Giuseppe Catapano: Settimana corta, come si calcola il sabato?

La mia azienda applica la settimana corta, per cui io lavoro dal lunedì al venerdì; talvolta mi si chiede di lavorare il sabato: come deve essere inquadrata tale prestazione ai fini della retribuzione? Ho diritto alla maggiorazione per il lavoro durante il riposo settimanale?

Settimana-corta-come-si-calcola-il-sabato-370x230Le ore di lavoro settimanale, normalmente distribuite su 6 giorni, possono essere ripartite su 5 giorni. È questo il sistema della cosiddetta settimana corta.

La settimana corta può essere determinata

– dal contratto collettivo;

– dal datore di lavoro. In tal caso, la contrattazione collettiva impone al datore di lavoro l’obbligo di comunicazione o di trattativa.

Nel caso di adozione della settimana corta, il compenso spettante nelle festività infrasettimanali deve essere determinato dividendo il valore pecuniario dell’orario settimanale per 5 giorni effettivi di lavoro.

Qualora l’azienda, nonostante l’adozione della settimana corta, imponga al dipendente saltuariamente di prestare lavoro il sabato, questo giorno, pur non essendo di regola lavorato, viene sempre considerato come una giornata di lavoro e, pertanto, non può essere considerato riposo settimanale.

Giuseppe Catapano: Multa nulla senza cartelli anche a sinistra della strada

Autovelox e telelaser: anche se la strada non a senso unico ma a doppia corsia è necessario avvisare i conducenti che si trovano sulla carreggiata di sinistra in fase di sorpasso.

Multa-nulla-senza-cartelli-anche-a-sinistra-della-strada-370x230I cartelli che avvisano i conducenti dei limiti di velocità e della presenza dei controlli elettronici come autovelox o telelaser devono essere collocati anche sul lato sinistro della strada: e ciò perché, qualora l’automobilista si sposti dalla carreggiata di sinistra verso quella di destra per effettuare un sorpasso, potrebbe non vedere la segnaletica normalmente posta a destra. Se tale discorso certamente vale per l’autostrada con più corsie di marcia (leggi “Autovelox: multa nulla se il segnale non è anche a sinistra”), non si può escludere anche nel caso di strada a doppio senso di marcia, nei rettilinei dove è consentito sorpassare. A chiarirlo è una recente sentenza del Tribunale di Trento.

Le postazioni di rilevamento elettronico della velocità devono essere ben visibili e anche l’automobilista che è in fase di sorpasso va informato che sono attivi gli strumenti della polizia stradale: egli, infatti, potrebbe non vedere il cartello perché oscurato dal veicolo sorpassato che si trova proprio in corrispondenza della segnaletica. Servono allora due cartelli, uno a destra e l’altro a sinistra, altrimenti il verbale della contravvenzione va annullato.

Così, anche il conducente che viene pizzicato dall’autovelox o dal telelaser in palese eccesso di velocità (nel caso di specie, si trattava di vettura che procedeva a 170 km/h a fronte di un limite di 90 km/h) può sempre vincere il ricorso contro la multa sostenendo (e dimostrando) di trovarsi sul lato destro della strada, mentre sorpassava un’altra automobile, e di non aver potuto vedere il cartello con la segnaletica stradale.

Il codice della strada stabilisce che le postazioni del rilevamento elettronico della velocità debbano essere preventivamente segnalate agli automobilisti. Ma quando dalla foto scattata dall’apparecchio di controllo elettronico della velocità risulta che il conducente si trovava sul lato sinistro della strada, mentre il cartello che segnala la postazione di controllo è rivolto verso la carreggiata di destra, i cartelli devono essere due, uno alla destra e uno alla sinistra della stessa carreggiata perché l’automobilista intento nella manovra di sorpasso non è in grado di vedere il cartello posto a destra della carreggiata in quanto coperto dal veicolo sorpassato. E se il cartello serve a segnalare la presenza della postazione di rilevamento, devono vederlo tutti i guidatori: quelli che marciano più a destra ma anche coloro che percorrono la corsia di sorpasso.

