

Le imprese che aderiscono a un contratto di rete riconosciuto possono godere della sospensione d’imposta sugli utili accantonati per l’anno 2012 e destinati agli investimenti comuni, è pari all’83,0423% di quanto richiesto.. Attuazione al beneficio introdotto dall’art. 42 del dl 78/2010.
Tale disposizione, al comma 2-quater, ha infatti previsto la sospensione d’imposta, sulla quota di utili conseguiti dalle imprese che aderiscono a un contratto di rete riconosciuto e destinata ad apposite riserve, per realizzare, entro l’anno successivo, gli investimenti previsti dalle intese associative. I profitti congelati diventano tassabili al momento del loro utilizzo o quando viene meno l’adesione alla rete o si scioglie il contratto stesso. Diversi i paletti fissati dalla legge per accedere all’incentivo. Il programma comune di rete deve essere preventivamente asseverato da appositi organismi delle associazioni di categoria.
La quota di utili temporaneamente detassabile non può inoltre superare il tetto di un milione di euro. E devono infine essere seguite le regole operative fissate dalle Entrate con provvedimento del 14 aprile 2011, avvalendosi del modello Reti per comunicare al fisco i dati del risparmio d’imposta. Annualmente l’Agenzia, determina la percentuale massima del risparmio d’imposta ottenibile, che scaturisce dal confronto tra domanda e offerta. Il dl 78/2010 ha destinato all’incentivazione delle reti, 48 milioni di euro: 20 milioni per il 2011 e 14 milioni per gli anni 2012 e 2013. Ai sensi dell’art. 42 del dl 78/2010, l’aiuto spetta fino al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2012. Al momento, quindi, quella interessata dal provvedimento di ieri rappresenta l’ultima annualità agevolabile.
La percentuale dell’83% «significa che le risorse pubbliche assegnate si sono mostrate capaci di soddisfare le richieste dei beneficiari», sottolinea una nota delle Entrate. Lo scorso anno l’importo della detassazione complessivamente richiesta superava di poco i 16 milioni di euro. Si ricorda che l’aiuto può essere fruito esclusivamente in sede di versamento del saldo delle imposte sui redditi dovute per l’esercizio cui si riferiscono gli utili. L’acconto delle imposte dirette per l’anno successivo, invece, va calcolato senza tener conto dell’agevolazione. 
Allargare i possibili investitori nelle start up innovative ai clienti professionali <su richiesta>, semplificare le modalità di iscrizione nel registro dei gestori dei portali online, ridurre i tempi per avere la conferma dell’iscrizione, sono questi alcuni dei suggerimenti di Assonime per rendere più appetibile lo strumento dell’equity crowdfunding. Se verranno recepiti i suggerimenti anche gli investitori non professionali potranno investire i propri risparmi in progetti lanciati da start up innovative tramite un portalo online, come introdotto dall’art. 30 del cosiddetto decreto crescita-bis. I suggerimenti di Assonime, riportati sulla circolare n. 3 del 2013 sono riferiti al documento di consultazione Consob sul regolamento in materia di <Raccolta di capitali di rischio da parte di start up innovative tramite portali online.Una volta che le disposizioni Consob entreranno in vigore, lo strumento finanziario diverrà operativo.
