Amministrazione straordinaria: allegazione, dopo il deposito del progetto di stato passivo ma prima dell’udienza di verifica, di una ragione di prededucibilità del credito già insinuato in via chirografaria

Cassazione civile, sez. VI, 31 Gennaio 2022, n. 2899. Pres. Bisogni. Est. Vella.

In tema di amministrazione straordinaria, l’allegazione – dopo il deposito del progetto di stato passivo ma prima dell’udienza di verifica – di una ragione di prededucibilità del credito già insinuato in via chirografaria integra una ammissibile precisazione (o “emendatio”) della domanda, e non già una inammissibile “mutatio libelli”, qualora i fatti costitutivi della prededuzione siano stati già tempestivamente dedotti con la richiesta di insinuazione. (massima ufficiale)

Prescrizione dell’azione di ripetizione del pagamento eseguito a seguito di pignoramento presso terzi dopo il fallimento del debitore

Cassazione civile, sez. I, 11 Gennaio 2022, n. 621. Pres. Genovese. Est. Mercolino.

In tema di ripetizione dell’indebito, il soggetto pignorato che, in sede di espropriazione presso terzi, e dopo la dichiarazione di fallimento del debitore esecutato, in qualità di “debitor debitoris”, versi al creditore pignorante le somme a lui assegnate, ha diritto a ottenere da quest’ultimo la restituzione di quanto corrisposto, ma il termine di prescrizione della relativa azione decorre dalla data del pagamento, e non dal passaggio in giudicato della sentenza che, su domanda del curatore, pronunci l’inefficacia ex art. 44 l.fall. del pagamento stesso, avendo quest’ultima natura meramente dichiarativa. (massima ufficiale)

Intervento del Fondo di garanzia costituito presso l’INPS: è necessaria l’espressa imputazione a TFR del credito ammesso al passivo

Cassazione civile, sez. IV, lavoro, 02 Febbraio 2022, n. 3165. Pres. Berrino. Est. Cavallaro.

In caso di fallimento del datore di lavoro, ove manchi una espressa imputazione del credito ammesso al passivo a t.f.r., va escluso l’intervento del Fondo di garanzia costituito presso l’INPS, che, ai sensi dell’art. 2, comma 2, della l. n. 297 del 1982, è vincolato alle risultanze dello stato passivo reso esecutivo ovvero della sentenza che abbia deciso eventuali opposizioni ad esso, atteso che il predetto Fondo non assume in via solidale e sussidiaria la medesima obbligazione retributiva del datore di lavoro rimasta inadempiuta, bensì una distinta ed autonoma obbligazione di natura previdenziale. (massima ufficiale)

Estensione del fallimento alla super società di fatto: ambito applicativo ed elementi presuntivi

Tribunale Vibo Valentia, 14 Ottobre 2021. Pres. Passarelli. Est. Buggè.

La fattispecie all’esame del Tribunale è la richiesta di fallimento, ex art. 147 l.f., in estensione relativa ad alcune società che operano in uno o più settori di riferimento suffragata dalla rete di connessioni esistenti tra le stesse compagini, in particolare, i locali, i segni distintivi, i rapporti contabili, i rapporti sociali, gli incarichi sociali, gli affari intrattenuti e, infine, anche i rapporti familiari tra le componenti personali dei soci e degli amministratori. (Luca Caravella) (riproduzione riservata)

Dirompente è, infatti, il primo comma dell’art. 147 l.f. il quale expressis verbis impone due concetti: che il fallimento di alcuni tipi societari produce il fallimento dei soci illimitatamente responsabili, anche se non persone fisiche; automatismo fallimentare svincolato dalla dimostrazione dei requisiti di fallibilità nel caso di specie si propone istanza di fallimento in estensione di società, anche diverse di quelle di cui all’art. 147, comma 1, legge fallimentare, che sono socie occulte di una società di fatto. In buona sostanza, l’art. 147, comma 5, legge fallimentare prevede anche l’ipotesi di fallimento della società occulta di cui sono soci non solo ditte individuali, ma anche persone giuridiche, nella specie società eterogenee tra di loro in quanto a tipo societario, e ciò è possibile grazie anche ad un’interpretazione evolutiva della normativa in questione avvalorata dalla giurisprudenza della Corte costituzionale (6/12/2017, n. 255) e della Corte di Cassazione (sent. n. 10507/2016). (Luca Caravella) (riproduzione riservata)