Giuseppe Catapano: Demansionamento del lavoratore, dopo quanto si prescrive il diritto?

Dopo quanto tempo può intraprendere la causa il lavoratore dipendente declassato rispetto alle mansioni di assunzione?

Demansionamento-del-lavoratore-dopo-quanto-si-prescrive-il-diritto-370x230Il dipendente che sia stato “squalificato” (o meglio, secondo la terminologia giuridica “demansionato”, ossia adibito a mansioni inferiori – anche solo nei fatti – rispetto a quelle per le quali era stato assunto) ha tutto il tempo per poter far causa al datore di lavoro: il fatto che questi abbia atteso molto tempo prima di muovere un’azione legale contro l’azienda non significa che abbia tacitamente accettato la condizione alla quale lo abbia relegato il datore. Insomma, il trascorrere del tempo non può essere inteso come una semplice acquiescenza del dipendente al demansionamento impostogli dal datore. Tale suo diritto, infatti, è “indisponibile”, ossia non può essere mai oggetto di rinuncia. Anzi, potrebbe essere proprio il protrarsi di tale situazione illegittima a giustificare le ragioni delle sue eventuali dimissioni.

È quanto chiarito dalla Cassazione con una sua sentenza di questa mattina.

La riforma del Job Act

Come abbiamo chiarito nella nostra guida sul demansionamento, scatta la dequalificazione del lavoratore quando l’azienda lo adibisce a nuove mansioni attribuite non equivalenti rispetto a quelle svolte in precedenza.

La disciplina della modifica delle mansioni è stata radicalmente cambiata con decorrenza dal 25 giugno 2015.

In via generale, in corso di rapporto il lavoratore può essere adibito ad altre mansioni purché riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte oppure corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito (ad esempio per effetto di una promozione). Ogni patto contrario è nullo, fatta eccezione per le ipotesi, regolate dalla legge, di assegnazione a mansioni diverse per esigenze legate all’attività produttiva oppure per accordo tra le parti.

Se necessario, il mutamento delle mansioni è accompagnato da un percorso di formazione correlato alle nuove mansioni da svolgere. Il mancato esperimento della formazione non comporta, comunque, la nullità dell’atto di assegnazione delle nuove mansioni.

Quali sono i termini di prescrizione?

Veniamo ora all’interrogativo del dipendente il quale, oggetto di demansionamento, preferisce non fare causa al datore di lavoro per evitare eventuali ritorsioni e rinviare la contestazione a un momento successivo alla cessazione del rapporto.

Con riguardo alla prescrizione del diritto al riconoscimento della qualifica e delle eventuali differenze retributive, si segnalano due orientamenti giurisprudenziali:

– secondo una prima tesi il lavoratore ha 10 anni di tempo per rivendicare il diritto alla qualifica superiore e cinque anni invece per chiedere la relativa differenza del trattamento retributivo corrispondente.

– il secondo nega la configurabilità di un diritto alla qualifica suscettibile di prescriversi e riconosce il diritto alle differenze retributive nei limiti della prescrizione di cinque anni.

Quale risarcimento?

Il demansionamento dà diritto al risarcimento del:

danno patrimoniale (ad esempio, il danno da perdita di chance)

danno non patrimoniale: esso può avere una componente di pregiudizio sia alla professionalità, sia alla sua vita di relazione intesa come perdita di considerazione e prestigio nell’ambito lavorativo capace di riverberarsi altrove e di influenzare tutte le sue relazioni interpersonali (ad esempio, il danno all’integrità psichica per la situazione di frustrazione).

In via generale, entrambe le tipologie di danno vengono liquidate in base ad un criterio equitativo; tuttavia, per la quantificazione del pregiudizio patrimoniale è solitamente utilizzato come parametro di riferimento l’ammontare della retribuzione risultante dalle buste paga prodotte in giudizio.

Giuseppe Catapano: Quale valore ha la consulenza di parte in una causa?

Cassazione: se la CTP (consulenza tecnica di parte) viene ritenuta sufficientemente completa e condivisibile essa può concorrere a convincere il giudice ai fini della sua decisione finale.

