Giuseppe Catapano informa: Attuazione della direttive europee relativa ai bilanci, approvati due schemi di decreto legislativo per il recepimento

Società di capitali e gli altri soggetti individuati dalla legge

Il Consiglio dei Ministri ha approvato in via preliminare, al fine di acquisire i pareri prescritti, su proposta del Presidente Matteo Renzi e del Ministro dell’economia e delle finanze Pietro Carlo Padoan, uno schema di decreto legislativo di attuazione della direttiva 2013/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, relativa ai bilanci d’esercizio ai bilanci consolidati e alle relative relazioni di talune tipologie di impresa, recante modifica della direttiva 2006/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e abrogazione delle direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE del Consiglio, per la parte relativa alla disciplina del bilancio di esercizio e di quello consolidato per la società di capitali e gli altri soggetti individuati dalla legge.

Lo schema di decreto legislativo:
· introduce la nuova disciplina circa gli obblighi di trasparenza posti a carico delle imprese operanti nel settore estrattivo o in quello dello sfruttamento delle aree forestali;
· integra e modifica il codice civile e il decreto legislativo 127 del 9 aprile 1991 al fine di allineare le disposizioni in materia di bilancio di esercizio e consolidato alle disposizioni della direttiva e altri provvedimenti legislativi già esistenti;
· apporta modifiche a provvedimenti legislativi per adeguarne il contenuto alle prescrizioni della Direttiva o per esigenze di coordinamento in materia di conti annuali e consolidati delle imprese di assicurazione e di revisione legale dei conti.

Banche e degli altri istituti finanziari

Lo stesso Consiglio dei Ministri ha inoltre approvato in sempre in via preliminare, al fine di acquisire i pareri prescritti, su proposta del Presidente Matteo Renzi e del Ministro dell’economia e delle finanze Pietro Carlo Padoan, uno schema di decreto legislativo di attuazione della direttiva 2013/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, relativa ai bilanci d’esercizio ai bilanci consolidati e alle relative relazioni di talune tipologie di impresa, recante modifica della direttiva 2006/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e abrogazione delle direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE del Consiglio, per la parte relativa ai conti annuali e ai conti consolidati delle banche e degli altri istituti finanziari, nonché in materia di pubblicità dei documenti contabili delle succursali, stabilite in uno Stato membro, di Enti creditizi ed Istituti finanziari con sede sociale fuori di tale Stato membro e che abroga e sostituisce il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 87.
Nello specifico il presente decreto, pertanto, disciplina:
· i bilanci degli intermediari finanziari che redigono i bilanci sulla base delle previsioni della Direttiva 86/635/CEE;
· i casi in cui un intermediario bancario o finanziario vigilato dalla Banca d’Italia è tenuto a redigere il bilancio consolidato sulla base dei principi contabili internazionali emanati dall’organo incaricato di emanare i principi contabili (IASB) e adottati dalla Commissione europea.

Lo schema di decreto riconosce inoltre alla Banca d’Italia il potere di emanare disposizioni relativamente alle forme tecniche dei bilanci e delle situazioni dei conti destinate al pubblico nonché alle modalità e ai termini della pubblicazione delle situazioni dei conti, prevedendo opportune forme di coordinamento con la Consob.

Giuseppe Catapano scrive: Gratuito patrocinio, se il reddito cala dopo la dichiarazione redditi

Se la tua ultima dichiarazione dei redditi fotografa una condizione economica migliore rispetto a quella attuale, drasticamente peggiorata per eventi successivi alla presentazione della stessa (per esempio, per aver perso il lavoro, per non aver più potuto lavorare a causa di una malattia o perché la tua azienda è caduta in crisi), puoi sempre accedere al gratuito patrocinio. Questa possibilità, infatti, benché non indicata dalla legge, viene ormai riconosciuta dalla Cassazione che, così facendo, ha colmato un vero e proprio vuoto: i giudici supremi hanno “creato” una norma con lo scopo di tutelare quelle categorie di meno abbienti che diventano tali per fatti improvvisi e imprevedibili, come a seguito di un licenziamento. Risultato: per l’ammissione al gratuito patrocinio non si deve vedere solo la dichiarazione dei redditi, ma anche le eventuali e successive variazioni di reddito che comportino un ammontare inferiore del reddito già indicato e consentano l’ammissione al beneficio dell’istante. A dover fornire la dimostrazione, comunque, della variazione del reddito è il richiedente il beneficio (per esempio, allegando la lettera di dimissioni dal lavoro, il licenziamento, ecc.).

