Giuseppe Catapano informa: Alleanza fra tributaristi

Si sono spenti i riflettori su un evento di grande importanza per l’Ancot – Associazione nazionale consulenti tributari, celebratosi venerdì 22 maggio presso l’auletta dei gruppi parlamentari di via Campo Marzio, a Roma. Il consesso ha visto la nascita della Federazione italiana di tributaristi, alla quale l’Ancot ha sempre creduto.

Infatti, da tempo aveva elaborato una proposta cercando di accomunare tutte le sigle dei tributaristi, ma senza ricevere l’adeguato riscontro.

Oggi la Federazione è una realtà, grazie all’adesione di due sigle quali la Lait e l’Ancit. I presidenti nazionali, Fausto Marra e Luigi Pessina, con Arvedo Marinelli dell’Ancot, hanno così sottoscritto l’importante documento che sarà la pietra miliare per dare un contributo professionale e tecnico,

mettendosi a disposizione del sistema paese, nell’interesse di tutti per un fisco moderno  e in linea con l’attuale periodo economico.

Sono allo studio parecchie istanze che saranno sviluppate in future iniziative con le istituzioni.

Nella mattinata è stato dibattuto l’argomento della previdenza dei professionisti senza albo nella Gestione separata Inps. Le proposte dell’Ancot a riguardo, tendono ad armonizzare le regole relative alla previdenza dei lavoratori autonomi con quelle di altri lavoratori. Fiumi di inchiostro sono stati scritti sullo scottante argomento.

Resta comunque da sottolineare una considerazione ed è quella di un vero e proprio salasso contributivo che nato nel 1996, oggi a circa vent’anni di distanza, ha elevato la quota contributiva al 27,22.

Al dibattito hanno partecipato Cesare Damiano e le Renata Polverini, rispettivamente presidente e vicepresidente della Commissione lavoro della Camera.

Entrambi hanno preso atto delle giuste istanze del mondo dei lavoratori autonomi, vere partite Iva esposte dal presidente Marinelli e hanno ribadito che non basta più affrontare ogni fi ne anno il blocco dell’aumento percentuale previsto dalla legge Fornero.

La commissione sta lavorando con armonia e spirito di collaborazione alla riforma della legge Fornero e tutti si augurano che riporti equità nella gestione separata, operando con buon senso nel settore delle pensioni, tornato alla ribalta dopo la sentenza della Suprema corte di cassazione di cui il governo ha dovuto prendere atto.

Il tema della mattinata, aveva anche un sottotitolo, «Prospettive e strategie di crescita»; ed è proprio in questo momento di crisi economica del paese che le nostre proposte devono trovare un confronto col governo. È indispensabile un cambiamento radicale del mercato

del lavoro per dare certezza alle generazioni future ed una semplificazione del fisco che dia maggiori certezze al mondo imprenditoriale sia nazionale che internazionale.

Proprio in queste prospettive la Federazione italiana dei tributaristi ha presentato una serie di proposte per la delega fiscale e sono state anche oggetto di audizione alla Commissione finanze e tesoro del Senato lo scorso 14 maggio.

Il presidente della Commissione, Mauro Maria Marino, i deputati Ignazio Abrignani e Giovanni Paglia, sentite le proposte della Federazione esposte da Celestino Bottoni, hanno ringraziato del prezioso apporto tecnico offerto, giudicando interessanti le varie proposte sulle quali si riscontra un’ampia convergenza.

Ha concluso i lavori la moderatrice, giornalista del TG1, Barbara Capponi dando la parola al segretario Saturno Sampalmieri che ha ricordato la figura di Dino Agostini a cui è stata recentemente intestata la Fondazione.

Hanno accolto calorosamente lo spirito della Federazione italiana tributaristi, il deputato Andrea Ronchi, la presidentessa del CoLAP Emiliana Alessandrucci, il dott. Gianfranco Vecchio, direttore

Generale del MiSe, e Mirco Mion, dei Geometri fiscalisti Agefis.

Catapano Giuseppe: Cadaveri bomba a Kobane, l’ultimo orrore dell’Is

Decapitati e poi imbottiti di esplosivo, per rappresentare una minaccia per i soccorritori, per chi ha avuto la meglio su di loro, per i civili che cercano il ritorno alla quotidianità. E’ il nuovo orrore perpetrato dallo Stato islamico (Is), questa volta a Kobane, la città siriana a maggioranza curda al confine con la Turchia che i jihadisti hanno abbandonato a gennaio in seguito all’avanzata dei combattenti delle Unità di protezione del popolo curdo (Ypg) e dei peshmerga, sostenuti dai raid aerei della coalizione internazionale a guida Usa.

Secondo quanto denuncia in un rapporto di Handicap International (HI), i corpi decapitati sono stati riempiti con 20 chilogrammi di cariche esplosive e più di 500 cuscinetti a sfera in acciaio, pronti a saltare in aria al primo contatto. E che rappresentano una sfida per gli esperti di sminamento incaricati di mettere in sicurezza la città in modo che gli abitanti possano rientrare al completo. Tra gennaio e l’inizio di maggio, 66 persone sono state uccise in 45 esplosioni a Kobane, secondo una ong che si occupa della sminamento. La stragrande maggioranza delle vittime era composta da civili.

Kobane, sulla quale l’Is a ottobre aveva issato la sua bandiera nera, è diventata un simbolo della resistenza contro l’avanzata dei jihadisti. Nei combattimenti è stato danneggiato o distrutto il 70 per cento della città, rimasta con una “densità e una varietà di residuati bellici” che non è “quasi mai” stata vista prima, denunci HI. Frederick Maio, che gestisce le operazioni di sminamento di HI a Kobane, spiega all’agenzia dell’Onu Irin che è difficile stimare quanti cadaveri bomba ci siano in quanto alcuni sono stati deliberatamente sepolti tra le macerie.