Quale-valore-ha-la-consulenza-di-parte-in-una-causa-370x230Non sottovalutare il valore che può avere, all’interno di una causa, la consulenza di parte: essa, infatti, quando ben argomentata e condivisibile, può assumere un valore determinante ai fini della decisione finale. Il giudice, infatti, potrebbe utilizzarla come argomento decisivo per emettere la propria sentenza. È quanto chiarito dalla Cassazione in una recente sentenza.

Il perito di parte ha il suo peso

La Suprema Corte parte dal dato normativo del codice di procedura civile: “il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge disponga diversamente”.

Anche la consulenza tecnica di parte (cosiddetta CTP) può avere, nel formare l’idea del giudice sulla ragione tra le parti, il suo peso decisivo. Le risultanze di una consulenza tecnica di parte, in quanto consacrate in un documento nel quale il perito di parte ha espresso le sue valutazioni tecniche e, dunque, ha fornito la rappresentazione di fatti tecnici, possono essere apprezzate dal giudice con prudenza ma liberamente. Pertanto, qualora il magistrato le abbia ritenute condivisibili ai fini della decisione, esse assumono il valore di argomenti con cui il giudice ha espresso direttamente il suo convincimento.

Giuseppe Catapano: Come rottamare l’automobile del defunto?

La scomparsa di una persona cara non implica solamente un vuoto incolmabile dal punto di vista umano, ma comporta anche l’obbligo di espletare alcune pratiche burocratiche onde non incorrere in problemi futuri.

Come-rottamare-automobile-del-defunto-370x230La rottamazione è la procedura che porta alla demolizione del veicolo che non presenta più le caratteristiche necessarie per la circolazione stradale, ad esempio perché troppo vecchio o incidentato in maniera irrimediabile. Tale procedura non comporta semplicemente la distruzione del mezzo, ma anche la sua cancellazione definitiva dal Pubblico Registro Automobilistico, PRA.

Il veicolo destinato alla dismissione viene considerato un rifiuto speciale pericoloso e, come tale, deve essere consegnato, per la demolizione, presso un centro di raccolta autorizzato oppure, nel caso in cui si voglia cedere un veicolo per acquistarne un altro, come accade spesso in occasione di promozioni delle varie case automobilistiche, presso il concessionario di riferimento.

Nel caso di morte del proprietario dell’automobile, o di altro mezzo di trasporto, la rottamazione può essere richiesta dall’erede mediante la presentazione di una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, compilabile anche attraverso dei modelli scaricabili online, sui siti specializzati in materia, nella quale si dichiara erede del defunto intestatario del veicolo da demolire.

Per il perfezionamento della richiesta di rottamazione, in caso di morte del proprietario del veicolo, occorre presentare dunque la presente documentazione:

– il libretto di circolazione;

– il certificato di proprietà o foglio complementare;

– targa anteriore e posteriore;

– dichiarazione sostitutiva dell’erede, con firma in originale;

– copia del certificato di morte;

– copia del documento d’identità dell’erede.

Il centro di raccolta autorizzato, o il concessionario, dopo la consegna del mezzo, con relativa documentazione, effettuati gli opportuni controlli, rilascia il certificato di rottamazione, un documento attestante tutti i dati relativi al proprietario, o agli eredi, e al veicolo, che solleva da qualsiasi tipo di responsabilità -civile, penale, amministrativa- legata all’automobile, ed entro il termine di trenta giorni deve provvedere alla cancellazione dell’automobile dal Pubblico Registro Automobilistico con la presentazione della richiesta di cessazione della circolazione per demolizione.

La demolizione e la radiazione del veicolo dai pubblici registri fa cessare l’obbligo, a carico dell’intestatario o dell’erede, del pagamento del bollo auto.

Prima di procedere alla rottamazione di un veicolo è importante verificare che il centro di raccolta, o il concessionario, selezionato sia effettivamente in possesso dell’autorizzazione prevista; occorre inoltre verificare l’emissione, entro il termine di trenta giorni dalla consegna del mezzo, del certificato di rottamazione ed infine, soprattutto ai fini fiscali, è consigliabile conservare tale certificato con cura.