Il ragionamento induttivo può essere usato per la dimostrazione dell’esistenza di una società di fatto ai fini della dichiarazione di fallimento in estensione ex art. 147 legge fallimentare. Tale ragionamento deve basarsi su elementi gravi, precisi e concordanti (in tal senso, Tribunale Bergamo Sez. II, 5/12/2018 che ha stabilito che “Il riscontro probatorio dell’esistenza di una “supersocietà di fatto occulta” ben può avvenire alla stregua di elementi presuntivi, purché gravi, precisi e concordanti”. (Luca Caravella) (riproduzione riservata)
 
Gli elementi costitutivi della società occulta sono: 1) il c.d. patto di occultamento; 2) il c.d. vincolo associativo; 3) la c.d. affectio societatis. L’assenza di atti giuridici che palesino in maniera concreta l’esistenza della supersocietà ha imposto l’elaborazione, da parte della giurisprudenza e della migliore dottrina, di quelli che sono gli indici di esteriorizzazione della società occulta e oggetto di una prova rigorosa (Cassazione civ., Sez. I, 20/5/2016, n. 10507): a. sostegno finanziario; b. spendita del nome; c. comunanza di mezzi, poteri amministrativi e rischio d’impresa; d. detenzione delle quote societarie o delle partecipazioni; e. coincidenza delle attività svolte dalle società; f. svolgimento dell’attività in locali anche solo parzialmente coincidenti; g. esistenza di operazioni tra le società da cui derivi un ricavo. (Luca Caravella) (riproduzione riservata)

L’efficacia probatoria del contenuto della relazione del curatore fallimentare va diversamente valutata a seconda della natura delle risultanze da essa emergenti; infatti, mentre la relazione, in quanto formata da pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, fa piena prova fino a querela di falso degli atti e dei fatti che egli attesta essere stati da lui compiuti o essere avvenuti in sua presenza, il contenuto delle dichiarazioni rese dai terzi rimane liberamente valutabile in ordine alla sua veridicità. (Luca Caravella) (riproduzione riservata)

Dall’esame degli atti e delle attività dei Soci Occulti e della Fallita emerge all’evidenza che la “super-società” possa qualificarsi come un soggetto economico comune avente, quale oggetto della propria impresa: a. la produzione di frutta e verdura (per il tramite di due società); b. la trasformazione dei prodotti agricoli in derivati da essi (per il tramite di altre due società); c. la commercializzazione dei prodotti in parola (per il tramite delle società sub b) e di altra); d. il trasporto presso i punti vendita (per il tramite di altra società). Evidente, pertanto, l’esistenza di un oggetto comune costituito al fine di occuparsi dall’intera filiera, dalla produzione alla consegna ai rivenditori finali, di prodotti di natura agricola. Da quanto appena indicato appare in modo evidente quella che è l’attività imputata alla supersocietà, definibile, in sostanza, nell’attività di produrre, commerciare e distribuire prodotti agricoli. (Luca Caravella) (riproduzione riservata)