“Quello che dobbiamo fare e quello che la popolazione ha accettato è trattare ogni corpo come sospetto – ha detto -. Anche se non sono una trappola esplosiva, ci sono stati così tanti incidenti che ora vengono toccati molto raramente”. Quello da fare quanto prima, aggiunge, è privilegiare la rimozione delle mine nelle zone residenziali, per permettere alla popolazione di riprendere le proprie attività.

Catapano Giuseppe osserva: P.O.I. Energia 2015 Comuni: finanziamenti a fondo perduto per l’efficienza energetica di edifici pubblici

E’ stato pubblicato il bando rivolto ai Comuni per la Sostenibilità e l’Efficienza Energetica 2015 (P.O.I. Energia 2015) che permetterà alle amministrazioni comunali delle Regioni Convergenza (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia) di accedere a finanziamenti a fondo perduto per realizzare progetti di efficientamento e produzione di energia da fonti rinnovabili in edifici pubblici.
La misura è stata dotata di risorse per € 50.000.000.

Possono presentare istanza di contributo tutte le Amministrazioni comunali delle Regioni Convergenza che intendano realizzare interventi su edifici:

di proprietà dell’amministrazione comunale istante e che siano nella disponibilità esclusiva della stessa;
di proprietà del Demanio dello Stato o di altra Amministrazione pubblica e che siano nella disponibilità esclusiva dell’amministrazione comunale richiedente in virtù di un titolo che ne legittimi la detenzione (es. comodato, locazione, affitto) o il possesso (es. usufrutto, uso, superficie).
Il finanziamento è concesso nella forma del contributo a fondo perduto a copertura del 100% delle spese ammissibili. Il contributo richiesto deve essere pari almeno ad € 40.000. In ogni caso il contributo complessivamente concedibile non può essere superiore a € 207.000.

Ciascun intervento da realizzare mediante l’acquisto di uno o più prodotti POI, deve essere oggetto di una singola istanza di concessione di contributo e riguardare un solo edificio o, in alternativa, un solo complesso immobiliare.

I prodotti P.O.I.

impianti fotovoltaici e servizi termici connessi in rete;
impianti solari termici per uffici ovvero per scuole con annesse attività sportive;
impianti a pompa di calore per la climatizzazione;
interventi di relamping.
A partire dal 28 maggio 2015 le Amministrazioni comunali abilitate al Me.P.A. ( mercato elettronico per l’acquisto di beni e servizi da parte delle Pubbliche Amministrazioni) possono attivare le procedure per acquistare gli specifici prodotti “POI – Energia C.S.E. 2015″.
Dopo l’aggiudicazione provvisoria, i Comuni presentano apposita istanza di concessione del contributo fino al 100% dei costi ammissibili. L’istanza può essere presentata a partire dal 14 luglio 2015 e fino il 12 settembre 2015.

Catapano Giuseppe informa: Ristretto, al vetro o marocchino: il caffè non fa male ma meglio fermarsi a 4

Un consumo giornaliero fino a 400 mg di caffeina non è dannoso per la salute in popolazioni sane. In pratica, non più di 4 tazzine di espresso al giorno. A consigliarlo è l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), che ha pubblicato un parere scientifico sulla sicurezza della caffeina. La Commissione europea aveva chiesto all’Efsa di eseguire questa valutazione dopo che alcuni Stati membri avevano espresso preoccupazione sugli effetti nocivi sulla salute associati al consumo di caffeina, in particolare malattie cardiovascolari, disturbi del sistema nervoso centrale (ad esempio sonno interrotto e ansia) e possibili rischi per la salute fetale durante la gravidanza.

Il Consorzio promozione caffè accoglie con favore il parere di Efsa, “che ritiene un’assunzione moderata, pari a 400 mg di caffeina al giorno (circa 4-5 tazzine di caffè), come sicura nella popolazione adulta, parte di una dieta sana ed equilibrata e di uno stile di vita attivo”. “Il parere di Efsa – commenta il presidente del Consorzio, Patrick Hoffer – conferma la posizione da noi sempre sostenuta: un’assunzione moderata di caffeina non ha alcuna controindicazione per la maggioranza degli adulti in salute. E’ importante chiarire bene come tale parere non metta in discussione la sicurezza del caffè”. “Inoltre – aggiunge – numerosi studi indicano gli effetti positivi di un moderato consumo di caffè: effetti positivi sulla memoria e sulla concentrazione, una forte azione preventiva e protettiva nei confronti del diabete di tipo 2 e della malattia di Parkinson, una riduzione dei rischi di morte cardiovascolare”.

A proposito dei rischi cardiovascolari, Andrea Poli, Presidente di Nutrition Foundation of Italy, ricorda che “una recente metanalisi, che ha combinato tutti gli studi sull’argomento pubblicati in letteratura tra il 1966 e il 2013, mette in luce una correlazione significativa tra il consumo di caffè e la riduzione di mortalità legata a qualunque causa, in particolare al sistema cardiovascolare. I consumatori di caffè, in questa metanalisi che ha valutato con attenzione le relazioni dose-risposta, hanno presentato un rischio di morte per cause cardiovascolari ridotto del 10-20% per tutti i livelli di consumo rilevati (fino ad 8 tazze/al giorno)”.