Per effettuare la rottamazione sono previsti dei costi, che in caso di morte dell’intestatario sono ovviamente a carico dell’erede. L’importo dell’imposta di bollo è di 32 Euro se si è in possesso del certificato di proprietà del veicolo, di 48 Euro invece se si utilizza modello NP3C come nota di presentazione al posto del certificato di proprietà, a cui vanno aggiunti 13,50 Euro come emolumenti Aci ed eventualmente i costi di un eventuale trasporto del mezzo presso il centro di demolizione.

Giuseppe Catapano: Contrassegno dell’Assicurazione, addio dal parabrezza dal 18 ottobre

Rc auto: tra meno di un mese tutti i contrassegni assicurativi saranno “digitali”; per stabilire se il mezzo ha l’assicurazione, i controlli avverranno solo in via elettronica.

Addio-contrassegno-assicurazione-dal-parabrezza-del-auto-482x270Dal prossimo 18 ottobre gli automobilisti non saranno più obbligati a esporre il classico contrassegno assicurativo sul parabrezza anteriore del proprio mezzo: i controlli saranno effettuati dalle autorità attraverso modalità elettroniche, ossia consultando in tempo reale le banche dati ministeriali e potenziando i sistemi di controllo della circolazione già esistenti (ad esempio utilizzando telecamere per le ZTL o quelle dei tutor).

Rivoluzione, quindi, nel mondo dell’auto: scompare il classico contrassegno assicurativo fatto di carta e attaccato al vetro anteriore attraverso la consueta mascherina con l’adesivo. Per stabilire infatti se l’automobilista ha pagato o meno il premio assicurativo o viaggia senza assicurazione (o con l’assicurazione scaduta) i controllori del traffico agiranno consultando in tempo reale le banche dati ministeriali e potenziando i controlli elettronici della circolazione. Lo ha chiarito venerdì 18 settembre l’Associazione Nazionale fra le imprese assicuratrici, divulgando una guida pratica dedicata agli utenti assicurati.

Dematerializzazione dei contrassegni assicurativi

La dematerializzazione dei contrassegni assicurativi è stata varata con un decreto legge di ben tre anni. C’è stata una prima fase di rodaggio per la messa a regime, presso il Ministero dei Trasporti, di una banca dati aggiornata in tempo reale e facilmente consultabile dalla polizia stradale.

Tra meno di un mese, quindi, il contrassegno diventa solo in formato digitale: entrerà nella banca dati e non ci sarà bisogno che venga stampato all’assicurato perché i controlli saranno tutti elettronici.

Che deve fare l’automobilista?

Per gli automobilisti non cambia quasi nulla se non il venir meno dell’obbligo di esporre il contrassegno: contrassegno che comunque verrà ancora stampato (almeno nella prima fase di rodaggio), ma potrà essere conservato anche a casa, come prova dell’avvenuto pagamento.

Infatti, appena effettuato il pagamento della polizza, l’assicuratore lo comunica alla banca dati che viene automaticamente aggiornata nel giro di pochi secondi.

In caso di incidente stradale il conducente resterà obbligatorio scambiarsi i dati assicurativi esibendo alla controparte il contratto assicurativo per l’identificazione corretta della compagnia, necessaria per la presentazione della denuncia.

Come avverranno i controlli?

I controlli potranno avvenire sia con la pattuglia (che, attraverso un terminale, potrà controllare in tempo reale la copertura assicurativa), ma anche sfruttando le telecamere degli autovelox, tutor e le altre postazioni di lettura targhe che sono posizionate sul territorio.

Solo nel 2014 le auto senza copertura assicurativa hanno rappresentato quasi il 9% del parco veicoli circolante: un problema anche per il Fondo di Garanzia Vittime della strada, costretto a intervenire in caso di sinistri provocati da auto senza rca.

Inoltre, con il previsto aggiornamento in tempo reale della banca dati del Ministero sarà più difficile per i trasgressori passare inosservati.