Dalla disamina degli atti emerge che quando una delle società resistenti agiva all’esterno venisse chiaramente speso il nome del gruppo e, pertanto, l’azione venisse percepita come riferibile al gruppo e non singolarmente alla società, tant’è che anche i professionisti che hanno a che fare col gruppo pensano di svolgere un’attività professionale per lo stesso. (Luca Caravella) (riproduzione riservata)
Nel caso in esame, la società di fatto è indipendente dal raggruppamento temporaneo e, anzi, quest’ultimo rappresenta solo una modalità operativa per la gestione di un interesse comune. L’utilizzo della carta di credito intitolata ad altra società del gruppo da parte della società del gruppo che si occupa dei trasporti sottolinea ancora una volta l’esistenza di un soggetto terzo, la società di fatto, in quanto tra le società palesi v’è una comunanza di mezzi e di fondi che va al di là del mero rapporto parentale e, peraltro, si suggella in un comune rischio di impresa. Tutti questi elementi (sede, persone fisiche che hanno ruoli nella società, i ruoli e la gestione familiare delle imprese peraltro incontestati, elevato importo della cartella esattoriale e mezzi e fondi comuni) depongono univocamente verso una gestione comune dei poteri di amministrazione e del rischio di impresa. (Luca Caravella) (riproduzione riservata)
La tesi dell’unicità della direzione delle società, da parte di un centro di imputazione economico amministrativo costituito dalla società di fatto, sarebbe avvalorato dal fatto che alcuni dei soggetti cardine delle più importanti cariche e affari disconoscessero molti dei dati basilari relativi alle imprese in cui ricoprivano dei ruoli dall’analisi combinata di questi indici, tant’è che è emerso che la persona fisica abbia avuto la gestione della società di fatto di cui sono socie le società palesi e che lo stesso decideva i ruoli all’interno delle società e gli affari che le singole società devono perseguire. Già da un punto di vista concettuale se si svolge un’attività economica plurisoggettiva vi deve essere una minima differenziazione tra le attività svolte. Peraltro, sono tutte aziende che operano, oggettivamente su mercati differenti, ma in un settore comune che è quello agricolo. L’unica società che si occupa di un’attività diversa è quella dei trasporti, la quale tuttavia ha un’attività strumentale rispetto a quelle delle altre società palesi ed è mezzo necessario per la realizzazione degli affari della società di fatto. Risulterebbe, in effetti, arduo concepire la gestione di una intera filiera economica nel settore agricolo senza pensare alla necessaria logistica del trasporto dei prodotti agricoli. Pertanto, gli elementi fin qui illustrati sono gravemente indicativi dell’esistenza della società di fatto e corroborato da altri indici precisi e concordanti. (Luca Caravella) (riproduzione riservata)
Diversamente opinando, in ogni caso, nella fattispecie in esame, tutte le circostanze, benchè singolarmente non univoche, insieme danno un risultato univoco in quanto sono giustificate solo dall’esistenza di un soggetto, costituito da un insieme di società con diversi dipendenti che si occupano della filiera agricola nell’ambito di bandi pubblici di valore milionario, a cui imputare soggettivamente e oggettivamente le operazioni non giustificabili dal punto di vista commerciale con l’imputazione alle singole società. (Luca Caravella) (riproduzione riservata)

L’assenza di automaticità nella dichiarazione di fallimento, inoltre, pone un’altra questione che è quella relativa all’insolvenza della supersocietà. Infatti, devono rimanere concettualmente distinte l’insolvenza della supersocietà da quella della società socia occulta In tal senso si sono pronunciate diverse corti di merito e la Corte di Cassazione (cfr. Corte d’Appello Lecce, 14/01/2019 secondo la quale “Al fine della dichiarazione di fallimento di una società di fatto occulta esistente tra una società di capitali, già dichiarata fallita, ed altra società di capitali, con ripercussione del fallimento su quest’ultima, il soggetto istante deve allegare ed il tribunale deve accertare la esistenza di un autonomo stato di insolvenza della società di fatto, da valutarsi alla luce di una situazione patrimoniale consolidata, che tenga conto, cioè, complessivamente ed unitariamente, delle situazioni patrimoniali di ciascuna società.”. Cfr anche Cass. civ. Sez. VI – 1 Ord., 4/3/2021, n. 6030 secondo la quale “Il fallimento della super-società costituisce presupposto logico e giuridico della dichiarazione di fallimento, per ripercussione, dei soci; perciò l’indagine del giudice deve essere indirizzata all’accertamento sia dell’esistenza di una società occulta (o di fatto) cui sia riferibile l’attività dell’imprenditore già dichiarato fallito, sia della sua insolvenza, perché all’insolvenza del socio già dichiarato fallito potrebbe non corrispondere l’insolvenza della società di fatto.”). Pertanto, per aversi il fallimento in estensione della società occulta deve essere dimostrata la sua insolvenza. Tuttavia, dimostrata l’insolvenza della società occulta, la dichiarazione di estensione del fallimento prescinde dalla tenuta patrimoniale delle altre società, anche di capitali, che sono socie della supersocietà non palese. L’insolvenza in questione è pacificamente quella di cui all’art. 5 legge fallimentare. La ricostruzione della Curatela ha fatto riferimento a passività per oltre due milioni di euro a fronte di attivi incapaci di garantire il regolare pagamento delle obbligazioni sociali della supersocietà. (Luca Caravella) (riproduzione riservata)

