Accogliendo il ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate, la Corte di Cassazione ha così avuto modo di ribadire, una volta di più, come in tema di accertamento delle imposte sui redditi e dell’IVA, tutti i movimenti sui conti bancari del
contribuente, siano essi accrediti che addebiti, si presumono riferiti all’attività economica del contribuente, i primi quali ricavi e i secondi quali corrispettivi versati per l’acquisto di beni e servizi reimpiegati nella produzione, spettando
all’interessato fornire la prova contraria che i singoli movimenti non si riferiscono ad operazioni imponibili. Nulla da eccepire quindi circa l’operato dell’Agenzia che aveva determinato il reddito e recuperato a tassazione le imposte non
versate sulla base di tali movimenti.
agenzia entrate
Mancata presentazione delle dichiarazioni fiscali
La direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto – come modificata dalla direttiva 2010/45/UE del Consiglio, del 13 luglio 2010 – in particolare i suoi articoli 213, 214 e 273, deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che consente all’amministrazione fiscale di negare a un soggetto passivo, che ha effettuato acquisti durante il periodo in cui il suo numero d’identificazione dell’imposta sul valore aggiunto è stato annullato per la mancata presentazione delle dichiarazioni fiscali, il diritto di detrarre l’imposta sul valore aggiunto relativa a tali acquisti mediante dichiarazioni d’imposta sul valore aggiunto effettuate – o mediante fatture emesse – successivamente alla riattivazione del suo numero d’identificazione, per la sola ragione che tali acquisti sono avvenuti durante il periodo di disattivazione, pur se i requisiti sostanziali sono soddisfatti e il diritto a detrazione non è invocato in modo fraudolento o abusivo.
Il contribuente salvo dall’incertezza della normativa
Corte Cassazione 10/09/2018
Non sono applicabili sanzioni qualora le norme fiscali risultano poco comprensibili e la prassi sull’argomento è spesso contrastante. Con queste motivazioni la sezione tributaria della Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di una società che si era vista contestare la valorizzazione delle rimanenze con ripresa a tassazione a fini IRES e IRAP. Nella stessa
sentenza, la Suprema Corte ha così compilato un decalogo sul tema del fenomeno dell’incertezza normativa oggettiva che si può quindi rilevare attraverso una serie di fatti indice, che spetta al giudice accertare e valutare nel loro valore
indicativo:
1) nella difficoltà d’individuazione delle disposizioni normative, dovuta magari al difetto di esplicite previsioni di legge;
2) nella difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica;
3) nella difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata;
4) nella mancanza di informazioni amministrative o nella loro contraddittorietà;
5) nella mancanza di una prassi amministrativa o nell’adozione di prassi amministrative contrastanti;
6) nella mancanza di precedenti giurisprudenziali;
7) nella formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, magari accompagnati dalla sollecitazione, da parte dei
Giudici comuni, di un intervento chiarificatore della Corte costituzionale;
8) nel contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale;
9) nel contrasto tra opinioni dottrinali; 10) nell’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente.
Per la Cassazione, quindi, tali fatti indice “devono essere accertati, esaminati ed inseriti in procedimenti interpretativi della formazione che siano metodicamente corretti e che portino inevitabilmente a risultati tra loro contrastanti ed incompatibili. Costituisce, quindi, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ossia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso la sua interpretazione”.
Proroga scadenze Rottamazione
L’emendamento
In base a quanto proposto, dovrebbe essere rinviata a dicembre la scadenza per il pagamento della seconda, terza e quarta rata con cui si può versare quanto dovuto in base ai criteri di adesione alla definizione agevolata prevista dal dl 148/2017, relativa alle somme a ruolo affidate all’agente della riscossione dal primo al 30 settembre 2017.
Le nuove scadenze
In base all’emendamento M5S, presentato in sede di seconda lettura del provvedimento alla Camera:
- le tre rate di settembre, ottobre e novembre 2018 slitterebbero al7 dicembre,
- il pagamento dell’ultima rata del prossimo febbraio sarebbe poi previsto per maggio 2019.
