Riflettori puntati su una ‘società per azioni’. A destare sospetti, per il Fisco, è la “dichiarazione Iva per l’anno d’imposta 1999”. Consequenziale, a chiusura di un approfondimento ad hoc, la “rettifica” di quella dichiarazione.
Passaggio successivo è la notifica di un “avviso di accertamento, contenente irrogazione di sanzioni pecuniarie” nei confronti del “presidente”, all’epoca dei fatti, del “consiglio di amministrazione della società”.
Operazione illegittima, secondo i giudici tributari, quella compiuta dal Fisco. Ciò per una ragione semplicissima: è mancata la “prova di un comportamento colpevole direttamente addebitabile al presidente del consiglio di amministrazione, in un contesto societario di discrete dimensioni, con centoquattordici dipendenti ed un’articolata ripartizione di compiti”.
Tale visione, però, viene demolita dai giudici della Cassazione, i quali, invece, considerano corretto il ragionamento portato avanti dal Fisco.
In sostanza, “il presidente del consiglio di amministrazione di una società di capitali, anche al cospetto di una mera ripartizione interna di compiti”, come in questo caso, “risponde, presumendosene la colpevolezza, delle sanzioni amministrative derivanti da violazioni delle norme tributarie, in mancanza di prova, da parte sua, dell’assenza di colpa”.
A dare forza a questa prospettiva, secondo i giudici della Cassazione, diverse considerazioni: primo, “la centralità, in seno all’organizzazione sociale, del ruolo spettante agli amministratori, ai quali non è demandata soltanto l’esecuzione delle delibere dell’assemblea, ma anche la gestione dell’attività sociale”, e ciò comporta che “condotte come quelle” contestate in questa vicenda – “violazioni consistite nell’omessa regolarizzazione di acquisti senza fattura, nella mancata emissione di fatture relative ad operazioni imponibili compiute e nella conseguente omessa registrazione, nell’omessa indicazione dell’imposta in cinque fatture e nella loro omessa registrazione, nella dichiarazione con imposta inferiore a quella dovuta e nell’irregolare tenuta della contabilità Iva” –, condotte che peraltro “investono aspetti rilevanti di gestione”, sono “riferibili a tutti gli amministratori ed a ciascuno di essi”; secondo, “la mera ripartizione dei compiti”, ritenuta decisiva in Appello, “è del tutto irrilevante ad escludere o anche ad attenuare la riferibilità delle violazioni”, non essendo emerso “il ricorso a deleghe di funzioni al comitato esecutivo o ad uno o più amministratori”; terzo, “una divisione di fatto delle competenze tra gli amministratori, l’adozione, anch’essa di fatto, del metodo disgiuntivo nell’amministrazione, o, semplicemente, l’affidamento all’attività di altri componenti il collegio di amministrazione, non riescono ad escludere la responsabilità di alcuni amministratori per le violazioni commesse dagli altri”; quarto, “la condotta omissiva per affidamento a terzi, lungi dal comportare esclusione di responsabilità, può costituire, di contro, ammissione dell’inadempimento dell’obbligo di diligenza e vigilanza”.
Pare conquistare solidità, quindi, la visione tracciata dal Fisco, anche se ora toccherà ai giudici della Commissione tributaria regionale riesaminare la vicenda, tenendo presenti però le indicazioni fornite dalla Cassazione.