Piano del consumatore: il giudizio di cognizione in corso non può essere sospeso nelle more del procedimento

Tribunale Modena, 18 Febbraio 2022. Est. Ovi.

Ai sensi e per gli effetti dell’art. 12 bis comma 2 l. 3/2012 – per cui il giudice può disporre la sospensione di specifici procedimenti di esecuzione forzata – non può essere disposta la sospensione di una causa civile di opposizione a decreto ingiuntivo, in quanto la predetta disposizione non riguarda i giudizi di cognizione, ben potendo il debitore ripresentare l’istanza laddove, nelle more dello svolgimento dell’udienza di convocazione dei creditori, vengano effettivamente iniziate procedure esecutive.

La falcidia dei crediti nel piano del consumatore ex art. 8 comma 1 bis l. 3/2012. Corte Costituzionale, 10 marzo 2022, n.65

Corte Costituzionale, 10 Marzo 2022, n. 65. Pres. Amato. Est. Navarretta.

E’ infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 1-bis l. 3/2012 nella parte in cui non stabilisce che «il piano del consumatore possa prevedere, alle medesime condizioni, anche la falcidia e la ristrutturazione dei debiti per i quali il creditore abbia già ottenuto ordinanza di assegnazione di quota parte dello stipendio, del trattamento di fine rapporto o della pensione».

Invero, è la stessa ratio dell’art. 8, comma 1-bis l.3/2012 ad attrarre, in via ermeneutica, nel contenuto della norma qualunque debito, per il quale la modalità solutoria o la garanzia di adempimento siano state affidate alla cessione pro solvendo del credito, ivi inclusa l’ipotesi nella quale la cessione del credito sia derivata da un provvedimento giudiziale, anziché da un atto di autonomia privata.

I pagamenti eseguiti dal debitore ceduto, fino a quando il piano del consumatore non viene omologato, sono efficaci. Non è applicabile al piano del consumatore la disciplina di cui all’art. 44 l. fall., che rende inefficaci tutti i pagamenti eseguiti a partire dalla dichiarazione di fallimento; è, infatti, l’omologazione del piano che rende inefficaci gli adempimenti eseguiti in difformità rispetto al suo contenuto, in virtù di quanto dispone l’art. 13, comma 4, della legge n. 3 del 2012”.

La Cassazione ribadisce che l’affitto di azienda è compatibile con la continuità anche se stipulato prima della domanda di concordato preventivo

Cassazione civile, sez. I, 01 Marzo 2022, n. 6772. Pres. Scaldaferri. Est. Vella.

Il concordato con continuità aziendale, disciplinato dall’art. 186 -bis l.fall., è configurabile anche qualora l’azienda sia già stata affittata o si pianifichi debba esserlo, palesandosi irrilevante che, al momento della domanda di concordato, come pure all’atto della successiva ammissione, l’azienda sia esercitata da un terzo anziché dal debitore, posto che il contratto d’affitto – sia ove contempli l’obbligo del detentore di procedere al successivo acquisto dell’azienda (cd. affitto ponte), sia laddove non lo preveda (cd. affitto puro) – assurge a strumento funzionale alla cessione o al conferimento di un compendio aziendale suscettibile di conservare integri i propri valori intrinseci anche immateriali (cd. “intangibles”), primo tra tutti l’avviamento, mostrandosi in tal modo idoneo ad evitare il rischio di irreversibile dispersione che l’arresto anche temporaneo dell’attività comporterebbe.