Dall’Efsa emergono particolari raccomandazioni per bambini (3-10 anni), adolescenti (10-18 anni) e donne incinte. Elio Acquas, docente di Farmacologia e Tossicologia all’Università di Cagliari, sottolinea: “Se nella dieta di un adulto il caffè rappresenta la principale fonte di assunzione di caffeina, questo normalmente non si verifica nei bambini e negli adolescenti, nei quali il caffè costituisce una fonte trascurabile e il piacere legato al consumo di caffè matura solamente a un’età successiva. Inoltre nelle donne in gravidanza, che metabolizzano la caffeina più lentamente, le raccomandazioni di Efsa considerano sicura per il feto un’assunzione di caffeina fino a 200 mg. Infatti, numerosi studi dimostrano che un consumo moderato di caffè non ha effetti negativi né sulla salute del nascituro né su quella della gestante”.

Catapano Giuseppe comunica: Rateizzazione delle plusvalenze e delle sopravvenienze attive – Segnalazione possibili anomalie

Determinazione del reddito di impresa: dal Fisco un alert su possibili anomalie in merito alla rateizzazione delle plusvalenze e delle sopravvenienze attive. Dati condivisi per “regolarizzare” con il nuovo ravvedimento

L’articolo 1, comma 636, della legge 23 dicembre 2014 n. 190 prevede che con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate siano individuate le modalità con le quali gli elementi e le informazioni, di cui ai commi 634 e 635 del medesimo articolo, sono messi a disposizione del contribuente e della Guardia di Finanza. Si tratta di elementi e informazioni in possesso dell’Agenzia delle Entrate riferibili al contribuente, acquisiti direttamente o pervenuti da terzi, relativi anche ai ricavi o compensi, ai redditi, al volume d’affari e al valore della produzione, alle agevolazioni, deduzioni o detrazioni, nonché ai crediti d’imposta, anche qualora gli stessi non risultino spettanti. In attuazione delle citate disposizioni con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 25 maggio 2015, Prot. 2015/71472 sono state dettate le disposizioni concernenti le modalità con le quali sono messe a disposizione del contribuente e della Guardia di Finanza, anche mediante l’utilizzo di strumenti informatici, informazioni riguardanti la non corretta indicazione delle quote costanti delle plusvalenze e/o sopravvenienze attive per le quali i contribuenti hanno optato, derogando al regime naturale di tassazione integrale nell’anno di realizzo ai sensi degli articoli 86 e 88 del TUIR, per la rateizzazione fino ad un massimo di cinque esercizi. Gli elementi e le informazioni (riportate al punto 1.2 nel provvedimento) forniscono al contribuente dati utili al fine di porre rimedio agli eventuali errori od omissioni, mediante l’istituto del ravvedimento operoso.

In particolare, nelle comunicazioni sono riportate le seguenti informazioni:
· numero identificativo della comunicazione;
· modello di dichiarazione presentato relativo all’anno di realizzazione della plusvalenza o sopravvenienza;
· protocollo identificativo e data di invio della dichiarazione;
· ammontare complessivo della plusvalenza o sopravvenienza attiva realizzata, per la quale si è optato per la rateazione;
· numero di rate scelte e ammontare della quota costante;
· dati relativi alla dichiarazione per il periodo d’imposta 2011, nella quale la quota di competenza risulta parzialmente o totalmente omessa;
· ammontare della quota di competenza parzialmente o totalmente omessa.

Si ricorda. a tal proposito che istituto del ravvedimento è stato, profondamente rinnovato dall’articolo 1, comma 637, della legge 23 dicembre 2014 n. 190, al fine di garantire al contribuente la possibilità di effettuare le opportune correzioni ed i connessi versamenti delle somme dovute, usufruendo della riduzione delle sanzioni applicabili, graduata in ragione della tempestività dell’intervento correttivo. Tale comportamento potrà essere posto in essere a prescindere dalla circostanza che la violazione sia già stata constatata ovvero che siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di controllo, delle quali i soggetti interessati abbiano avuto formale conoscenza, salvo la formale notifica di un atto di liquidazione, di irrogazione delle sanzioni o, in generale, di accertamento e il ricevimento delle comunicazioni di irregolarità di cui agli articoli 36-bis del D.P.R. 600/1973 e 54-bis del D.P.R. 633/1972 e degli esiti del controllo formale di cui all’articolo 36-ter del D.P.R. 600/1973. Nel provvedimento sono state altresì indicate le modalità con le quali i contribuenti possono richiedere informazioni o comunicare all’Agenzia delle entrate eventuali elementi, fatti e circostanze dalla stessa non conosciuti.

Catapano Giuseppe osserva: SE LA CARTELLA PRESUPPOSTA AL PIGNORAMENTO E’ STATA NOTIFICATA ALLORA LA COMPETENZA E’ DEL GIUDICE ORDINARIO

Un’altra diatriba che riguarda la diversa interpretazione della competenza sull’impugnazione. L’atto di pignoramento è sicuramente di competenza del giudice ordinario in veste di giudice delle esecuzioni ma non sempre. Molte sentenze della suprema corte, ma anche dei giudici di merito, riferiscono che se la notifica degli atti prodromici al pignoramento sono difettosi e non raggiungono lo scopo allora la competenza è del giudice tributario ove si tratti di tributi. Ma in questo caso il puns dolens è proprio quello della regolare notifica delle cartelle esattoriali ed ancora prima degli avvisi di accertamento. Sia i giudici di primo che di secondo grado avevano sentenziato che tutti gli atti presupposti erano stati regolarmente notificati, per cui, anche per il supremo giudice non vi era dubbio sulla giurisdizione ordinaria della questione. La nomofiliachia evidenziata riguarda l’interpretazione dell’art.2 del d.lgs 546 del 1992 in tema di contenzioso tributario, dove è delineato appunto l’ambito di applicazione delle liti fiscali. Non essendoci dubbi la Cassazione rimanda al giudice delle esecuzioni la decisione della questione.