I tempi di approvazione
Se l’emendamento fosse approvato, lo slittamento arriverebbe a pochi giorni dal termine originario, visto che la scadenza della delega per la conversione in legge del decreto è fissata al 25 settembre.
Ricordiamo che il decreto legge 25 luglio 2018, n. 91 è stato già approvato al Senato ed è in discussione alla Camera, dove potrebbe essere approvato entro il prossimo 11 settembre.
Le agevolazioni fiscali per lo sport dilettantistico
Con la a Circolare n. 18/E/2018, l’Agenzia delle Entrate, in risposta ai dubbi delle associazioni e società sportive dilettantistiche senza fini di lucro, di cui all’art. 90, Legge n. 289/2002, esposti nel corso del tavolo tecnico congiunto insieme al Coni, ha fornito chiarimenti in merito al riconoscimento delle agevolazioni fiscali, individuando le attività commerciali che rientrano nel regime forfetario e le attività accessorie a quelle sportive che beneficiano delle agevolazioni e precisando le ipotesi di esclusione della decadenza dai benefici.
Le Entrate si soffermano in particolare su:
- la disciplina giuridica e la qualificazione tributaria delle associazioni e delle società sportive dilettantistiche senza fini di lucro;
- il regime fiscale agevolato di cui alla Legge n. 398/1991 e relative questioni connesse all’ambito di applicazione;
- l’agevolazione di cui all’art. 148, comma 3, TUIR e relative questioni riguardanti l’ambito di applicazione;
- gli effetti della riforma del Terzo Settore sull’applicabilità sia del regime fiscale di cui alla Legge n. 398/1991, sia dell’agevolazione di cui all’art. 148, comma 3, TUIR;
- l’esenzione dall’imposta di bollo.
Call center dell’Agenzia delle Entrate. Dal 1° agosto arrivano i numeri verdi gratuiti
I recapiti telefonici di assistenza dell’Agenzia delle Entrate cambiano e diventano gratuiti. Dal prossimo 1° agosto, per avere informazioni e assistenza i contribuenti potranno rivolgersi senza costi ai seguenti numeri:
- 800.90.96.96 per informazioni su questioni fiscali generali, sui rimborsi, sulle cartelle e sulle comunicazioni di irregolarità e per prenotare un appuntamento;
- 800.89.41.41 per ricevere assistenza sugli avvisi di accertamento parziale (articolo 41-bis) notificati ai proprietari di immobili affittati, per i quali sono state rilevate incongruità rispetto ai redditi dichiarati, e per informazioni sulle restanti lavorazioni gestite dal Centro Operativo di Pescara.
La chiamata diventa gratuita
Oltre alla numerazione, cambia anche il costo della chiamata: dal primo agosto, infatti, per i nuovi numeri verdi il costo del traffico telefonico sarà interamente a carico dell’Agenzia, come conseguenza della legge annuale per il mercato e la concorrenza n. 124/2017. I contribuenti non dovranno, quindi, sostenere alcun costo per ricevere assistenza fiscale.
Un periodo di transizione per facilitare il passaggio alla nuova numerazione
La precedente numerazione, con tariffa urbana a tempo, resterà attiva fino alla fine dell’anno. Per favorire il passaggio alla nuova numerazione, infatti, fino al 31 dicembre 2018 saranno operativi sia i “numeri con addebito” che i nuovi “numeri verdi”. Qualora l’utente digiti i recapiti telefonici precedentemente in uso (848.800.444 e 848.448.833), un messaggio vocale indicherà al chiamante la nuova numerazione, specificando che potrà scegliere di richiamare usando il numero verde, senza sostenere quindi alcun costo telefonico, oppure di rimanere in linea. In quest’ultimo caso usufruirà del servizio di assistenza con addebito del costo della telefonata a tariffa urbana a tempo.