La prima fase della nuova era, però, si anticipa piena di difficoltà: i controlli richiedono per esempio l’impiego di telecamere omologate per questo tipo di accertamenti, oltre all’uso degli altri vigili elettronici (autovelox, tutor, varchi ztl). In buona sostanza, nel codice stradale non è ancora ammesso un uso massivo di tutte le telecamere in dotazione specialmente ai Comuni che spesso sono munite di ocr per il riconoscimento delle targhe.

Giuseppe Catapano: Tasse pagate e non dovute: entro quanto tempo si può chiedere il rimborso?

Errore o duplicazione nel pagamento delle tasse: per il rimborso si applica il termine di decadenza di 48 mesi e non quello di dieci anni previsto dal codice civile.

Tasse-pagate-e-non-dovute-entro-quanto-tempo-si-può-chiedere-il-rimborso-370x230Chi ha versato un’imposta non dovuta può chiedere il rimborso della relativa somma all’Agenzia delle Entrate ma deve farlo, a pena di decadenza, entro il termine di 48 mesi.

Non si applica infatti il termine di prescrizione decennale previsto in generale dal codice civile.

Come affermato dalla Cassazione in una recente sentenza, il termine di 48 mesi è espressamente previsto dalla legge in materia di imposte dirette e prevale pertanto sul termine generale di dieci anni previsto dal codice civile e applicabile alle ipotesi di indebito oggettivo.

In particolare la legge prevede a carico del contribuente l’onere di presentare l’istanza di rimborso entro 48 mesi dal versamento non dovuto perché per esempio errato, duplicato o relativo ad imposte inesistenti. Si parla infatti delle ipotesi di “errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o parziale del relativo obbligo”.

Secondo i giudici nell’ipotesi di “inesistenza totale o parziale dell’obbligo” rientra anche il pagamento dell’imposta da parte del contribuente che riteneva erroneamente di dover pagare una determinata imposta.

Si tratta della stessa ipotesi disciplinata dal codice civile: il cosiddetto indebito oggettivo che si configura allorquando si effettua un pagamento non dovuto e si ha pertanto diritto al rimborso. Pur trattandosi della medesima fattispecie, tuttavia non si applica, ai fini del rimborso, il termine di decadenza decennale bensì quello di 48 mesi poiché previsto appositamente dal legislatore nella normativa speciale dedicata ai versamenti diretti di imposta (cioè quelli effettuati prima della ricezione di un atto impositivo).

Ne deriva che, se l’istanza di rimborso non viene presentata entro i 48 mesi dal versamento, il contribuente perde definitivamente il diritto alla restituzione delle somme.

Giuseppe Catapano: Dichiarazione redditi, anche chi l’affida al commercialista non può dimenticarsi

L’aver affidato al commercialista la predisposizione e l’invio della dichiarazione del redditi non giustifica la violazione dell’obbligo né esclude la consapevolezza della scadenza del termine: solo la forza maggiore può giustificare tale omissione.

Dichiarazione-redditi-anche-chi-l’affida-al-commercialista-non-puo-dimenticarsi-370x230La Cassazione bacchetta chi affida la propria contabilità al commercialista e poi se ne disinteressa totalmente: infatti, se anche il professionista non provvede al tempestivo invio telematico della dichiarazione dei redditi, a risponderne è sempre il cliente-contribuente. Non può quest’ultimo scusarsi sostenendo di aver affidato tutto allo studio commercialistico e, quindi, di essersi totalmente dimenticato delle scadenze fiscali, complice anche l’ignoranza che questi ha in materia. Lo ha chiarito la Cassazione con una recente sentenza.

Del reato di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi (che scatta per non aver presentato la dichiarazione nei tempi previsti dalla legge) risponde sempre il cittadino salvo che questi non dimostri la forza maggiore.

Termini entro cui va presentata in via telematica la dichiarazione

La dichiarazione può essere presentata direttamente o attraverso intermediari abilitati o, in alcuni casi, tramite un ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate.

In ogni caso, il termine di presentazione è il 30 settembre dell’anno successivo a quello cui i redditi si riferiscono.

La dichiarazione si considera tempestiva se trasmessa nel termine predetto anche se successivamente è scartata dal servizio telematico per la presenza di errori, purché sia correttamente ritrasmessa entro i 5 giorni successivi alla comunicazione telematica dell’Agenzia delle Entrate.