I clienti professionali su richiesta. L’inserimento tra gli investitori qualificati dei clienti professionali <su richiesta> è sicuramente uno dei suggerimenti più significativi fra quelli proposti da Assonime. Secondo Assonime è opportuno allargare la platea dei possibili investitori anche ai clienti professionali <su richiesta>, che si dovrebbero aggiungere agli investitori professionali, questo consentirebbe ai progetti innovativi delle start up di avere un bacino di investitori più ampio. I clienti professionali su richiesta sono coloro che non rientrano nella definizione di clienti professionali privati di diritto prevista dal paragrafo I, Allegato 2 del regolamento Intermediari finanziari della Consob, ma che possono diventarlo se rispettano determinati requisiti e se presentano apposita richiesta. I clienti professionali di diritto, che sono attualmente ammessi, presenti nel Regolamento della Consob sono le banche, le imprese di investimento, le imprese di assicurazione e imprese di grandi dimensioni. Il cliente può essere annoverato tra quelli professionali quando una volta che ha avanzato una richiesta, questa viene accettata. Quindi l’esaminatore ritiene che il cliente richiedente, sia in grado adottare consapevolmente le proprie decisioni in materia di investimenti e di comprendere i rischi che assume. Per l’ammissibilità devono essere soddisfatti almeno due dei seguenti requisiti: il cliente deve aver effettuato operazioni di dimensioni significative sul mercato in questione con una frequenza media di dieci operazioni al trimestre nei quattro trimestri precedenti, e il valore del portafoglio di strumenti finanziari del cliente, inclusi i depositi in contante, deve superare 500 mila euro. Inoltre il cliente deve lavorare o aver lavorato nel settore finanziario per almeno un anno, in una posizione professionale che presupponga la conoscenza delle operazioni o dei servizi previsti. In caso di persone giuridiche, la valutazione di cui sopra è condotta con riguardo alla persona autorizzata ad effettuare operazioni per loro conto e/o alla persona giuridica medesima.
La procedura per diventare clienti professionali. I clienti devono comunicare per iscritto all’intermediario che desiderano essere trattati come clienti professionali, a titolo generale o rispetto a un particolare servizio o operazione di investimento o tipo di operazione o di prodotto. L’intermediario deve avvertire i clienti, in una comunicazione scritta e chiara, di quali sono le protezioni e i diritti di indennizzo che potrebbero perdere. I clienti devono dichiarare per iscritto, in un documento separato dal contratto, di essere a conoscenza delle conseguenze derivanti dalla perdita di tali protezioni. Gli intermediari, comunque, devono adottare per iscritto misure interne appropriate per classificare i clienti. Spetta ai clienti professionali informare il prestatore del servizio di eventuali cambiamenti che potrebbero influenzare la classificazione raggiunta. Se l’intermediario constata che il cliente non soddisfa più le condizioni necessarie per ottenere il trattamento riservato ai clienti professionali, deve adottare provvedimenti appropriati.
Chi ha subìto un danno alla persona via internet (per esempio una diffamazione) può rivolgersi direttamente ai giudici del proprio Stato di residenza per chiedere la soddisfazione integrale del danno. In alternativa può chiamare in causa, ma solo pro quota, i giudici di ciascuno degli Stati dell’Unione europea nei quali sono stati diffusi i contenuti contestati. Lo chiarisce la Corte di giustizia europea nelle sentenze a proposito delle cause C.509/09 e C-161/10 mettendo a punto quanto aveva già in precedenza stabilito per il solo caso della diffamazione su organi di stampa.
Diversi i profili delle due controversie approdate alla Corte. Nella prima è in questione il diritto di una società austriaca, la eDate Advertising, che gestisce un portale internet accessibile all’indirizzo http://www.rainbow.at, a pubblicare le notizie relative alla vicenda giudiziaria di due cittadini tedeschi condannati per un gravissimo reato.
Nel secondo caso si tratta invece di un classico gossip: un testo redatto in inglese e intitolato <Kylie Minogue è di nuovo con Olivier Martinez> è apparso sul sito internet del quotidiano britannico Sunday Mirror, insieme a dettagli relativi all’incontro tra la cantante australiana e l’attore francese. Quest’ultimo e suo padre, Robert Martinez, lamentano violazioni della loro vita privata e del diritto all’immagine di Olivier Martinez e, in Francia, hanno agito in giudizio contro la società britannica Mgn, editrice del Sunday Mirror.
La Corte, nell’affrontare la problematica, ha innanzitutto precisato che la pubblicazione di contenuti su internet si distingue dalla diffusione, circoscritta territorialmente , di un testo a stampa: contenuti online possono essere consultati istantaneamente da un numero indefinito di persone, ovunque nel mondo. Pertanto la diffusione universale, da una parte, può aumentare la gravità delle violazioni dei diritti della personalità e, dall’altra, rende estremamente difficile individuare i luoghi di concretizzazione del danno che può derivare da queste violazioni.
