascorso inutilmente tale termine il concessionario procede all’iscrizione al PRA.
L’iscrizione del fermo amministrativo fa sorgere un vincolo all’utilizzo del veicolo, dal momento che il veicolo sottoposto a fermo amministrativo non può circolare e l’eventuale circolazione abusiva determina l’applicazione di una sanzione pecuniaria.
Se a seguito del fermo il debito non viene estinto, il concessionario potrà procedere al pignoramento del bene e alla conseguente vendita forzata.
Il fatto che sul mezzo sia presente un fermo non vuol dire che esso non possa essere venduto. Al contrario, l’automobile potrà essere oggetto di compravendita, ma l’acquirente acquisterà il mezzo con tutto il fermo e, quindi, non solo il divieto di utilizzarla, ma anche il rischio di una espropriazione forzata qualora il debitore principale (sul quale rimane il debito con l’erario) non paghi la cartella esattoriale.
Infatti, come specificato dall’ACI, dopo l’iscrizione del fermo, è possibile trascrivere al PRA il trasferimento di proprietà dell’auto, fermo restando che l’atto di vendita successivamente trascritto non sarà opponibile dal nuovo acquirente al concessionario che potrà procedere alla vendita forzata del veicolo qualora non venga effettuato il pagamento dovuto.
Gli atti di disposizione del veicolo sottoposto a fermo amministrativo sono, dunque, inefficaci solo nei confronti del concessionario .
Se il debitore effettua il pagamento integrale delle somme dovute (tributo, sanzioni, interessi e relative spese di notifica), il concessionario emette il provvedimento di revoca del fermo e lo invia al contribuente.
Il contribuente con il provvedimento di revoca può chiedere al PRA la formalità di cancellazione del fermo.
La formalità di cancellazione è completamente esente da emolumenti in quanto in base alla nuova tariffa PRA non sono più dovuti neanche gli emolumenti per l’iscrizione che, come noto, venivano versati dalla parte in sede di cancellazione del fermo.
Catapano Giuseppe scrive: Equitalia: le lacune che rendono nulla la cartella di pagamento
È nulla la cartella esattoriale notificata da Equitalia al contribuente se in essa non sono facilmente comprensibili le ragioni della pretesa avanzata dal fisco. In buona sostanza, la cartella deve chiarire al destinatario le ragioni per le quali se ne chiede il pagamento. Lo prescrive lo Statuto del contribuente ed, oggi, anche una sentenza della Cassazione pubblicata questa mattina . Non solo va indicato, quindi, il tributo per il quale si chiede il pagamento (elemento che il contribuente potrà trovare specificato nel dettaglio della cartella esattoriale), ma è necessaria anche la massima chiarezza sui criteri usati per l’applicazione dell’aliquota. La legge sul procedimento amministrativo specifica che ogni atto della P.A. deve essere motivato. In particolare, la motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione. Se le ragioni dell’atto amministrativo fanno riferimento a un altro atto della P.A. quest’ultimo deve essere indicato e reso disponibile al cittadino. Ebbene, tale principio viene richiamato dallo Statuto dei contribuenti e, quindi, vale anche per le cartelle di Equitalia. Tale principio, comunque, è stato mitigato dalla stessa Cassazione, la quale ha distinto due ipotesi: – se la cartella esattoriale non segue un precedente e specifico atto impositivo già notificato al contribuente, ma costituisce il primo ed unico atto con il quale l’ente impositore esercita la pretesa tributaria, allora essa deve essere motivata alla stregua di un atto propriamente impositivo, e contenere, quindi, gli elementi indispensabili per consentire al contribuente di effettuare il necessario controllo sulla correttezza dell’imposizione (per esempio, se la cartella di pagamento non contiene le informazioni necessarie e sufficienti per consentire al contribuente la verifica dell’applicazione dei criteri di liquidazione dell’imposta indicati da una norma o da una sentenza passata in giudicato, a seguito della quale la cartella stessa sia stata emessa); – viceversa, se la cartella esattoriale non costituisce il primo e l’unico atto con cui si esercita la pretesa tributaria, ma è stata preceduta dalla notifica di altro atto propriamente impositivo, non può essere annullata per vizio di motivazione, anche qualora non contenga l’indicazione del contenuto essenziale dell’atto presupposto, in quanto già conosciuto ed autonomamente impugnabile dal contribuente. A riguardo, la Suprema Corte ha anche precisato che la cartella con cui l’Amministrazione chieda il pagamento delle imposte, dichiarate dal contribuente e non versate, non necessita di specifica motivazione : e ciò perché la pretesa tributaria scaturisce dalla pura e semplice obbligazione di pagamento delle imposte, determinate nella dichiarazione del contribuente.