Quando il curatore subentra nella procedura esecutiva il creditore pignorante ha diritto ad un trattamento di favore?

Tribunale Patti, 26 Gennaio 2021. Pres. Samperi. Est. La Porta.

Il creditore pignorante è equiparato, quanto al corso degli interessi nel fallimento, a tutti gli altri creditori e ciò se il curatore subentra nella procedura esecutiva da lui promossa.

La ratio dell’art.54 l.f., che equipara la sentenza dichiarativa del fallimento al pignoramento è, infatti, proprio quella di porre tutti i creditori nella medesima condizione, con decorrenza dal fallimento degli effetti di cui agli artt. 2749, 2788 e 2855, c.c.. (Franco Benassi)

Fallimento del titolare di conto corrente bancario con contratto di affidamento per anticipi su crediti con clausola di compensazione

Cassazione civile, sez. I, 30 Dicembre 2021, n. 42008. Pres. Acierno. Est. Vannucci.

In tema di conto corrente bancario, ove il correntista e la banca abbiano pattuito l’anticipazione su crediti per ricevute con clausola di compensazione, l’incasso da parte della banca, anche nell’interesse del cliente, del danaro incorporato nelle ricevute bancarie consegnatele costituisce adempimento di un’obbligazione già sorta e determina la sola esigibilità del relativo credito verso la banca da parte del cliente. Pertanto, in caso di successivo fallimento di quest’ultimo, tra le operazioni di anticipazione di danaro avvenute prima della dichiarazione di fallimento e la riscossione dei crediti portati dalle suddette ricevute bancarie avvenute in epoca successiva sussistono i presupposti richiesti dall’art. 56 l.fall., per effetto della perdurante efficacia della clausola di compensazione fra i reciproci debiti restitutori, giacché il debito della banca è solo divenuto esigibile (da parte della curatela fallimentare) dopo la stessa dichiarazione di fallimento del correntista. (massima ufficiale)

NEL MEZZO DI UNA CRISI

Autolesionismo. Non c’è altra definizione per descrivere la situazione in cui ci siamo cacciati.                                                                                                                                                    Abbiamo guadagnato un pochino di tempo, ma sempre sul ciglio del burrone siamo e rimaniamo.
Ripetono da più voci che la condizione odierna dell’Italia non è grave come la crisi finanziaria del 2008, che ci costò anni di pesantissima recessione, e neppure come quella del 2011, che ci portò a un passo dal default. Vero. Ma quelle furono crisi esogene – la prima mondiale, la seconda europea – mentre la crisi che stiamo vivendo ora, perché di crisi si tratta ed è bene cominciare a chiamarla con il suo nome, è solo e tutta italiana. E non ha una genesi di natura economico-finanziaria, come le precedenti, bensì politica. Perché è il venir meno della nostra (già residuale) credibilità istituzionale la cosa che ci ha procurato il declassamento del rating e che genera la sfiducia degli investitori internazionali – giudizi sintetizzati nel numeretto chiamato spread – oltre che l’avversione dei partner europei. E il bello (si fa per dire) è che in questa situazione siamo andati a metterci con le mani nostre, per malriposta presunzione, stupida arroganza e inescusabile ignoranza. Nessuno ci ha spinto, abbiamo fatto tutto da soli. E per questo è più grave, e non meno, delle crisi precedenti. Anche se gli effetti sono e saranno più lievi, l’isolamento che ci procura genera danni strutturali incalcolabili, che sarà maledettamente difficile riassorbire. Specie se, come fanno presagire il machismo delle quotidiane dichiarazioni politiche – la peggiore è quella di  chi accusa Draghi di “avvelenare il clima” – e l’adunata di stampo peronista annunciata per l’8 dicembre a Roma, si continuerà a versare benzina sul fuoco.
Il problema non è lo sforamento del parametro Ue del deficit. Anzi, se le risorse mobilitate fossero state spese bene, e se si fosse messa in campo un’operazione parallela di natura straordinaria sul debito, si poteva anche azzardare di più. E probabilmente, in quel caso Bruxelles si sarebbe comportata come il classico cane che abbaia ma non morde. Il problema fondamentale dell’economia italiana è, ormai da un quarto di secolo, la crescita, senza la quale le misure di redistribuzione della ricchezza non possono che essere a debito. E qui si tenta di spacciare una manovra di tipo redistributivo – peraltro fatta di misure di welfare, come il reddito di cittadinanza o l’anticipo della quiescenza, intrinsecamente sbagliate oltre che costose – come una di sviluppo, sulla base del presupposto che la ricchezza generata con spesa pubblica corrente e in deficit si trasformi in consumi e quindi in pil aggiuntivo.  Il risultato, infatti, è che quella ricchezza “artificiale” diventa in larga misura risparmio, così che i costi (gli interessi sul debito) superano largamente i ricavi (la domanda interna). In questo caso, poi, si aggiunge un costo aggiuntivo, che deriva dall’uso strumentale che si è voluto fare della manovra di bilancio, agitata come una clava in sede comunitaria per valorizzarne l’effetto mediatico-elettorale.
In termini di realpolitik, francamente la valutazione che l’Europa non può farsi sbattere in faccia una manovra “eversiva” negli intendimenti (almeno di qualcuno) e dunque non può e non deve rinunciare a dire la sua visto che le “deviazioni” italiane pesano su tutti gli altri paesi dell’eurosistema, vale tanto quanto il ragionamento opposto, e cioè che se quelle italiane sono provocazioni, non bisogna cascarci per non offrire il destro a chi vuole dipingere l’Europa come matrigna per lucrare consenso e magari, coscientemente o meno, finire per farla saltare in aria.