Molte informazioni già online
Per le questioni più comuni o di carattere generale è possibile consultare in qualsiasi momento il sito internet delle Entrate www.agenziaentrate.gov.it. (Così, comunicato stampa Agenzia delle entrate del 30 luglio 2018)
Concordati e ristrutturazione del debito: dall’Agenzia la circolare in tema di crediti tributari e contributivi
La circolare 16/E dell’Agenzia delle Entrate, che fornisce indicazioni in merito al corretto trattamento dei crediti tributari e contributivi nell’ambito delle procedure di concordato preventivo e di accordo di ristrutturazione dei debiti, si è resa necessaria successivamente alle novità introdotte dalla Legge di Bilancio 2017. In particolare in merito alle procedure avviate successivamente al 1 Gennaio 2017 o comunque a tale data non ancora votate o sottoscritte per adesione, per le quali è obbligatorio il procedimento previsto dall’art. 182-ter della L.F. in tutte le ipotesi di concordato preventivo così
come è riconosciuta la possibilità di falcidiare, all’interno del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, anche i debiti relativi all’IVA e alle ritenute operate e non versate, con il limite della quota realizzabile sul ricavato in caso
di liquidazione.
Agenzia delle Entrate – Circolare n. 16/E del 23 Luglio 2018
La superficialità probatoria inficia l’accertamento
L’Amministrazione Finanziaria non può giustificare i propri recuperi adducendo unicamente una mancanza di trasparenza nel contegno del contribuente e il sospetto di evasione d’imposta: la carenza di motivazione rappresenta in tale ambito un efficace tassello della difesa tributaria.
Con una sintetica ma efficace pronuncia, la Cassazione (Cass. Civ. Sez. VI, ord. 25.06.2018, n. 16647) interviene su una tematica di rilievo riguardante la valutazione della concretezza della strutturazione probatoria dei rilievi mossi
dall’Agenzia delle Entrate nel contesto delle ordinarie attività ispettive, di controllo e accertamento.
In particolare, la vicenda trae spunto da un’attività accertativa risultante ex post evidentemente carente sotto l’aspetto dell’idoneità probatoria dei recuperi oggetto di contestazione. Infatti è stato rilevato ed evidenziato, in sede di giudizio di merito, che le singole pretese tributarie risultavano connotate da evidenti carenze, insufficienze e
superficialità dei recuperi, in quanto l’accertamento dell’Ufficio finanziario procedente risultava esser fondato su evidenze fattuali esposte in maniera approssimativa e generica, avendo l’ufficio dedotto, ma non concretamente esplicato e motivato, la mancanza di trasparenza nella condotta del contribuente verificato (tramite c.d. redditometro) e arrestandosi in tale contesto a gettare sospetti, senza dimostrare con prove le proprie asserzioni.
I rilievi del Fisco, in tale prospettiva, sono stati ritenuti “indimostrati” e pertanto “non ammessi”.
La pronuncia in commento, nonostante la brevità e la semplicità espressa, ruota attorno al fulcro di ogni controversia col
Fisco: la prova.
Si rileva infatti che nel contesto della propria attività istituzionale, per i controlli orientati alla corretta determinazione degli imponibili e delle imposte, l’Amministrazione Finanziaria si deve adoperare per la ricerca della prova, soprattutto nei casi in cui debba giustificare una propria pretesa impositiva o sanzionatoria.
Affinché l’attività svolta dall’Amministrazione Finanziaria possa superare il vaglio di eventuali invalidità, è opportuno che nell’esecuzione di tali incombenze sia rispettato tale dovere che, concretamente, si trova a essere frazionato:
– in primis, nell’obbligo di acquisire elementi informativi concretamente idonei ad attestare la rispondenza al vero degli enunciati fattuali insiti nella propria pretesa impositiva;
– in seconda istanza, nell’obbligo di esplicitare in maniera adeguata, nella motivazione, i presupposti alla base di tali pretese.
L’obbligatorietà e la completezza della motivazione emergono in maniera piuttosto evidente da un buon numero di norme (in primis l’art. 3, L. 241/1990), sino a giungere alla formulazione sulla disciplina delle sanzioni tributarie,
prevedendo espressamente, nell’art. 16 D.Lgs. 472/1997, l’obbligo per l’ufficio di enunciare gli elementi probatori nell’atto di contestazione delle sanzioni e comminando la sanzione della nullità in caso di inosservanza di tale precetto.