Catapano Giuseppe: CONTENZIOSO COL FISCO: DIFESA DEL CONTRIBUENTE POGGIATA SUL RICHIAMO A PROPRI ERRORI. INAPPLICABILE IL TERMINE ANNUALE PREVISTO PER LA DICHIARAZIONE ‘INTEGRATIVA’

Contestazioni della società nei confronti del Fisco per la “cartella di pagamento” in materia di Irpef, fondata sulla “dichiarazione” da essa presentata. Ciò nonostante, è illogico parlare di “dichiarazione integrativa”, e di conseguenza, come fatto invece dall’Agenzia delle Entrate, sostenere l’applicabilità del relativo “termine annuale”.
Confermata, perciò, la vittoria della società, il cui operato in sede di contenzioso è pienamente legittimo, e azzerata la “cartella di pagamento”.
Per i giudici della Cassazione, difatti, è un riferimento certo “l’emendabilità, in via generale, di qualsiasi errore, di fatto o di diritto, contenuto in una dichiarazione resa dal contribuente all’amministrazione fiscale, anche se non direttamente rilevabile dalla stessa dichiarazione”. Allo stesso tempo, però, “il termine annuale previsto per la presentazione della dichiarazione integrativa” non può esplicare “alcun effetto sul procedimento contenzioso instaurato dal contribuente per contestare la pretesa tributaria”, anche se “fondato su elementi o dichiarazioni forniti dal contribuente”. È evidente, difatti, “il diverso piano sul quale operano le norme in materia di accertamento e riscossione, rispetto a quelle che governano il processo tributario”, e conseguente è “l’inapplicabilità” in sede di contenzioso “di decadenze relative alla sola fase amministrativa”.
Più in particolare, i giudici sottolineano che “laddove ci si opponga ad un atto impositivo emesso sulla base di dati forniti dal contribuente, non si verte in tema di dichiarazione integrativa, bensì in ordine alla fondatezza della pretesa tributaria, alla luce degli elementi addotti dalle parti, nel rispetto dei relativi oneri probatori”. Di conseguenza, “va riconosciuta la possibilità per il contribuente, in sede contenziosa, di opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella sua redazione ed incidenti sull’obbligazione tributaria, indipendentemente dal termine annuale” previsto per la presentazione della “dichiarazione integrativa”.
Corretta, quindi, la linea d’azione – rivelatasi fruttuosa – seguita dalla società in sede di contenzioso. Per questo motivo, è definitivo l’azzeramento della “cartella di pagamento”.

Giuseppe Catapano osserva: REVOCATO IL FALLIMENTO DELLA SOCIETÀ, LEGITTIMA COMUNQUE LA NOTIFICA DEGLI AVVISI DI ACCERTAMENTO AL CURATORE

“Avvisi di accertamento” notificati al “solo curatore”, eppure è stata revocata “la sentenza che aveva sottoposto la società a fallimento”. Ciò spinge i giudici tributari a ritenere nulla la “cartella” consegnata alla società.
Tale visione, però, viene demolita dai giudici della Cassazione, i quali evidenziano che “alla data in cui venne effettuata la notificazione degli avvisi di accertamento a mano del curatore era ancora pendente il giudizio di appello avverso la sentenza che aveva revocato il fallimento della società, con la conseguenza della piena validità della notificazione effettuata, correttamente, all’organo a ciò deputato in costanza di fallimento”. Ciò assume un valore decisivo, soprattutto tenendo presente che “la revoca della sentenza dichiarativa di fallimento diviene esecutiva, con conseguente ritorno in bonis del soggetto sottoposto a procedura concorsuale, solo in seguito al passaggio in giudicato della sentenza che tale revoca abbia disposto”.
Peraltro, viene aggiunto, “anche ritenendo che la notificazione dell’atto impositivo debba essere effettuata anche al fallito personalmente, l’inosservanza di tale adempimento non rende nulla la cartella, già notificata al curatore, ma produce il solo effetto di impedire che l’avviso di accertamento divenga definitivo nei confronti del soggetto fallito, ammettendosi che, in tal caso, quest’ultimo, nell’inerzia del curatore, possa direttamente impugnarlo con termine decorrente dalla data in cui ne ha avuto effettiva conoscenza”, e in questa vicenda, “come evincibile dal contenuto del ricorso introduttivo”, la società si è limitata a “denunziare la mancata notificazione degli avvisi di accertamento, senza sollevare alcuna censura alla pretesa impositiva sottesa agli atti impositivi”.
Tutto ciò permette ai giudici della Cassazione di chiudere ab origine la battaglia giudiziaria, sancendo la piena legittimità della “notificazione degli avvisi” e, quindi, della “cartella” nei confronti della società.

Catapano Giuseppe informa: Si scrive Repubblica democratica, si legge paradosso matematico

«Bevi Democrazia, la bibita gassata al gusto di libertà di espressione». «Democrazia, contro il monarca impossibile, senza pre-trattare».«Uso Democrazia. Perché? Non so perché!».

Quando si sente parlare di democrazia, ormai l’impressione è che si stia facendo un operazione di marketing. Non a caso di parla di “spot” elettorali.

«Vota e fai votare Antonio La Trippa»: non è poi cambiato molto da allora.

Chi crede veramente nella democrazia, non può che essere sconfortato da come essa funzioni.

Lo si è già scritto (e qualcuno nella storia lo ha già detto) che la democrazia è la peggior forma di governo, ma la migliore fra quelle che sinora abbiamo trovato.

