Si chiama “Sportello Antitrust” e sarà lo strumento più diretto per inviare segnalazioni, scritte o vocali, all`Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Da oggi, è a disposizione del consumatore nell`home page del sito Internet dell`Agcm.
Lo “Sportello” – informa l’Autorità – servirà a raggruppare le diverse funzioni già svolte in precedenza e a convogliare le segnalazioni in arrivo. Sono tre i canali utilizzabili: il messaggio on line, attraverso il “form” che si apre automaticamente cliccando sulla prima icona a forma di busta; la chiamata telefonica gratuita al numero verde 800-166661; oppure un semplice Tweet nei consueti 140 caratteri previsti dal social network (@antitrust_it). Rimane, naturalmente, anche la possibilità di inviare una lettera per posta ordinaria all`indirizzo: Agcm – piazza Verdi, 6a – 00198 Roma.
Le segnalazioni, regolarmente protocollate, verranno poi smistate – come di consueto – alle varie Direzioni competenti, in modo da essere valutate nel merito. I funzionari dell`Agcm ne verificheranno quindi l`attendibilità e la fondatezza, per rimettere al Collegio dell`Autorità la decisione se avviare un`istruttoria o archiviare, richiedere impegni specifici alle imprese o esercitare una “moral suasion” in caso di mancato rispetto della normativa antitrust.
Nello stesso “Sportello”, è compresa una quarta icona che riassume e illustra i diritti dei consumatori, secondo la direttiva europea in vigore dal 14 giugno 2014 recepita dal decreto legislativo n.21 del 21 febbraio dello stesso anno. Le novità principali riguardano i contratti a distanza, stipulati via Internet e comunque fuori dai locali commerciali: dall`ampliamento della durata del diritto di ripensamento (14 giorni) fino ai tempi per ottenere il rimborso dei pagamenti effettuati (entro i 14 successivi al recesso). Questa normativa, inoltre, affida in esclusiva all`Antitrust la competenza in materia di pratiche commerciali scorrette anche nei settori regolati.
Giorno: 13 ottobre 2015
Giuseppe Catapano: Il Nobel dell’Economia assegnato allo scozzese Angus Deaton
Giuseppe Catapano: Multinazionali sotto tiro
Sono finiti i tempi nei quali la lotta all’evasione fiscale si faceva criminalizzando prima partite Iva e piccole e medie imprese e poi introducendo adempimenti e sanzioni sempre più draconiani. Metodo Visco, tanto per intenderci. Ora gli stati più ricchi si sono resi conto che l’evasione più pericolosa è quella delle società multinazionali e che senza un accordo politico a livello internazionale non è possibile fare nessun passo in avanti. I fatti sembrano dargli ragione. Venerdì scorso, infatti, i ministri delle finanze del G20 hanno discusso a Lima il pacchetto Beps (Base erosion and profit shifting) con l’obiettivo di mettere a punto una strategia comune per contrastare l’elusione internazionale che, secondo i calcoli dell’Ocse, sottrae agli stati produttori di ricchezza tra i 100 e i 240 miliardi di dollari l’anno.
I paesi occidentali, oberati da debiti pubblici sempre più pesanti e livelli di pressione fiscale al limite del tollerabile, non possono più tollerare che società come Google, Amazon, Facebook, tanto per citare quelle più note, facciano profitti stellari versando imposte ridicole grazie a una sapiente attività di pianificazione fiscale internazionale. Nell’anno d’imposta 2012 Amazon ha versato alle casse dell’erario italiano meno di un milione di euro, Google 1,8 milioni, Facebook 132 mila euro.
Il pacchetto commissionato dal G20 e messo a punto in due anni di lavoro dall’Ocse non ha ancora natura vincolante, richiede infatti di essere recepito a livello nazionale. Questo potrebbe richiedere del tempo e avere come effetto una parziale difformità delle norme di recepimento. Ma non c’è dubbio che da quando è risultata chiara la volontà politica dei paesi più importanti di porre un freno all’evasione e all’elusione internazionali, le cose stanno cambiando molto velocemente. Chi poteva immaginare pochi anni fa che i paradisi fiscali si sarebbero aperti alla trasparenza e alla collaborazione più ampia? Il clima è decisamente mutato. Lo dimostra il successo della voluntary disclosure italiana, nonostante tutti i pasticci combinati dal legislatore, che sembra più impegnato a scoraggiare l’adesione, invece di favorirla: senza una forte percezione del rischio legato al possesso di capitali non dichiarati, ben pochi contribuenti avrebbero chiesto la regolarizzazione.