Mancata presentazione

Il contribuente non può evitare la condanna penale lamentando di aver delegato ad un commercialista il disbrigo degli adempimenti fiscali e che pertanto non abbia specificamente voluto evadere le imposte, non essendo nemmeno consapevole del debito tributario e del suo ammontare. Anche, infatti, chi dimostri di aver sollecitato più volte il proprio commercialista, finendo poi per rivolgersi ad altro professionista, non può essere perdonato. Solo la forza maggiore può giustificare tale omissione. In ogni caso, il contribuente deve essere a conoscenza delle relative scadenze. In caso di superamento del termine per la presentazione, il cittadino può comunque fruire, a fini penali, del termine di 90 giorni concesso dalla legge.

La Suprema Corte ribadisce che l’obbligo di presentare la dichiarazione incombe sempre e direttamente sul contribuente. Nel caso si tratti si società l’obbligo ricade su chi ne abbia la legale rappresentanza, tenuto a sottoscrivere la dichiarazione a pena di nullità.

Il fatto che il contribuente possa avvalersi di persone incaricate della materiale predisposizione e trasmissione della dichiarazione non trasferisce su queste ultime l’obbligo che fa comunque carico direttamente al contribuente il quale, infatti, in caso di trasmissione telematica della dichiarazione rimane obbligato alla conservazione della copia sottoscritta della dichiarazione.

È vero: perché scatti il reato di omessa dichiarazione dei redditi è necessario il dolo specifico di evasione, ossia l’effettiva evasione. Ma a tal fine è sufficiente l’aver omesso di vigilare sul comportamento del proprio commercialista.

La responsabilità del commercialista

Ovviamente, vien fatta salva la possibilità per il contribuente che abbia dovuto pagare poi le sanzioni e sia stato imputato del reato di omesso versamento, di agire nei confronti del proprio commercialista per la responsabilità professionale chiedendogli, quantomeno, il risarcimento dei danni.

Giuseppe Catapanoi: Malattia, visite fiscali per il 2016, giorni e ore di reperibilità

Lavoratore in malattia: obbligo di reperibilità, fasce orarie per la visita di controllo del medico dell’Inps.

Malattia-visite-fiscali-per-il-2016-giorni-e-ore-di-reperibilita-370x230Il lavoratore ammalato deve sottoporsi, preferibilmente sin dal primo giorno di malattia, ad un accertamento sanitario da parte del proprio medico curante, che produce un’apposita certificazione.

La disciplina cambia caso a seconda che l’assenza per malattia sia di durata pari o inferiore a 10 giorni, oppure sia superiore a 10 giorni:

per le assenze da malattia pari o inferiori a 10 giorni, nonché per le assenze fino al secondo evento nel corso dell’anno solare, il lavoratore può rivolgersi anche al medico curante non appartenente al SSN (o con esso convenzionato);

– se invece l’assenza supera i 10 giorni o nei casi di eventi di malattia successivi al secondo nel corso dell’anno, la certificazione deve essere rilasciata esclusivamente dal medico del SSN (o con esso convenzionato).

Il medico è tenuto ad inviare la certificazione per via telematica all’INPS, con le specifiche tecniche e le modalità procedurali determinate dall’Istituto.

Il lavoratore deve richiedere al medico il numero di protocollo identificativo del certificato inviato e fornirlo al proprio datore di lavoro, quando richiesto.

L’INPS, a sua volta, mette a disposizione dei datori di lavoro, attraverso i propri canali telematici, gli attestati di malattia ricevuti dai medici.

Il lavoratore è esonerato dall’invio della documentazione in forma cartacea.

Il lavoratore può continuare a presentare, sia all’INPS che al datore di lavoro, il certificato di malattia in formato cartaceo quando lo stesso viene rilasciato da medici privati non abilitati all’invio telematico o da strutture di pronto soccorso, nonché quando l’evento di malattia comporta il ricovero ospedaliero.

