Tira una brutta aria per i professionisti del fisco. Gli stati europei, non sono ancora riusciti a superare la crisi del 2008 che ha provocato una forte dilatazione del debito pubblico di quasi tutti i paesi. Non possono tagliare la spesa pubblica (per non aggravare la fase recessiva), hanno quindi un bisogno disperato di aumentare le entrate tributarie: da qui la campagna condotta in modo deciso già da qualche anno contro i paradisi fiscali, che ha già smantellato il tradizionale segreto bancari di piazzeforti come la Svizzera. La trasparenza bancaria, la costruzione di enormi banche dati in grado di segnalare tutte le transazioni economiche dei cittadini e delle imprese, lo scambio di informazioni tra amministrazioni finanziarie diverse, la fatturazione elettronica, sono altrettanti passi avanti nella lotta all’evasione e all’elusione. Ma non basta. Anche perché l’accumulo di quantità gigantesche di informazioni, per adesso, sembra svolgere più una funzione deterrente che un’azione di contrasto reale. Molti dei dati contenuti nell’anagrafe tributaria sono imprecisi. Probabilmente manca ancora la capacità di utilizzare a fondo questi strumenti. Il direttore dell’Agenzia delle entrate, Rossella Orlandi, al festival dell’economia di Trento del 4 giugno ha riconosciuto: «è un mito» che l’agenzia possa sconfiggere evasione ed elusione «pigiando il tasto di un computer», e «con 11 mila addetti ai controlli è fisicamente e umanamente impossibile controllare 40 milioni di dichiarazioni fiscali». Da qui la scelta di puntare in modo deciso sulla compliance.
Come dimostra il servizio di Andrea Bongi (a pagina 8), l’amministrazione finanziaria sta riducendo il numero degli accertamenti per puntare su alert preventivi e avvisi bonari. Da tempo, in realtà, la politica fiscale sta cercando in diversi modi di arruolare o di intimorire coloro che sono sempre stati al fianco dei contribuenti, i professionisti, blandendoli o accusandoli di essere gli ispiratori dell’evasione. Commercialisti, avvocati, consulenti del lavoro, sono il perno di questa nuova strategia. Non a caso sono stati obbligati alla trasmissione di masse sempre più pervasive di dati dei contribuenti: invio on-line della dichiarazione dei redditi, spesometro trimestrale, comunicazioni trimestrali Iva, fatturazione elettronica, sono solo gli ultimi passi in questa direzione. Ma anche quando l’anagrafe tributaria sarà in grado di monitorare ogni singolo movimento del contribuente, nulla potrà contro le complesse operazioni finanziarie tipiche delle grandi imprese, perciò il passo successivo sarà quello di responsabilizzare i professionisti sulle eventuali mancanze commesse dai loro clienti. Qualcosa in questa direzione è già stato compiuto con il 730 on-line.
Anche la giurisprudenza sta andando in modo sempre più convinto nel senso di far pagare al consulente dell’azienda per l’evasione o l’elusione da questa commessa. Ora anche la Commissione europea ha aperto una consultazione per trovare i modi per scoraggiare gli intermediari nella progettazione di operazioni fiscali elusive. Il dato di partenza è che l’elusione ha sottratto, nel 2013, 50/70 miliardi di euro dalle casse degli stati europei. Misure più severe contro gli intermediari sono state già chiese dal parlamento europeo, dal consiglio Ecofin, dall’Ocse. Obiettivo della Commissione Ue è ora quello di creare deterrenti efficaci per evitare che i consulenti fiscali possano proporre schemi di pianificazione fiscale aggressivi. Pierre Moscovici, Commissario per gli affari economici e finanziari, ha dichiarato: «i piani di finanziamento aggressivi e le strutture societarie opache non accadono per caso». Il messaggio è chiaro: commercialisti e avvocati vanno disincentivati dal prendersi troppo a cuore l’interesse delle società. In pratica si punterà a creare un conflitto di interessi tra il professionista e il suo cliente, come si è già fatto con la disciplina antiriciclaggio. In altri termini, se gli stati non riescono più a controllare i contribuenti, ci devono pensare i professionisti.