Catapano Giuseppe osserva: Mantenimento, il figlio che si sposa lo perde

Il figlio che si sposa perde per sempre il diritto all’assegno di mantenimento erogatogli dai genitori. Il matrimonio, infatti, genera un nuovo organismo familiare autonomo rispetto a quello originario e fa cessare qualsiasi dovere di mantenimento. Lo ha detto la Corte di Appello di Napoli in una recente sentenza. In particolare i giudici campani così si esprimono: “Il matrimonio del figlio maggiorenne già destinatario del contributo di mantenimento a carico di ciascuno dei genitori ne comporta l’automatica cessazione. Con il matrimonio, invero, il figlio diventa componente di un nucleo familiare diverso da quello originario ed automaticamente cessano i doveri di mantenimento a carico dei genitori”. In pratica, con il matrimonio, il figlio maggiorenne dà vita ad un nuovo organismo familiare, distinto ed autonomo da quello precedente in cui era, invece, a carico di mamma e papà. I nuovi coniugi divengono artefici del loro destino, titolari del governo della nuova entità e restano legati dall’obbligo alla reciproca assistenza morale e materiale: obbligo che – lo ricordiamo –costituisce il necessario svolgimento di quell’impegno di vita assieme che hanno assunto con le nozze. In buona sostanza, e per dirla con parole ancora più semplici, a doversi occupare del figlio – qualora questi dovesse trovarsi in stato di necessità economica – non saranno più i genitori quanto piuttosto il coniuge, perché è con quest’ultimo che si è deciso di iniziare un corso di vita insieme e una nuova famiglia. Tant’è che lo stesso codice civile enuncia espressamente il dovere di entrambi di contribuire ai bisogni della famiglia. Con il matrimonio, quindi – conclude il collegio – il figlio diventa componente di un nucleo familiare diverso da quello originario ed automaticamente cessano i doveri di mantenimento a carico dei genitori.

Catapano Giuseppe: RAPPORTO SULLE ENTRATE TRIBUTARIE E CONTRIBUTIVE DI GENNAIO-MARZO 2015 E REPORT DELLE ENTRATE TRIBUTARIE INTERNAZIONALI

E’ disponibile sui siti http://www.finanze.it e http://www.rgs.mef.gov.it il Rapporto sull’andamento delle entrate tributarie e contributive del periodo gennaio-marzo 2015, redatto congiuntamente dal Dipartimento delle Finanze e dal Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato ai sensi dell’art. 14, comma 5, della legge di contabilità e finanza pubblica (L. 31 dicembre 2009, n.196).

GENNAIO – MARZO 2015

Le entrate tributarie e contributive del primo trimestre 2015 evidenziano nel complesso un aumento del 2,5% (+3.570 milioni di euro), rispetto ai primi tre mesi dell’anno precedente.

Il dato tiene conto della sostanziale stabilità, -0,2% (-217 milioni di euro) delle entrate tributarie e della crescita delle entrate contributive del 7,3% (+3.787 milioni di euro) dovuta agli incassi della prima rata dei premi INAIL che nel 2014 era slittata dal mese di febbraio al mese di maggio.

L’importo delle entrate tributarie comprende anche i principali tributi degli enti territoriali e le poste correttive, quindi integra quello già diffuso con la nota del 5 maggio scorso.

Sul sito del Dipartimento Finanze è altresì disponibile il Report delle entrate tributarie internazionali del periodo gennaio-marzo 2015, che fornisce l’analisi dell’andamento tendenziale del gettito tributario per i principali Paesi europei, sulla base delle informazioni diffuse con i “Bollettini mensili” di Francia, Germania, Irlanda, Portogallo, Regno Unito e Spagna.