La maggior parte dei paesi, di fatto, si sta già muovendo sulla scia degli orientamenti ora formalizzati dall’organizzazione parigina. Per esempio il patent box e la cooperative compliance, la disciplina della stabile organizzazione, la stessa definizione dell’abuso di diritto di recente approvati dal parlamento italiano, sono già tarati sui parametri Ocse. Ci sono poi alcune misure che entreranno in vigore in tempi abbastanza veloci. Scatterà per esempio dal 1° gennaio 2016 il country by country reporting, cioè l’obbligo, per le multinazionali con fatturato superiore a 750 mila euro, di comunicare al fisco dati importanti come fatturato, utile, imposte pagate, numero di dipendenti. Dati che saranno scambiati tra le amministrazioni dei diversi paesi per contrastare il fenomeno dello spostamento di profitti verso paesi a fiscalità privilegiata tramite un transfer pricing ben al di sopra del valore di mercato. L’abuso dei prezzi di trasferimento è anche l’obiettivo di una serie di regole individuate dall’Ocse che, una volta acquisite dai consulenti fiscali delle grandi società, di fatto finiranno per essere applicate anche prima della loro formalizzazione in norme giuridiche nei vari paesi per evitare rischi di accertamenti fiscali negli anni a venire. E non è nemmeno pensabile che nei prossimi anni la tensione degli stati su questo fronte torni ad allentarsi. I problemi di bilancio di tutti i paesi produttori sembrano destinati ad aggravarsi invece che a ridursi e questo renderà ineludibile la ricerca di nuove entrate fiscali. Indietro non si torna.
Non c’è dubbio che questo cambio repentino di atteggiamento creerà qualche problema alle imprese multinazionali che potrebbero in molti casi essere costrette a rivedere il loro assetto societario. Ed è facile prevedere che per minimizzare il rischio di accertamenti fiscali si potenzierà l’istituto del ruling, cioè il dialogo preventivo tra impresa e amministrazione (non è un caso se il nostro legislatore, con il decreto legislativo n. 156, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 7 ottobre ne ha aggiornato la disciplina). Meglio accordarsi prima che tentare di fare i furbi e poi subire danni economici e d’immagine, potenzialmente devastanti.
Giuseppe Catapano: Indennità di accompagnamento Inps per invalidi: chiarimenti dei giudici
Per quali tipi di malattie spetta l’indennità di accompagnamento (anche chiamato “assegno di accompagnamento”) a carico dell’Inps e quali sono le condizioni per ottenerla? In questo breve articolo verificheremo tutti i chiarimenti forniti, in questi ultimi anni, dai giudici e, segnatamente, dalla Cassazione (i testi delle sentenze possono essere letti cliccando sul link presente in nota).
Condizioni per l’accompagnamento
In tema di indennità di accompagnamento e con riferimento alla sua spettanza, la legge richiede due presupposti che devono ricorrere contestualmente anche per chi ha superato 65 anni di età:
– una situazione di invalidità totale, rilevante per la pensione di inabilità civile
– e, alternativamente, o l’impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore oppure l’incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita con la conseguente necessità di assistenza continua, requisiti, quindi, diversi dalla semplice difficoltà di deambulazione o di compimento di atti della vita quotidiana con difficoltà (ma senza impossibilità).