In termini di completezza del controllo a posteriori di tali attività accertative e avuto riguardo agli argomenti proposti, si ritiene che in termini funzionali possano costituire oggetto di controllo valutativo sia la prova quale elemento cognizione
(il mezzo di prova), che la prova come fattore dimostrativo (dimostrazione del fatto).
Catapano Giuseppe osserva: Deduzione del costo del lavoro dall’imponibile IRAP e credito d’imposta per contribuenti senza dipendenti: le risposte ai quesiti sulle novità introdotte dalla Legge di stabilità 2015
L’Agenzia delle Entrate scioglie i dubbi sulle significative modifiche alla disciplina dell’IRAP, introdotte dalla Legge di Stabilità 2015. Con la circolare n. 22/E del 9 giugno 2015, infatti, l’Agenzia fa il punto sulle questioni interpretative derivanti dall’evoluzione del quadro normativo, sollevate anche dalle associazioni di categoria, in materia di deducibilità del costo del lavoro dalla base imponibile dell’imposta regionale sulle attività produttive. Il documento di prassi, inoltre, risponde alle domande sul credito d’imposta previsto per i contribuenti che non si avvalgono di lavoratori dipendenti e sui dubbi su public utilities e società che ricorrono a contratti di somministrazione. Di seguito ed in sintesi le novità sostanziali.
L’articolo 1 legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Legge di Stabilità per il 2015) ha introdotto alcune significative modifiche alla disciplina del tributo regionale (IRAP), di cui al D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446.
I commi da 20 a 24 dell’unico articolo 1 della Legge di Stabilita 2015 dispongono, rispettivamente:
1) l’inserimento nell’articolo 11 del D.Lgs. 446/1997, del comma 4-octies), ai sensi del quale, a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014, si considerano deducibili, agli effetti dell’IRAP, le spese sostenute in relazione al personale dipendente impiegato con contratto di lavoro a tempo indeterminato dai soggetti che determinano il valore della produzione netta ai sensi degli articoli da 5 a 9 del D.Lgs. 446/1997;
2) il riconoscimento – per i medesimi soggetti, che non impiegano lavoratori dipendenti – di un credito d’imposta stabilito in misura pari al dieci per cento dell’IRAP lorda. Per espressa previsione di legge, il credito in esame è utilizzabile esclusivamente in compensazione ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. 241/1997, a partire dall’anno di presentazione della corrispondente dichiarazione. I termini di decorrenza della previsione in esame sono analoghi a quelli previsti per la misura di cui al punto precedente;
3) l’abrogazione dell’articolo 2, commi 1 e 4, del D.L. 24 aprile 2014, n. 66, che stabiliva la riduzione delle aliquote IRAP, di cui all’articolo 16, commi 1, 1-bis), lettere a), b), c) e all’articolo 45, comma 1, del D.Lgs. n. 446 del 1997, a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2013. Gli effetti dell’abrogazione decorrono dall’entrata in vigore della norma, divenuta pertanto inefficace ab origine. Sono, tuttavia, salvaguardati i comportamenti di quanti hanno determinato l’acconto relativo al periodo d’imposta 2014 secondo il criterio previsionale, di cui all’articolo 4 del D.L. 2 marzo 1989, n. 69;
4) la modifica dell’articolo 2, comma 1, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, con l’inserimento della nuova deduzione, di cui all’articolo 11, comma 4-octies) del D.Lgs. 446/1997 tra quelle da scomputare nel calcolo dell’incidenza del costo del lavoro sul valore della produzione netta, ai fini della determinazione dell’IRAP deducibile dalle imposte sui redditi. Ciò in quanto la deducibilità integrale delle spese per il personale impiegato a tempo indeterminato riduce l’incidenza del costo del lavoro sul valore della produzione e con essa la quota di IRAP ammessa in deduzione dalle imposte sui redditi (cfr., sul punto, circolare 3 aprile 2013, n. 8/E (in “Finanza & Fisco” n. 7/2013, pag. 462).