Al momento della visita il lavoratore può richiedere al medico la copia cartaceadel certificato e dell’attestato di malattia, o, in alternativa, l’invio della copia dei documenti in formato pdf alla propria casella di posta elettronica.

Quando la stampa della certificazione non è oggettivamente possibile, il medico può limitarsi a chiedere al lavoratore conferma dei dati anagrafici inseriti rilasciandogli il numero di protocollo.

Il lavoratore, infine, può prendere visione dei propri certificati accedendo al sito internet dell’INPS, tramite PIN o codice fiscale.

Il controllo del medico fiscale dell’INPS

Tutti i datori di lavoro devono presentare le richieste di visita medica di controllo in via telematica, attraverso il portale dell’INPS (servizio “Richiesta visita medica di controllo“).

Al termine della visita di controllo il medico redige presso il domicilio del lavoratore un apposito verbale informatico e ne fornisce copia al lavoratore. Il verbale viene trasmesso in tempo reale ai sistemi informatici dell’INPS e reso contestualmente accessibile al datore di lavoro che ha richiesto la visita.

Il datore di lavoro può inviare all’INPS, con un’unica operazione (funzione “Invio richieste multiple”), più richieste di visite mediche di controllo (al massimo 50).

Obbligo di reperibilità del lavoratore e fasce orarie

Per consentire il controllo dello stato di malattia, il lavoratore ha l’obbligo di essere reperibile presso l’indirizzo abituale o il domicilio occasionale:

tutti i giorni durante la durata della malattia comprese le domeniche ed i giorni festivi

– nelle seguenti fasce orarie giornaliere:

1) lavoratori statali e personale enti locali

mattina: dalle ore 9 alle 13

pomeriggio: dalle ore 17 alle 18.

2) Lavoratori settore privato

mattina: dalle ore 10 alle 12

pomeriggio: dalle ore 17 alle 19.

Se i contratti collettivi dovessero stabilire regole diverse sarebbero nulli e quindi inapplicabili.

Il lavoratore già oggetto di visita fiscale può essere sottoposto a una seconda?

Su tale punto i giudici hanno fornito pareri discordanti. Alcune sentenze ritengono che il lavoratore debba sempre rendersi reperibile nelle fasce orarie, anche nel caso in cui il controllo medico sia già avvenuto, in quanto il datore di lavoro ha diritto alla reiterazione delle visite nei limiti in cui ciò non abbia lo scopo di molestare o danneggiare il lavoratore senza un valido motivo.

Un altro orientamento stabilisce invece che, posto il carattere eccezionale della limitazione della libertà di movimento che deriva dall’obbligo della reperibilità, il lavoratore non è più tenuto a rispettarla una volta che il medico di controllo abbia accertato la malattia. Diversamente si potrebbe addirittura incidere negativamente sulla guarigione, specialmente per alcune patologie la cui cura può richiedere l’allontanamento dal luogo abituale di residenza per località più consone alle condizioni del lavoratore ammalato.

Che succede se il lavoratore ostacola la visita fiscale?

Il lavoratore ha il dovere di cooperare all’effettuazione delle visite domiciliari, in modo da consentire al medico l’immediato ingresso nell’abitazione. Se non rispetta tale dovere per incuria, negligenza o altro motivo (si pensi all’assenza del nome del lavoratore sul citofono) scatta la decadenza dal diritto al trattamento economico; non vi si può rimediare neanche con la conferma della malattia in una successiva visita ambulatoriale.

Che succede se il lavoratore è assente alla visita di controllo?

Se il lavoratore risulta assente alla visita di controllo domiciliare, il medico:

– rilascia, possibilmente a persona presente nell’abitazione del lavoratore, un avviso recante l’invito per quest’ultimo a presentarsi il giorno successivo (non festivo) alla visita di controllo ambulatoriale, salvo che l’interessato non riprenda l’attività lavorativa;

– comunica l’assenza del lavoratore all’INPS che, a sua volta, avvisa il datore di lavoro.

Se il lavoratore non si reca alla visita ambulatoriale, l’INPS ne dà comunicazione al datore di lavoro ed invita il lavoratore a fornire le proprie giustificazioni entro 10 giorni.