Catapano Giuseppe scrive: Falso in bilancio, pene inasprite. Ma per il ddl anticorruzione è stop al senato

Arriverà in aula al senato giovedì mattina il ddl sulla corruzione, ma solo se l’esame sarà stato concluso in commissione. E comunque esclusivamente per la relazione sul testo in modo da consentirne l’incardinamento. Lo ha deciso la conferenza dei capigruppo a maggioranza, tra le proteste dei Cinque Stelle. In commissione giustizia si deve procedere ancora all’esame di 40 emendamenti e il termine per i subemendamenti al testo del governo è fissato per domani alle 13. Nel frattempo però c’è da convertire anche il dl banche contenente la riforma delle Popolari entro il 25 marzo. Dunque il calendario deciso a maggioranza prevede che l’anticorruzione subisca uno stop ed entri nel vivo della discussione dopo la conversione del decreto su cui il governo si appresterebbe a mettere la fiducia.

L’emendamento del governo e le pene più severe per il falso in bilancio

Reclusione da 3 a 8 anni per chi commette il reato di falso in bilancio per società quotate in borsa, mentre per le altre la pena prevista va da uno a 5 anni. Differenziazione, poi, valida pure per le sanzioni, che vengono inasprite: nel caso si manomettano le comunicazioni sociali di imprese in «listino», infatti, le pene pecuniarie salgono da un minimo di 400 ad un massimo di 600 quote (laddove ogni quota va da un minimo di 258 a un massimo di 1.549 euro) dalle attuali 150-330. E per quelle non soggette all’andamento borsistico, invece, aumentano da 200 a 400 quote (ora sono da un minimo di 100 ad un massimo di 150). È quanto stabilisce l’emendamento governativo al testo sulla corruzione (19), che rivede la disciplina del falso in bilancio, depositato ieri pomeriggio in commissione giustizia, a palazzo Madama; le nuove norme, secondo il Guardasigilli Andrea Orlando, presente in Parlamento al momento dell’approdo del testo, fanno sì che si passi «da un reato di danno a un reato di pericolo», con conseguente «giro di vite» per chi se ne macchia. Il restyling del provvedimento comprende, inoltre, l’inserimento nel codice civile dell’articolo 2621-bis che, si legge nella relazione allegata all’emendamento dell’esecutivo, «punisce con la pena della reclusione da 6 mesi a 3 anni, sempreché non costituiscano più grave reato, i fatti di lieve entità, valutati tenuto conto della natura e delle dimensioni della società e delle modalità o degli effetti della condotta»; nel caso il reato riguardi realtà di piccolissime dimensioni (al di sotto, cioè, dei limiti previsti per la «fallibilità»), il delitto è procedibile soltanto «a querela della società, dei soci, dei creditori, o degli altri destinatari della comunicazione sociale», mentre per tutte le altre imprese, siano esse quotate o meno in borsa, i fatti saranno sempre perseguibili d’ufficio, come peraltro aveva annunciato Orlando, al termine di un vertice di maggioranza nel quale erano state definite le principali correzioni al testo (si veda ItaliaOggi del 6/2/2015).

Giuseppe Catapano scrive: Punto di partenza senza spazio

Se il “metodo Barbuto” sia ripetibile  su larga scala si vedrà.

Ambizioso ?  tagliare di circa 800 mila liti il contenzioso civile arretrato. Appare però già più realistico di quello che si è dato il capo del Governo, che punta a dimezzare i 5 milioni e rotti di cause in giacenza entro la fine della legislatura. Intanto si può però osservare che sono rispettate corrette basi metodologiche. Prima di intervenire sarebbe sempre meglio conoscere. E certo il lavoro messo a punto dallo staff del Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, è imponente, in parte accorpando i risultati di precedenti ricerche statistiche (per esempio quelle sugli uffici “virtuosi”) in parte proponendo rivelazioni inedite. Con il pregio di essere stato svolto in poco tempo e di legare già adesso studi e definizione della priorità.

Va in questa direzione l’individuazione del paletto dei tre anni di vetustà del contenzioso da aggredire . Tenendo conto di un dato di fatto, certificato dalle varie e successive rilevazioni in sede europea: la produttività della Magistratura Italiana non ha nulla da invidiare a quella delle migliori europee. A fare la differenza, emerge, neanche troppo tra le righe, nella relazione di Barbuto di accompagnamento allo studio, sono le capacità organizzative e la difficoltà a fare scelte da parte dei vertici degli uffici.

Avere ben chiara la scala degli obiettivi è allora determinante. E in questo senso la moral suasion del nuovo capo di Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria è già partita.

 Il lavoro reso pubblico  dal Ministero della Giustizia ha anche un pregio ulteriore, perché squaderna un’Italia giudiziaria veramente “a macchia di leopardo”. Dove, ufficio per ufficio, sono oggi disponibili i dati sulle piante organiche dei magistrati e del personale amministrativo, del loro rapporto rispetto al bacino di utenza e dei rispettivi tassi di scopertura, del numero di affari introdotti e di quelli definiti (anche in rapporto alla produttività del singolo magistrato). Certo, dati che avranno bisogno di spiegazioni e magari, di ulteriori affinamenti, ma che, intanto, rappresentano, anche per il loro grado di aggiornamento (2013), un punto di partenza fondamentale per chi intende riflettere sull’organizzazione della giustizia.

Nello stesso tempo sono messi a disposizione elementi di giudizio sulle future scelte del ministero. Per esempio sulla collocazione delle nuove assunzioni promesse per il personale amministrativo oppure su utilizzo e destinazione dei budget per il processo telematico.

A cura del Prof. Giuseppe Catapano