Un’idea un po’ controcorrente, potrebbe essere invece quella di vedere la storia come un qualcosa di dinamico, ma circolare. Alla Giovan Battista Vico insomma. Ogni periodo storico necessiterebbe così di una sua forma di governo, che emergerebbe naturalmente nel dato periodo, come sua connaturata espressione. A qualcuno serviva il Re, a qualcuno il Comune, a qualcun altro il Partito.

A noi dunque è toccata la democrazia, coi suoi pregi e suoi difetti.

Ma cos’è la “democrazia”?

È “comando del popolo”, come suggerisce l’etimo? È il governo della maggioranza? È il diritto di esprimere sempre e comunque la propria opinione? È un sistema di governo che rappresenta il maggior numero di elettori? Già iniziano i problemi, perché sposando l’una o l’altra interpretazione – e tutte sono valide – cambiano gli effetti. E se si combinano due o più definizioni, si possono avere dei conflitti fra principi.

Complichiamo un po’ le cose: la democrazia poi, può essere diretta o rappresentativa. Oggi la democrazia rappresentativa va molto di moda e si è usi riempirsi la bocca del termine, abusarne, citarlo a sproposito.

Viene apologizzata la democrazia ateniese dell’antica Grecia, ma ci si dimentica di indicare alcuni dati. Nella città stato, l’apice di quella che oggi indichiamo come democrazia ateniese, si ha sotto Pericle. In questo periodo, solo i maschi, adulti, con cittadinanza e che avessero prestato il servizio militare, godevano del diritto di voto. In tutta l’Attica si stima fossero circa 30.000 (ossia un attuale paesino di campagna). In città come Atene, dunque, stiamo parlando solo del 10/20% della popolazione. In sostanza aveva diritto al voto qualche manciata di centinaia di persone.

Ed era una democrazia diretta. ..si potrebbe dire “il bello della diretta”!

La democrazia diretta funziona. Funziona abbastanza bene, ma deve fare i conti con la matematica. Con i grossi numeri (e i grossi territori) diventa difficilmente esercitabile.

La democrazia rappresentativa “funziona” un po’ peggio. Anch’essa funziona meglio in piccoli territori e con popolazioni ridotte nel numero.

Per entrambe poi, maggiore è l’educazione civica della popolazione, migliori saranno i risultati (quindi iniziamo a guardarci attorno e a farci qualche domanda…). Entrambe dunque si scontrano con la matematica. La democrazia rappresentativa addirittura, combatte con essa sul terreno dei paradossi.

Un certo premio nobel Kenneth Arrow, notò già qualche anno fa che i due concetti non andavano d’accordo e sviluppò una teoria economica-sociale detta dell’”Impossibilità”. Egli valutò che “democrazia” significasse un’insieme di requisiti da soddisfare, quali rappresentatività, universalità, stabilità di governo, efficacia ecc. . Notò che i requisiti non potevano essere soddisfatti tutti simultaneamente. Mai citato dai costituzionalisti e dai politici (ma capiamoli: in effetti non fa molto gioco dire che in realtà il nostro apologizzato sistema di governo non funziona!).

La cosa si spiega meglio con il “paradosso di Condorcet”, il quale cerca di individuare la scelta collettiva più coerente con le singole scelte individuali. In un sistema nel quale A è preferito a B e B è preferito a C, A dovrebbe essere preferito a C. Ma nella realtà ciò non sempre avviene. Si potrebbe per esempio avere la situazione in cui A abbia il 40% dei voti, B il 35% e C il 25%: A verrebbe eletto nonostante non rappresenti la maggioranza. In un sistema a ballottaggio poi, B potrebbe vincere su A ottenendo il 50% + 1 dei voti. Voti però, che si calcolano sul totale dei votanti (l’affluenza), non degli aventi diritto.

Ulteriore differenziazione nella democrazia rappresentativa è il sistema maggioritario e quello proporzionale. Entrambi, in qualche misura, non soddisfano la matematica e quindi la reale coerenza con le scelte individuali dei singoli elettori. Così ad esempio, nel 2000 Bush vinse su Gore col sistema maggioritario, nonostante quest’ultimo avesse ottenuto 500.000 voti in più. D’altra parte il sistema proporzionale, che meglio garantirebbe questa coerenza, all’opposto non garantisce la governabilità. Anzi, la sfavorisce.

Poi ancora c’è il sistema delle preferenze o delle tanto vituperate nomine. E qui iniziamo a guardare sotto il nostro zerbino.

Proviamo a scostare un attimo il velo. Se il primo sistema – che viene esaltato come garanzia di democraticità – fu sostituito, ci sarà pure un motivo. Nessuno forse si vuole ricordare della compravendita dei voti, dei voti di scambio o di cosa avveniva nelle chiese negli anni ’70, dove il parroco durante l’omelia “suggeriva” di votare un partito che fosse “democratico e cristiano”, mentre i partiti facevano a gara (e si accampavano davanti agli uffici elettorali) per ottenere la registrazione del simbolo in alto a sinistra (o in basso a destra) sulla scheda elettorale. Così si potevano indottrinare gli elettori molto più facilmente.

In certe zone d’Italia, ancora oggi, ogni voto ha un determinato prezzo. Può andare da 20 a 50 €. Oppure può consistere nel lavoro per un parente, nel condono, nella concessione ad edificare o in tante, tante altre cose.

A dispetto del «Nel segreto dell’urna Dio ti vede, Stalin no», le preferenze sono controllabili con una buona approssimazione, soprattutto nei seggi piccoli.