Con la circolare n. 22/E del 9 giugno 2015, infatti, l’Agenzia delle Entrate fa il punto sulle questioni interpretative sollevate dalle associazioni di categoria in materia di deducibilità del costo del lavoro dalla base imponibile dell’imposta regionale sulle attività produttive. Il documento di prassi, inoltre, risponde alle domande sul credito d’imposta previsto per i contribuenti che non si avvalgono di lavoratori dipendenti e scioglie i dubbi su public utilities e società che ricorrono a contratti di somministrazione.
Si alle deduzioni Irap per le public utilities, no ai contratti a termine – Le public utilities, escluse per legge dalle deduzioni sul cuneo fiscale, possono beneficiare, ai fini Irap, della deducibilità integrale del costo del lavoro sostenuto in relazione al personale impiegato a tempo indeterminato. Sono, invece, esclusi dal beneficio i contratti a termine, stante la ratio della norma di promuovere gli impieghi a tempo indeterminato.
Disco verde per i contratti di somministrazione lavoro – Le imprese possono dedurre il costo del lavoro dalla base imponibile Irap anche in caso di personale somministrato. Questo però è possibile solo se il rapporto contrattuale tra Agenzia per il lavoro (somministratrice) e dipendente sia a tempo indeterminato, a prescindere dal tipo di contratto commerciale intercorrente tra impresa e Agenzia per il lavoro (che può essere a termine oppure a tempo indeterminato).
Il credito d’imposta vale solo per chi non ha dipendenti – Il credito di imposta (pari al 10% dell’Irap lorda indicata in dichiarazione) viene riconosciuto solo nel caso in cui l’impresa o il professionista non abbiano avuto dipendenti in ogni giorno del periodo di imposta. Non accedono al beneficio, pertanto, i soggetti che hanno avuto per un periodo di tempo limitato nel corso dell’anno lavoratori alle proprie dipendenze.
Tfr e fondi dentro il calcolo per la deducibilità – Le quote di Tfr maturate a partire dall’esercizio 2015 rientrano a pieno titolo nella determinazione delle spese deducibili per il personale dipendente, trattandosi di costi sostenuti a fronte di debiti certi a carico del datore di lavoro. I fondi accantonati dal 2015 per oneri futuri connessi a spese per il personale rilevano al verificarsi dell’evento che ha costituito il presupposto dello stanziamento in bilancio. Anche i fondi accantonati in anni precedenti all’entrata in vigore delle nuove regole rientrano nel calcolo del costo del personale deducibile in sede di utilizzo. Nel caso in cui tali fondi abbiano generato, in passato, Irap deducibile dalle imposte sui redditi, sarà necessario recuperare l’imposta dedotta mediante rilevazione di un componente positivo di reddito ai sensi dell’art. 88 del TUIR.
