Crisi di crescita o fine di un modello di sviluppo? È il dilemma che divide tanto gli analisti, quanto gli investitori che si trovano a fare i conti con la Cina. Perché le prime settimane del nuovo anno si sono aperte con un nuovo scossone per i mercati finanziari del Dragone, che a cascata si è fatto sentire anche sulle tasche dei piccoli risparmiatori occidentali. Uno scenario che fa sorgere più di un dubbio su quello che ci attende.
Crisi di fiducia. Tra le poche certezze di questa fase di mercato c’è il crollo di fiducia dei grandi gestori verso quanto sta accadendo a Pechino. Gli interventi adottati dalle autorità politiche e monetarie cinesi hanno generato la convinzione che a quelle latitudini si sia perso il controllo della situazione e si proceda a tentoni. In particolare alla luce della svalutazione dello yuan (arrivato a toccare i minimi da cinque anni), voluta dalla banca centrale dopo mesi passati a bruciare riserve valutarie per sostenere la moneta (la Pboc dispone ancora di una cifra ingente, 3.320 miliardi di dollari, ma in calo di oltre il 12% rispetto a giugno e del 25% circa se il confronto viene fatto con il 2014). Così come non viene visto positivamente il dirigismo delle autorità nel funzionamento dei listini azionari (come il divieto di vendere partecipazioni azionarie superiori al 5%), che contraddice le regole del libero mercato. Ma i dubbi principali riguardano l’attendibilità dei dati relativi alla crescita economica. Da Pechino fanno sapere che nel terzo trimestre del 2015 il Pil è cresciuto del 6,9% rispetto a un anno prima, ma sono in molti a dubitarne, dato che gli indicatori relativi ai consumi e agli investimenti lasciano immaginare un ritmo di crescita più contenuto.
Una difficile transizione. «La preoccupazione generale è che l’economia globale stia rallentando, e che Pechino stia al tempo stesso anticipando tale fenomeno e reagendo a esso», commenta Paul Markham, gestore azionario globale di Newton IM (gruppo Bny Mellon). «Le preoccupazioni sull’economia cinese non sono infondate. Il paese è nel mezzo di una fase di ristrutturazione e di transizione verso una crescita guidata dai consumi domestici (mentre in passato si è puntato soprattutto sulla forza dell’export, ndr). C’è anche un eccesso di debito nel sistema bancario che condiziona il settore finanziario». Insomma, i problemi sono sul tavolo, anche se non vanno sopravvalutati.