Da un lato, si possono ottenere voti in più con la “benemerenza” del Presidente di Seggio nell’interpretazione delle “chiare intenzioni di voto” e delle schede “nulle”. Dall’altro andando proprio a contare i dati del seggio alla fine dell’elezione. Se Impastato Peppino ti ha promesso il voto suo e del parentado – diciamo 12 voti – e tu, Antonio La Trippa, sai che nel suo seggio hai chiesto voti solo a lui, potrai controllare se ti ha effettivamente votato e fatto votare.

Poi, per esempio, ci sono accordi di partito, per cui un partito deve ottenere un tot di seggi al Parlamento: ma le votazioni hanno premiato un altro partito in quel collegio. Che fare? Niente paura, l’eletto non accetterà la carica (e avrà un’altra poltrona in cambio, magari in qualche consiglio di amministrazione) e il primo dei non eletti, ossia il nostro uomo, otterrà l’agognato seggio. Se poi il nostro uomo non è il primo, a catena gli altri si dimetteranno. E gli equilibri di potere saranno preservati. Non è fantascienza: capitava veramente (e forse capita ancora).

Poi possiamo sempre candidare il nostro uomo – natio di Bolzano – a Cosenza, perché quello è un seggio “sicuro” per il nostro partito.

Non ci stupiamo. La Repubblica italiana (che non è mai stata ufficialmente dichiarata) si fonda su presunti brogli elettorali e sul sicuro fatto che centinaia di migliaia di schede nulle non furono mai riconteggiate (come chiesto con ricorsi ufficiali in Cassazione) e qualche milione di votanti (quelli delle zone metropolitane delle Colonie) furono esclusi dal voto.

Rincuorante.

Così, la nomina, vorrebbe (ma rimane meramente nell’ottativo) evitare tutte queste fattispecie. Se l’uomo giusto, preparato, competente, tecnico, capace, fosse però poco eleggibile, ad esempio perché antipatico, o senza carisma o non in grado di comunicare efficacemente al corpo elettorale, il sistema a nomine potrebbe garantire che le sue capacità servano comunque la causa del bene comune. Già, in teoria. Perché la pratica della nomina ci è tristemente nota.

Quindi cosa fare?

Il problema rimane. Ma forse sarebbe saggio affrontarlo dall’altro capo. Gli elettori. Rivoltiamo il calzino allora.

Gli elettori hanno diritto – e ormai non più dovere – al voto. Sono elettori tutti i cittadini che abbiano compiuto gli anni 18 e godano dei diritti politici.

In base a cosa esercitano il loro diritto di voto?

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E qui sta la magagna. Ossia questo è fulcro della questione: l’educazione. Civica ovviamente, ma già quella sociale sarebbe una buona base di partenza. Un pizzico di cultura – nel senso conoscitivo del termine – poi non guasterebbe. E, ben più utopica, se ci fosse un pochettino di consapevolezza saremmo a cavallo.

Ma c’è anche quella vecchia storia dell’eguaglianza a mettere i bastoni tra le ruote: l’art. 3 Cost. recita più o meno che tutti i cittadini (i cittadini!) sono eguali (non uguali!) davanti alla legge. Il notevole sforzo ermeneutico fatto dalla Consulta in decenni di Repubblica, ha estrapolato il principio secondo cui «La legge deve regolare in maniera uguale situazioni uguali ed in maniera diversa situazioni diverse».

Wow!

Che dire?!

Quale illuminazione.

Ma traducendo, significa che considerando in maniera diversa (cambiando i nomi a) fattispecie ritenute uguali, si posso ribaltare i risultati.

Cosa molto utile quando si è chiamati a giudicare.

Una delle cose più banali nell’universo è l’unicità. La diversità né è la conseguenza. La diversità del singolo, si sposa poi con l’uguaglianza dell’insieme, grazie alla somiglianza. Questa è la base delle categorizzazioni. Così gli alberi sono tutti uguali (hanno le stesse caratteristiche), eppure fra di essi ci sono diverse varietà, classi e specie. Ogni albero di ciascuna di esse ha le stesse caratteristiche degli altri alberi, ma è comunque diverso da tutti questi. E così via all’infinito.

E quindi gli elettori sono tutti uguali. Però ci sono quelli consapevoli e quelli no, quelli influenzabili e quelli no. Ci sono anche gli evasori fiscali e cittadini onesti, gli informati e i menefreghisti, coloro che conoscono il funzionamento delle leggi e coloro che non hanno la minima idea di come funzioni lo Stato e si limitano a mettere una X ogni 5 anni. Se va bene.

Ci sono gli stupidi (non nel senso di ignoranti, ma di deficienti: che “deficiunt”, ossia mancano) e gli intelligenti. Ci sono gli ignoranti (che ignorano) e i dotti (che non è sinonimo di intelligenza).

Ed ognuno ha lo stesso diritto di voto. Il voto di ognuno vale quanto quello dell’altro.

Giusto? Forse sì, ma forse anche no.

E quindi forse si potrebbe anche pensare che il voto, come ogni diritto, andrebbe guadagnato e mantenuto. Così magari – ma è solo un’ipotesi – se ci liberassimo del dogma del “una testa un voto”, magari la democrazia, anche quella rappresentativa, funzionerebbe meglio.

Bisognerebbe però studiare attentamente un sistema predeterminato di “accesso proporzionale” al voto completo. Un voto suddiviso in decimi per esempio. Dove un decimo può essere la cittadinanza, un decimo il pagare le tasse, un decimo il servizio militare o civile (o genericamente alla collettività se suona meglio ai benpensanti), aver compiuto un tot di anni un altro decimo e così via. Il vero problema sarebbe solo di contare i voti, garantendo l’anonimato. Ma con un po’ di fantasia e organizzazione, sarebbe facilmente suprabile.