Patologie per l’accompagnamento
Per ottenere l’indennità di accompagnamento è necessario che il richiedente dimostri di essere affetto da malattia che lo renda incapace di compiere gli elementari atti giornalieri: tale incapacità va intesa non solo in senso fisico, ossia come semplice idoneità ad eseguire materialmente tali atti (si pensi al soggetto impossibilitato a deambulare se non con l’aiuto di una terza persona), ma anche come capacità di intenderne il significato, la portata e l’importanza, anche ai fini della salvaguardia della propria condizione psico-fisica. Così ben potrebbe essere concesso l’accompagnamento a persona perfettamente capace di camminare da sola, ma con gravi deficit mentali. In diverse sentenze la Cassazione ha avuto modo di precisa che l’accompagnamento spetta quando siano presentidisturbi della sfera intellettiva, cognitiva o volitiva come, per esempio, nel caso di schizofrenia o nel caso di un rendimento mentale quasi del tutto compromesso per incapacità di memorizzare e stare attento, oppure nel caso di ipovalidismo psichico, con manifestazione classiche della oligofrenia.
In questi casi, quindi, l’indennità di accompagnamento può essere accordata anche a chi è in grado di deambulare, ma che, per ragioni inerenti alla propria sfera psichica, non è comunque in grado di compiere i più elementari atti della vita quotidiana. Non bisogna tenere conto del numero degli elementari atti giornalieri, ma, soprattutto, sulle loro ricadute in termini di incidenza sulla salute del malato e sulla sua dignità come persona, sicché anche l’incapacità di compiere un solo genere di atti può, per la rilevanza di questi ultimi e l’imprevedibilità del loro accadimento, attestare la necessità di una effettiva assistenza giornaliera.
Allo stesso modo è stata riconosciuta l’indennità di accompagnamento a chi si trova in ciclo di chemioterapia, mentre è stata negata a chi, per camminare, ha necessità di avere sempre il bastone sul presupposto che, per ottenere l’accompagnatore, si deve trattare di impossibilità e non di semplice difficoltà.
L’indennità di accompagnamento serve per fornire un sostegno economico non solo al malato, ma anche alla sua famiglia, al fine di consentire al primo – benché obbligato a ricevere controlli e assistenza continua – di continuare a vivere all’interno del proprio nucleo familiare e non dover, invece, farsi ricoverare in una casa di cura. Il che ovviamente si ripercuote anche in un beneficio per la spesa sociale. Ne deriva che il diritto al beneficio va riconosciuto in relazione a tutte le malattie che, per il grado di gravità espresso, comportano, per il malato, una consistente limitazione delle facoltà cognitive e, quindi, richiedono una giornaliera assistenza al fine di evitargli pericoli per sé e per gli altri.
Anoressia
L’anoressia in forma grave, quale sindrome nevrotica caratterizzata dal rifiuto sistematico del cibo, gioca un ruolo importante anche nel campo giuridico previdenziale. Tale malattia è stata, infatti, al centro di una sentenza della Cassazione, con la quale la Suprema Corte ha affermato il principio, già valido per l’esistenza del diritto all’assegno ordinario di invalidità della valutazione complessiva del quadro morboso del soggetto e non delle singole manifestazioni morbose. Per cui anche in caso di anoressia può essere riconosciuto l’accompagnamento.
Soggetti
Gli invalidi di età compresa fra i 18 e i 65 anni, nei cui confronti sia stata accertata una riduzione della capacità lavorativa pari almeno al 74% per minorazioni (congenite o acquisite, anche a carattere progressivo, ivi comprese le irregolarità psichiche per oligofrenie sia organiche che dismetaboliche e le insufficienze mentali per difetti sensoriali e funzionali), hanno diritto a un assegno mensile (per tredici mensilità) in presenza anche del possesso del requisito reddituale personale. Gli invalidi civili di età compresa tra i 18 e i 65 anni, nei cui confronti sia stata accertata, invece, una inabilità totale (100%), hanno diritto a una pensione di inabilità se in possesso anche del requisito reddituale personale.
L’indennità di accompagnamento scatta per dodici mensilità quando l’inabile (cioè l’invalido totale al 100%, minorenne o maggiorenne, per affezioni fisiche o psichiche) non sia in grado di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore oppure abbia bisogno di assistenza continua, trovandosi nell’incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita. Va subito notato che per l’ottenimento di tale indennità non sono previsti limiti di reddito per il semplice fatto che la corresponsione dell’indennità è legata solo alle minorazioni accertate.