Giuseppe Catapano osserva: Notifica di cartella Equitalia a destinatario irreperibile: se la relata è incompleta
Buone notizie per chi ha ricevuto la notifica di cartella di Equitalia con deposito alla Casa Comunale perché, in quel momento, era momentaneamente assente. Una sentenza della Commissione Tributaria di Bari , infatti, pone un’ulteriore garanzia nei confronti del contribuente destinatario di atti dell’amministrazione finanziaria. Vediamo meglio di cosa si tratta.
In generale la legge stabilisce che, qualora il postino debba consegnare la cartella esattoriale e il destinatario sia momentaneamente assente (in gergo tecnico si parla di “irreperibilità relativa”) o rifiuti la consegna del plico, il notificante svolge alcune attività necessarie per garantire il rispetto del diritto di difesa:
– innanzitutto deposita la copia della cartella nella casa del Comune dove la notificazione deve eseguirsi;
– nello stesso tempo fornisce al destinatario una comunicazione di tale deposito al Comune, affiggendo un avviso alla porta dell’abitazione o dell’ufficio o dell’azienda del destinatario,
– ed, infine, gliene dà notizia per raccomandata a.r.
Ebbene, secondo la sentenza in commento, tutte le volte in cui l’agente che provvede alla notifica si avvale di tale procedura deve indicare le ragioni per le quali ha seguito questa procedura e elencare le infruttuose ricerche del destinatario che ha tentato di effettuare.
Tutto ciò deve essere riportato nella relata di notifica della cartella. Diversamente, la notifica stessa è nulla e il contribuente potrà, in futuro, opporsi all’eventuale esecuzione forzata, al fermo auto o all’ipoteca.
Chiarisce la Commissione di Bari che, nei casi di assenza e/o irreperibilità temporanea del destinatario, la notifica della cartella esattoriale non è valida se, nella relata, l’agente notificatore non ha dato conto delle ricerche infruttuose del destinatario nei luoghi in cui doveva avvenire la notifica.
La Commissione ricorda che, in caso di temporanea irreperibilità del contribuente, la notifica degli atti tributari deve essere eseguita secondo la il procedimento descritto dal codice di procedura civile : affissione dell’avviso alla porta dell’abitazione (o dell’azienda); deposito del plico nella casa comunale dove la notificazione deve eseguirsi; spedizione della raccomandata informativa con avviso di ricevimento. Inoltre, come già chiarito in passato dalla stessa Cassazione , il ricorso a tale procedimento di notificazione richiede che l’organo delle notificazioni indichi specificamente le ragioni per cui non ha potuto procedere secondo le forme ordinarie. In pratica il postino o l’ufficiale giudiziario devono dare conto, nella relata di notifica, di aver effettuato delle ricerche del destinatario nel luogo di residenza, di dimora o di domicilio e che tali ricerche sono state infruttuose.
Attenzione però: secondo un orientamento giurisprudenziale, proporre il ricorso già contro la cartella sana ogni nullità della notifica. E ciò perché sarebbe contraddittorio il comportamento del contribuente che, da un lato, eccepisca di non aver mai avuto notizia della cartella e, dall’altro, la impugni: così facendo, infatti, dimostrerebbe di averne avuto in qualche modo conoscenza, sanandone i relativi vizi. E allora non resta che aspettare la successiva mossa di Equitalia (per es. un pignoramento o un provvedimento cautelare come una ipoteca o un fermo auto) e impugnare quest’ultimo, per difetto di notifica dell’atto presupposto (la cartella).
Ma non è questo il caso. Secondo infatti la CTP di Bari, in ipotesi di lacunosa compilazione della relata di notifica, come qui descritto, non si può parlare di nullità della notifica, bensì di inesistenza. Risultato: la contestazione della cartella non sana mai la nullità della notifica. E pertanto, anche impugnando l’atto si può ottenere la cancellazione della pretesa avanzata da Equitalia.