Gli anni. Altro fattore non trascurabile che influenza il voto. Nel 1975 ad esempio, quando l’età per votare fu portata da 21 a 18, le motivazioni che spinsero i governanti a compiere quella scelta non furono poi così nobili. I ragazzi, si sa, sono ribelli. E se sono ribelli voteranno in una certa direzione. Per la maggior parte almeno.

Eppure recenti studi neuroscientifici dimostrano che la maturità encefalica (ossia il pieno sviluppo delle capacità cognitive) si ha attorno ai 25 anni.

Avevano dunque ragione i nostri avi che potevano votare solo a 25 anni (ciò dal 1861 fino al 1912)?

A prescindere dai decimi o dagli interi, comunque, sta di fatto che il voto funzionerebbe meglio se fosse vissuto (e regolamentato) anche come un dovere, oltre che un diritto. E se diventa un dovere, si combatte l’astensionismo. Dopo tutto la scuola primaria è detta dell’”obbligo” proprio perché i governanti hanno dovuto “obbligare” la popolazione ad istruirsi.

E l’istruzione è l’altro fuoco del nostro ellisse. Il cittadino ha diritto di essere elettore solo in quanto cittadino. Giusto?!

Per diventare medico, bisogna aver studiato, aver superato un esame e aver fatto una determinata pratica. Perché curare le persone è un servizio importantissimo per la comunità e bisogna possedere il giusto grado di istruzione per poterlo fare in maniera corretta. Così vale per gli avvocati, per i commercialisti, ma anche per i meccanici e per gli agricoltori. Ogni contesto necessita della necessaria istruzione.

Istruzione civica, giuridica e politica, che noi elettori italiani non abbiamo. Ma eleggere chi ci governerà non è altrettanto – se non più – importante per la collettività?!

Facciamo un esempio semplice. Giusto per capire. Per poter guidare bisogna superare un esame teorico ed un pratico. Perché bisogna garantire di conoscere le regole che governano la circolazione stradale, bisogna dimostrare di conoscere come funziona un motore e di essere in grado di guidare consapevolmente nel traffico.

E allora, se il voto è la pietra angolare su cui si poggia la nostra democrazia rappresentativa, perché noi elettori non siamo a chiamati a dover conoscere il funzionamento istituzionale dello Stato. Quanti fra coloro che possiamo ammirare nei provini del “Grande Fratello” – così, tanto per sparare sulla Croce Rossa – sanno, anche in maniera elementare, come si forma una legge in Italia?

Eppure votano. Loro votano. L’uomo dei provini (amabilmente commentato dalla Gialappas Band) che alla domanda: «È la Terra che gira attorno al Sole o è il Sole che gira attorno alla Terra?» si è fermato a pensare ed ha risposto: «È il Sole che gira dentro alla terra!»: vota. E il suo voto vale quanto il tuo. E il caro Antonio La Trippa lo sa.

E se gli elettori dovrebbero essere istruiti, allo stesso modo lo dovrebbero esserlo gli eletti. E quindi si potrebbe loro richiedere di sostenere un esame preventivo per l’eleggibilità, che garantisca alla comunità che essi sappiano cosa stanno andando a fare.

Ma subito dopo “una testa, un voto” c’è “una testa, un’idea” …e si sa, troppe idee fanno male. Meglio evitare troppa gente che pensa con la sua testa.

Tanto alla fine ci scandalizziamo all’incontrario: guai a toccare la democrazia, guai a toccare l’u-guaglianza.

Quindi:

VotaAntoniovotAntoniovotaAntonio. E tutto andrà per il verso giusto. È una promessa: fidati.

Giuseppe Catapano scrive: Gli Usa restituiscono all’Italia 25 capolavori

Venticinque capolavori dell’arte italica, per lo più di epoca greco-romana, sono stati restituiti all’Italia dagli Stati Uniti stamattina, al termine di una indagine del carabinieri del nucleo tutela culturale. Stamattina, presso la caserma La Marmora, è avvenuta la restituzione materiale in via definitiva alla presenza del ministro Dario Franceschini e dell’Ambasciatore degli Stati Uniti d’America, John R. Phillips. Tutti i beni erano stati sequestrati e confiscati nel corso di complesse attività investigative condotte dai militari in stretta collaborazione con l’Homeland Security Investigations – Immigration and Customs Enforcement (ICE), poiché giunti illegalmente negli Usa.

Questo l’elenco dei beni restituiti: una Kalpis etrusca a figure nere con scene di delfini, databile 510-500 a.C., del pittore di Micali. Ne corso del procedimento penale della Procura di Roma a carico di Giacomo Medici, era emerso che la kalpis, di proprietà del Toledo Museum of Art (Ohio, USA), era riconducibile alle attività illecite del noto trafficante italiano. Il bene, una volta restituito e prima di essere formalmente rimpatriato, è stato in esposizione al Consolato Generale d’Italia in New York nell’ambito della programmazione dell’Anno della Cultura Italiana negli Usa.