Con i giudizi delle agenzie di rating, che potranno anche non piacere e si potrà legittimamente considerare tutt’altro che infallibili coloro che li stilano, ma certo è dovere di qualunque debitore tenerne conto vista la loro oggettiva influenza. E poi con lo spread, con i rovesci della Borsa, persino con il calare del valore di cambio dell’euro con il dollaro. Tutte cose che non solo fanno lievitare il costo del debito, come già è, ma ne mettono a rischio il suo piazzamento presso le banche italiane e gli investitori internazionali. E che finiranno con mettere all’angolo il sistema bancario nazionale, al quale se verranno chieste ulteriori ricapitalizzazioni, dopo quelle ingenti cui ha già dovuto provvedere, diventerà alla mercé degli istituti stranieri, con buona pace del sovranismo.
Le strade :  La prima è quella “minimalista” reclamata da Draghi: usare il buon senso che finora si è preso a calci. In effetti basterebbe solo un po’ più di silenzio e compostezza, che sulla manovra ci sarebbero enne mediazioni possibili. Ma di questi tempi, è come chiedere la luna. La seconda è estrema: ricorrere alle procedure dell’OMT (Outright monetary transactions). Avremmo liquidità pressochè illimitata a favore del sistema bancario, ma solo nell’ambito di uno specifico programma di politica economica e finanziaria. In pratica, la vituperata “troika”, il commissariamento che persino Berlusconi era riuscito ad evitare. Politicamente sarebbe indigeribile. E poi l’economia italiana è troppo grande per poter essere sostenuta dall’esterno contro le tendenze endogene, e il debito è troppo interno perchè ci vengano concessi aiuti finanziari esterni. Rimane solo la terza soluzione: andare al più presto alle elezioni. Tipo febbraio 2019. Chi siede al  governo avrebbe buoni motivi per andare in quella direzione. E siccome sarebbero motivazioni opposte, probabilmente determinerebbero una frattura tra loro difficilmente componibile dopo il voto. Certo, oggi i sondaggi parlano chiaro. Ma l’indirizzo politico degli italiani è diventato estremamente volatile, e un appuntamento elettorale causato da una crisi come quella che stiamo vivendo potrebbe svegliare coscienze sopite e spingere all’impegno chi fin qui si è sottratto. catapano giuseppe ope 1