A differenza poi di quanto avviene a mezzo stampa, dove è stata affermata la competenza in linea di massima dello Stato del luogo dove ha sede l’editore, i giudici europei ritengono che l’impatto sui diritti alla personalità (come quello alla reputazione) di un’informazione messa in rete può essere meglio valutato dal giudice del luogo dove la vittima ha il proprio centro di interessi. Località che coincide di regola con quella della residenza abituale della persona fisica o con quello della sede statutaria per le persone giuridiche. Nei confronti di questo giudice è possibile la richiesta di risarcimento integrale.
Resta poi sempre possibile chiedere l’intervento, per un indennizzo integrale, dell’autorità giudiziaria dello Stato dove ha sede il soggetto che ha diffuso i contenuti contestati, come pure agire, ma solo per una parte del danno, in ognuno degli Stati dell’Unione nei quali è stato veicolato il messaggio dannoso.
Infine, nell’interpretare la direttiva sul commercio elettronico, la Corte ha stabilito che il prestatore di un servizio del commercio elettronico non può essere soggetto nello Stato membro ospitante a prescrizioni più rigorose di quelle previste dal diritto dello Stato membro in cui il prestatore è stabilito.
La società costituita ad hoc per realizzare l’operazione di conferimento di azienda e successiva cessione delle partecipazioni riqualificata dal fisco come cessione diretta d’azienda non può essere destinataria di alcun accertamento per condotte elusive posto che quest’ultimo può riguardare solamente i pretesi cedente e cessionario dell’azienda. Questo è il principio di diritto affermato in materia di imposta di registro dalla commissione tributaria regionale della Lombardia con la sentenza 202 del 20 settembre 2011 della sezione XLIII. I giudici si sono occupati di uno dei frequentissimi casi in cui l’amministrazione finanziaria contesta, utilizzando in chiave antielusiva l’articolo 20 del testo unico di registro, le operazioni di conferimento di azienda (nel caso di specie un centro commerciale) in una società con successiva cessione a terzi delle partecipazioni di quest’ultima, operazioni che, singolarmente considerate, scontano l’imposta di registro in misura fissa. Il fisco in questi casi ritiene infatti che la fattispecie vada riqualificata come una cessione diretta d’azienda da assoggettare a imposta proporzionale. La Commissione ha ritenuto che la società veicolo di nuova costituzione, a prescindere da ogni valutazione sull’elusività dell’operazione, non possa essere parte del contenzioso in quanto l’obbligazione solidale di pagare l’imposta di registro riguarda esclusivamente i pretesi cedente e acquirente l’azienda. L’affermata carenza di legittimazione passiva del veicolo societario è tuttavia solo uno degli aspetti che vengono alla luce nei casi in cui il fisco contesti tali operazioni. Le altre questioni che si pongono ruotano intorno alla verifica della sussistenza o meno di una fattispecie elusiva. L’impatto che può avere una riqualificazione di uno share deal (circolazione di azioni) in un asset deal (circolazione di beni) operato attraverso il ricorso all’articolo 20 del testo unico di registro, è assai rilevante in termini economici.La giurisprudenza di merito che di recente si è occupata di casi analoghi a quello in esame si è divisa tra una corrente, di gran lunga maggioritaria, che nega la sussistenza di una fattispecie di elusione e una minoritaria che invece la ravvisa. I contenziosi ruotano sui confini applicativi dell’articolo 20 e sul potere del fisco di disconoscere gli effetti di quelli che spesso sembrano dei legittimi margini di scelta concessi dal legislatore. Ciò soprattutto laddove non si sia fatto ricorso a strutture di puro artificio, ma sia stata realizzata un’operazione ampiamente giustificabile sotto il profilo aziendale, civilistico e fiscale.Il rischio è infatti che l’utilizzo dei concetti di elusione ed abuso del diritto travolgano acriticamente le scelte imprenditoriali. Tra la libertà imprenditoriale e le contestazioni erariali vi sono infatti dei canoni normativi e coerenza sistematica che sovente lasciano volutamente al contribuente l’opportunità di scegliere lo schema negoziale che preferisce. Le perplessità sull’utilizzo dell’articolo 20 a fini antielusivi lascia perplessi innanzi tutto per ragioni sistemiche, posto che l’articolo 176 del Tuir esclude dal sindacato di elusività ai fini delle imposte dirette proprio le operazioni di conferimento di azienda e successiva cessione di partecipazioni. Inoltre, per contestare l’elusione, non vi devono essere ragioni economiche per definizione. L’adozione di uno share deal comporta delle differenze contabili, legali e fiscali precise rispetto all’asset deal, differenze che per il contribuente costituiscono un valido motivo economico per scegliere tra diversi modi di strutturare l’operazione. Si pensi soprattutto al profilo delle responsabilità e in particolare all’articolo 14 del Dlgs 472/97, che prevede solamente in capo a chi acquista direttamente un’azienda l’obbligazione solidale per il pagamento delle imposte e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta l’operazione e nei due precedenti.