Ancora, un cratere attico a figure rosse, del pittore di Methyse, 460-450 a.C., anch’esso parte dei beni trafficati da Giacomo Medici che aveva venduto il cratere nel 1983 al Minneapolis Institute of Arts. L’allora direttore e presidente del MIA, avendo appreso dalla stampa dell’esistenza di indagini su un cratere in collezione nella sua istituzione museale, attraverso una missiva inviata al Ministro dei Beni e delle Attività Culturali, promosse la ratifica di un accordo per la restituzione del bene, se fosse stata provata la sua provenienza illecita.
Tra i beni restituiti figurano anche un pelike apula a figure rosse, 340 – 320 a.C, una coppia di oinochoai apuli trilobati in stile Gnathia, 330-300 a.C., uno stamnos apulo peuceta, VI secolo a.C., altezza cm. 23,2, tutti individuati dalla sezione elaborazione dati del comando CC TPC e in vendita all’asta Christie’s New York del 7.12.2011, tra quelle presenti nel cosiddetto Archivio Becchina. Ulteriori accertamenti investigativi hanno consentito di accertare che tutti i beni erano riconducibili a scavi clandestini avvenuti negli anni 70-80 in Puglia.

Ancora, un affresco a forma di medaglione raffigurante un busto di giovane donna con un amorino sulle spalle, I sec. A.C., un affresco raffigurante una figura maschile, I sec. A.C., un affresco raffigurante una figura femminile con lungo mantello rosso e regge con la mano destra una piccola Oinochoe, , I sec.
a.C., cm. 72×60 oppure 50×35, tutti facenti parte di una collezione privata di un magnate statunitense, in procinto di essere posta in vendita all’asta. Un esame sommario dei beni ha fatto subito ipotizzare che alcuni di essi potessero essere di provenienza illegale dall’Italia. Grazie alla collaborazione dell’ICE, che ha inviato tutte le effigi fotografiche dei reperti al Comando CC TPC, la SED ha identificato i tre affreschi quale parziale provento del furto avvenuto il 26 giugno 1957 presso l’ufficio Scavi della Soprintendenza Archeologica di Pompei (Napoli). Nel corso del furto del 1957, furono asportati complessivamente sei affreschi. Nel corso degli anni, oltre i tre appena rimpatriati, il CC TPC ha recuperato tutti i beni asportati.

Si prosegue con un cratere lucano a campana, a figure rosse, attribuibile al pittore di Amykos, 440-410 a.C.., anch’esso tra i beni raffigurati nell’ Archivio Becchina. L’ICE NY ha proceduto quindi alla confisca amministrativa e alla restituzione definitiva al Comando CC TPC che ne aveva rivendicata l’appartenenza al patrimonio culturale italiano.

Ancora un askos a forma di cane, IV-II sec. A.C., una cuspide di sarcofago pestano, raffigurante Auleta, IV-III secolo a.C. di proprietà di una società del Liechtenstein, in importazione negli USA e proveniente dalla Svizzera, e destinata ad un noto collezionista americano. La relazione tecnica ha accertato che la cuspide era autentica e riconducibile all’area archeologica di Paestum.

Un coperchio di sarcofago in marmo stilizzato, raffigurante donna sdraiata, epoca romana, risalente al II secolo d.C..
Recentemente, l’ICE New York aveva inviato al reparto operativo TPC, le foto del bene in vendita a 4,5 milioni di dollari presso una galleria di New York. Il proprietario efra un collezionista giapponese, già noto al PC per aver restituito all’Italia migliaia di reperti sequestrati poiché riconducibili ad acquisti da Becchina. Nel 2014, il collezionista nipponico ha concordato con la Procura Distrettuale di New York, di rinunciare al diritto di proprietà sul bene, acconsentendo alla confisca a favore dell’ICE ed alla successiva restituzione a favore dell’Italia.

Ancora, un bronzetto romano raffigurante “Marte” II sec. d.C..
Individuato su un catalogo d’asta Christie’s New York , dove era stato posto in vendita con provenienza indicata in collezione privata anni ’80 ma in realtà venduto nel 1991 alla Merrin Galleries di New York.

Sequestrati anche un cannone a retrocarica in ferro, XVII secolo, riconducibile alla città di Venezia,un cammeo di tipologia antica con iscrizione riferibile alle cosiddette gemme gnostiche o a carattere scaramantico e un frammento di ceramica, con raffigurazione di una figura mitologica, tipo Minerva, con armatura ed elmo.

Tornano in Italia anche una oinochoe configurata a testa maschile, riferibile al V- IV sec. a.C. riproducente una Nubia, una testa votiva in terracotta raffigurante un volto maschile, III secolo a.C., un cratere attico a campana, a figure rosse, V sec. A.C. e uno skyphos attico a figure rosse, pittore di Penelope, V sec. a.C.

Tra i libri, rientrano in italia l’Historia natural di Ferrante Imperato Napolitano”, lo Stirpium Historiae e il Rariorm Plantarum Historia Anno 1601 Book, tutti sottratti da Massimo Marino De Caro, che ha ammesso tutto nell’ambito delle indagini afferenti alla spoliazione della Biblioteca annessa al Monumento Nazionale dei Girolamini di Napoli. L’uomo aveva confessato di avere sottratto numerosi volumi di botanica dalla Biblioteca Storica Nazionale dell’Agricoltura presso il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali e di averli affidati ad una Casa d’Aste fiorentina per la vendita. La perquisizione, disposta dalla Procura della Repubblica di Roma ha consentito di rinvenire i segni del passaggio di 17 volumi (gran parte dei quali recuperati e restituiti.

Gli ultimi due beni culturali sequestrati sono un frammento di pittura murale raffigurante Cristo Benedicente, cm. (h)125 x 102 x 5, secolo XII, di arte romana, rubato nella Cripta ubicata a Guidonia Montecelio (RM), in località Marco Simone Vecchio e infine un manoscritto del Quindicesimo secolo, trafugato nell’agosto del 1990 dagli Archivi dell’Arcidiocesi di Torino. Si tratta di una delle pagine mancanti dell’opera di origine lombarda dal titolo “Messale di Ludovico da Romagno”.