Giuseppe Catapano: Accertamenti Agenzia Entrate e cartelle Equitalia, nullità confermata
Sono nulle e non vanno pagate le pretese di pagamento dell’Agenzia delle Entrate per gli accertamenti fiscali firmati dai 767 dirigenti decaduti con la sentenza della Corte Costituzionale di marzo scorso. A confermare il primo orientamento favorevole al contribuente dato dalla CTP di Milano è ora la CTR Lombardia: il primo caso di giudizio di appello che si risolve in favore del cittadino. La sentenza è quasi fresca di giornata, perché appena diffusa, sebbene depositata l’altro ieri, ma le sue motivazioni hanno già scosso il fisco italiano che ora intravede seriamente il pericolo di dover rinunciare a riscuotere l’evasione fiscale degli ultimi anni. Questo perché, se in primo grado si erano avuti precedenti discordanti, la Ctr milanese è invece categorica: per gli atti firmati dai dirigenti incaricati decaduti a seguito della decisione della Consulta “non sembra esservi ombra di dubbio sulla caducità, anche alla luce della giurisprudenza di legittimità succedutasi negli anni”. Come noto, la Consulta, nello scorso mese di marzo, aveva dichiarato illegittima la nomina a dirigente di ben 767 funzionari, perché avvenuta senza pubblico concorso. Risultato: anche gli atti firmati da tale personale – secondo la Commissione lombarda di secondo grado – sono da considerare radicalmente nulli. E ciò anche in forza di un costante orientamento della Cassazione (da noi, spesso, richiamate in queste pagine per sostenere appunto la fondatezza di tale tesi) secondo cui va interpretata con estremo rigore quella norma di legge che prescrive: “L’accertamento è nullo se non reca la sottoscrizione (…)” del capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. L’aspetto più interessante della pronuncia è che essa fa riferimento al concetto di nullità radicale dell’accertamento fiscale: si tratta, cioè, del vizio più grave (dopo l’inesistenza) di cui può essere affetto un atto. In buona sostanza, la nullità può essere rilevata in ogni stato e grado del processo, e finanche dal giudice stesso qualora il contribuente non lo faccia per dimenticanza o ignoranza. Come dire che è la stessa Corte, dinanzi alla quale sia stato impugnato un atto, a doverlo annullare d’ufficio se si accorge che fa parte di quelli firmati da chi non aveva i poteri, e questo a prescindere dall’eventuale contestazione del ricorrente. Non ci sono neanche termini massimi per far valere il vizio, perché la nullità può essere rilevata (oltre che dal giudice) anche dalla parte in secondo grado o anche prima che la causa venga decisa, nonostante l’eccezione non sia stata inserita nell’atto di ricorso. Secondo dunque la CTR Lombardia la nullità può essere rilevata d’ufficio dal giudice in quanto si verificherebbe un’ipotesi di nullità assoluta del provvedimento, essendo tale atto viziato da difetto assoluto di attribuzione rilevabile in ogni stato e grado del giudizio, anche d’ufficio. I giudici sconfessano anche la teoria del funzionario di fatto, cui si sta appellando l’Agenzia delle Entrate per salvare l’orticello, ma che, evidentemente, non ha applicazione nel caso di specie. Chi sono i dirigenti decaduti? L’elenco dei dirigenti senza poteri, interessati dalla sentenza della Corte Costituzionale, è stato messo a disposizione dalla stessa Agenzia delle Entrate per questioni di trasparenza. Si può consultare a questa pagina web: http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/content/nsilib/nsi/agenzia/amministrazione+ trasparente/personale/dirigenti+cartella/curricula+e+dati+retributivi+dirigenti In pratica si può trattare di a) direttori provinciali “reggenti”; b) altri funzionari/dirigenti su delega di questi reggenti; c) dirigenti “reggenti” con incarico di capo ufficio/area delegati alla firma dal direttore provinciale. Nella prime due ipotesi infatti, il direttore provinciale “reggente”, non avendo potuto occupare quel ruolo non poteva né sottoscrivere l’atto né delegare terzi. Nella terza ipotesi, invece, il dirigente (capo ufficio/area) che ha sottoscritto l’atto, su delega del direttore provinciale, non poteva ricoprire tale incarico. Anche alle cartelle di Equitalia L’aspetto che interessa più i contribuenti forse è questo: la nullità si estende anche alle cartelle di Equitalia? Il punto è delicato e ancora non si riscontrano decisioni in merito. Tutto si gioca proprio sull’accennato concetto di “nullità assoluta”: essa non è mai sanabile e comporta l’annullamento non solo dell’atto viziato, ma anche di tutta quella serie di atti che sono stati emessi come conseguenza del primo. Un effetto domino, quindi, secondo un principio di diritto che ora potrebbe tornare utile al contribuente. Dunque, se l’accertamento è nullo e sulla scorta di esso, in caso di mancato pagamento, è stata emessa la cartella di Equitalia, anch’essa dovrebbe essere nulla. Come detto, però, bisognerà procedere ancora con prudenza, in attesa di comprendere come le Commissioni Tributarie si orienteranno sulla questione.