<incubatori certificati
predisposti per offrire servizi e sostenere la nascita e lo sviluppo delle imprese start-up innovative oltre al pacchetto di agevolazioni per le imprese giovani, tecnologiche e votate al reinvestimento.
La start up ai raggi X. Queste le caratteristiche delle nuove start up innovative:
La maggioranza del capitale sociale e dei diritti di voto nell’assemblea ordinaria deve essere detenuto da persone fisiche;
La società deve essere costituita e operare da non più di 48 mesi;
Deve avere la sede principale dei propri affari e interessi in Italia;
Il totale del valore della produzione annua, a partire dal secondo anno di attività, non deve superare i 5 milioni di euro;
Non deve distribuire o aver distribuito utili;
Deve avere quale oggetto sociale esclusivo, lo sviluppo e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico;
Non deve essere stata costituita per effetto di una fusione, scissione societaria o a seguito di cessione di azienda o di ramo di azienda.
Inoltre, spiega una nota di palazzo Chigi, la start up deve soddisfare almeno uno dei seguenti criteri: sostenere spese in ricerca e sviluppo in misura pari o superiore al 30% del maggiore tra il costo e il valore della produzione; impiegare personale altamente qualificato per almeno un terzo della propria forza lavoro; essere titolare o licenziataria di una privativa industriale connessa alla propria attività.
Il ruolo dell’incubatore di start-up innovative certificato. Si tratta di una società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, di diritto italiano ovvero una SocietasEuropaea, residente in Italia che offre servizi per sostenere la nascita e lo sviluppo di start-up innovative. Detta struttura, rinvenibile nelle realtà locali, molto spesso nella forma di <parco scientifico e tecnologico> entra a far parte dell’articolato sistema di incentivi allo sviluppo delle nuove imprese ed è a sua volta beneficiaria di agevolazioni in termini di esenzione dagli oneri relativi al registro delle imprese. Essa, analogamente alle stesse le start up innovative, deve essere iscritta in apposita sezione speciale del Registro imprese mediante apposita autocertificazione, prodotta dal legale rappresentante, con cui attesti il possesso dei requisiti qualificanti per beneficiare delle agevolazioni previste dal decreto sviluppo.
Tale incubatore deve, a sua volta essere caratterizzato dalla presenza di particolari elementi:
Disporre di strutture, anche immobiliari, adeguate ad accogliere start-up innovative, quali spazi riservati per poter installare attrezzature di prova, test, verifica o ricerca;
Disporre di attrezzature adeguate all’attività delle start-up innovative, quali sistemi di accesso alla rete internet, sale riunioni, macchinari per test, prove o prototipi;
Essere amministrato o diretto da persone di riconosciuta competenza in materia di impresa e innovazione e avere a disposizione una struttura tecnica e di consulenza manageriale permanente;
Avere regolari rapporti di collaborazione con università, centri di ricerca, istituzioni pubbliche e partner finanziari che svolgono attività e progetti collegati a start-up innovative;
Avere adeguata e comprovata esperienza nell’attività di sostegno a start-up innovative.
Tale ultimo requisito può essere autocertificato adducendo:
Il numero delle candidature innovative ricevute e valutate nel corso dell’anno;
Il numero di start-up innovative avviate, ospitate e uscite nell’anno;
Il numero complessivo di collaboratori e personale ospitato e le variazioni degli occupati rispetto all’anno precedente;
Il tasso di crescita media del valore della produzione delle start-up innovative incubate;
Il capitale di rischio raccolto dalle start-up innovative incubate;
Il numero di brevetti registrati dalle start-up innovative incubate, tenendo conto del relativo settore merceologico di appartenenza.