L’Unione Europea e’ andata oltre la sua autorita’ e ha violato la sovranità di Dublino quanto ha ordinato all’Irlanda di recuperare 13 miliardi di euro di tasse non pagate da Apple.
Lo afferma il governo irlandese in un documento di tre pagine pubblicato per sostenere il ricorso presentato contro la decisione presa dalla Commissione Europea lo scorso agosto. In settimana e’ previsto che la stessa commissione pubblichi una versione definitiva dell’ordine.
La richiesta di recuperare le tasse non pagate da Apple e’ la maggiore mai inviata da Bruxelles a uno degli Stati membri Ue. La commissione ha posto sotto indagine diversi accordi fiscali con grandi aziende ma in molti casi ha sollevati dubbi sul rispetto delle normative comunitarie e parlato di aiuti di Stato illegali a causa dei presunti vantaggi garantiti ad alcune aziende rispetto ai concorrenti grazie ad una minor imposizione fiscale.
Le iniziative della Ue hanno interessato altre grandi multinazionali statunitensi come McDonald’s e Amazon.com.
Giorno: 19 dicembre 2016
Giuseppe Catapano: Non soltanto per il profitto
La società benefit italiana compie un anno. Fu infatti introdotta con la legge di stabilità del 2016 e, pur in presenza di criticità su alcuni aspetti importanti della disciplina, sta dimostrando una notevole vitalità. Sono una cinquantina le società benefit già operative. Circa la metà sono di nuova costituzione, le altre sono diventate tali con una modifica allo statuto. Ma entro la fine del prossimo anno il numero dovrebbe triplicare. E soprattutto c’è, intorno a questo tema, la massima attenzione degli operatori professionali più qualificati, dottori commercialisti e avvocati.
Not only for profit, è l’idea attorno a cui ruota questa forma societaria nata sulla falsariga della benefit corporation americana del 2007. Si tratta di un ibrido che dovrebbe coniugare aspetti economici e sociali dell’impresa: lo statuto deve infatti indicare, insieme allo scopo di lucro, anche quello di un impatto positivo in termini ambientali o sociali. Tanto che si stanno mettendo a punto dei metodi per misurare questo tipo di ricadute aziendali.
Da un punto di vista filosofico la B-corp si propone di riportare la persona al centro delle priorità, applicando logiche “umane” al business e invertendo quindi la prassi che vede l’applicazione di logiche “commerciali” alle persone che lavorano in azienda o che ruotano intorno ad essa.
Dal punto di vista giuridico non mancano dubbi interpretativi su aspetti decisivi di questa nuova formula societaria. C’è per esempio il tema della responsabilità degli amministratori: nello statuto si deve prevedere il perseguimento dello scopo sociale, se invece i manager puntano solo al profitto possono essere soggetti ad azioni di responsabilità dei soci? Nel 1919 Henry Ford ha dovuto risarcire i soci per aver destinato, nella gestione della società, risorse finanziarie finalizzate soprattutto all’incremento dell’occupazione, invece che alla produzione di utili. Delicato anche il tema del recesso del socio in occasione del cambiamento dell’oggetto sociale.
Molti di questi dubbi potrebbero trovare risposte nei decreti legislativi in preparazione per dare attuazione alla legge delega del terzo settore. I primi provvedimenti dovrebbero essere pronti nel giro di poche settimane.
Al di là delle questioni giuridiche le discussioni degli addetti ai lavori sembrano ruotare intorno alla natura informale della società benefit che non prevede, per ora, alcuna certificazione formale. Il rischio potrebbe essere quello di trasformare la b-corp in un marchio alla moda, in pratica un comodo espediente di marketing, con un costo di acquisizione modesto, finalizzato esclusivamente a migliorare l’immagine della società, quindi la vendibilità dei suoi prodotti o la disponibilità di capitale da parte di investitori molto interessati agli aspetti etico-ambientali della produzione.
Un po’ come il bilancio ambientale, adottato da molte aziende più come strumento di promozione, che nella reale convinzione di misurare le ricadute sociali della propria attività economica.
Negli Stati uniti si è cerato di rispondere a questo problema con la creazione di un ente che certifica la presenza dei requisiti di sostenibilità sociale e ambientale e garantisce la legittimità della patente etica che l’impresa si attribuisce. In Italia si prevede invece che sia l’antitrust a vigilare, ma l’Autorità garante ha una possibilità di azione piuttosto limitata e non sarebbe in grado di controllare un numero elevato di imprese. E’ però probabile che il legislatore, dopo aver valutato l’impatto creato dalle nuove disposizioni, si riservi di intervenire per i chiarimenti o le correzioni che la prassi avranno ritenuto necessari o opportuni.