Giuseppe Catapano: Scacco ai furbetti del fisco

img469248Voluntary disclosure e non solo. In modo rapidissimo, gli obiettivi, gli strumenti e i metodi della pianificazione fiscale, nazionale e internazionale, sono cambiati radicalmente. Se fino a poco tempo fa la parola d’ordine era profit shifting, tradotto in italiano: spostare i redditi il più possibile fuori dalla portata del fisco, oggi la parola d’ordine è trasparenza. La sostanziale cancellazione del segreto bancario e il conseguente annientamento dei paradisi fiscali, lo strapotere dell’anagrafe tributaria, le nuove regole sull’autoriciclaggio, la possibilità di concordare con l’amministrazione fiscale percorsi sicuri per le operazioni fiscali e societarie anche più complesse con varie forme di interpello e di ruling, l’allargamento della legge 231 sulla responsabilità d’impresa alla materia fiscale, infine una più precisa definizione dell’abuso di diritto, hanno completamente mutato lo scenario nel quale si trovano a operare le imprese e i loro consulenti fiscali. Per le società di maggiori dimensioni si tratta di un dato ormai acquisito: non vale più la pena correre rischi difficili anche da calcolare per risparmiare qualche euro d’imposta. La trasparenza e la leale collaborazione pagano di più. Ma il cambio di prospettiva interessa ogni giorno di più anche le imprese di medie e piccole dimensioni. Idem per i consulenti: quelli che una volta vedevano crescere il loro prestigio grazie alle operazioni più complesse e spericolate, mirate alla minimizzazione del carico fiscale, sono ora gli stessi che con maggior convinzione spingono le aziende a un approccio collaborativo. La loro stessa reputazione professionale oggi non è più legata alla capacità di minimizzare il carico tributario, ma piuttosto alla riduzione del rischio, al dialogo con l’Agenzia delle entrate. Il mondo è cambiato. Ci si accorge sempre più spesso che un approccio improntato alla trasparenza, oltre a ridurre notevolmente il rischio di accertamenti e sanzioni, presenta ricadute positive: semplifica i rapporti con i soci presenti o futuri, facilita le operazioni di due diligence che dovessero rendersi necessarie, migliora la reputazione aziendale nei confronti di tutti gli stakeholders. Anche l’Ocse ha messo a punto una serie di meccanismi premiali o punitivi per coloro che si adeguano ai nuovi modelli di trasparenze o meno. Nel decreto legislativo sull’internazionalizzazione si sono offerte ulteriori certezze nell’ambito delle operazioni di riorganizzazione societaria. Si è disegnato un percorso che rende conveniente lo spostamento dalla pianificazione fiscale aggressiva verso una sempre maggiore lealtà nei rapporti con il sistema tributario.

In questo discorso possono rientrare anche misure recentemente varate come il patent box, cioè la detassazione parziale dei proventi delle opere dell’ingegno, finalizzata ovviamente a evitare che i redditi derivanti dallo sfruttamento di marchi, brevetti, design ecc. finiscano in paesi a bassa fiscalità. Infine i benefici concessi per incentivare il rientro dei cervelli in Italia. Per aggiungere un altro tassello a un orientamento che il legislatore sta portando avanti in modo convinto, il decreto sull’internazionalizzazione ha previsto che chi investe in Italia almeno 30 milioni di euro può concordare con l’Amministrazione finanziaria il corretto prelievo fiscale dei prossimi anni. Per un paese dove il livello di chiarezza delle norme fiscali è molto basso e quello di prevedibilità dell’azione di accertamento, lo è ancora di più, è un passo in avanti di non poco conto.

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