Giuseppe Catapano informa: RENZI IN STILE CAMERON? PRO E CONTRO IN VISTA DI ELEZIONI CHE SARANNO UN ESAME SEVERO PER IL GOVERNO

Si è diffusa l’idea che quattro milioni di pensionati in ansia per le conseguenze della sentenza della Consulta sulla legge Fornero, che gli insegnanti e gli studenti scioperanti per la riforma della scuola, che i dipendenti pubblici sul piede di guerra, e che i disillusi di Renzi – fans della prima ora, via via andati perdendo fiducia – siano complessivamente un numero tale da poter tirare un brutto scherzo al presidente del Consiglio in occasione delle elezioni regionali che si terranno fra due settimane. Non sappiamo francamente se sia davvero così, e comunque ci sottraiamo come sempre alla lotteria dei sondaggi e delle previsioni. Notiamo però alcune cose. Alcune a favore di Renzi. Primo: è fisiologico perdere consenso in corso d’opera; anzi, più se ne perde più può essere il segnale che si stanno prendendo decisioni – giuste o sbagliate che siano – senza l’ansia di voler accontentare tutti e piacere a tutti. Secondo: Renzi ha scientemente spaccato il Pd, per trasformarlo in qualcosa che fosse libero dai condizionamenti vetero-comunisti di una parte della “vecchia ditta” e vetero-cattocomunisti di quella che una volta era la sinistra DC più ideologica. Se pagasse un prezzo elettorale a sinistra sarebbe normale – e, immaginiamo, calcolato – e comunque andrà verificato quanto questa operazione gli consente di recuperare al centro, nel corpaccione maggioritario dell’elettorato moderato. Se anche fosse che si becca il 30% anziché il quasi 41% delle europee, risulterebbe pur sempre il primo partito e sarebbe molto più libero politicamente. Dunque, nel caso, il gioco sarebbe valsa la candela. Terzo: i nemici di Renzi, pur essendoci molti motivi buoni per criticarlo, continuano invece a usare argomenti logori (“va troppo veloce”), esagerati (“l’Italicum cancella la democrazia”) e conservativo-corporativi (“no ai presidi sceriffo nelle scuole”), mostrando di non avere alcun progetto riformatore alternativo. Così, alla fine, anche chi non è del tutto convinto dell’azione del governo e trova urticanti certi modi e toni di Renzi, finisce per votarlo, aiutato dal sempre più gettonato concetto che “non c’è alternativa”.

È pur vero, però, che a sfavore del presidente del Consiglio militano altri argomenti. Primo: se ricevi una scomoda eredità come il “caso pensioni” non puoi rispondere, come ha fatto Renzi, “ci inventeremo qualcosa”. Secondo: se vuoi introdurre la meritocrazia nella scuola (sacrosanto intendimento) non puoi mettere sul piatto l’assunzione di 160 mila precari, orrenda toppa a un buco pluriennale, e per di più beccarti i sindacati che ti spernacchiano. Su questo tema condividiamo il giudizio, sereno ma tagliente, di Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli, secondo cui l’operazione precari “avrà effetti molto negativi, abbassando la qualità della scuola e ostacolandone il rinnovamento per molti anni a venire, perché senza una preventiva analisi dei profili necessari si adotta la logica assumiamo questi insegnanti e poi vediamo che cosa gli possiamo far fare”. Terzo: è inutile ostinarsi a declamare che l’economia ha svoltato, perché non è vero e chi lo constata quotidianamente si irrita a sentirselo dire. E noi, che non temiamo di passare per gufi (ci siamo abituati), azzardiamo persino di dire che i nostri fondamentali economici sono ancora con i piedi ben piantati nella recessione. Si pensi solo a questo: abbiamo fatto nel primo trimestre +0,3%, abbiamo messo in cascina su base annua due decimi di punto, tutte le stime (ultima quella di S&P) ci dicono che chiuderemo il 2015 a +0,4% e la massima ambizione è di smentire queste nefaste ipotesi confermando la previsione del governo di +0,7%. Risultati modesti in assoluto, ma che diventano negativi se si considera che sono stati e saranno conseguiti in un contesto favorevole senza precedenti (tassi, cambio, prezzo del petrolio, liquidità Bce), senza il quale saremmo ancora con il segno meno davanti. Quarto: il decisionismo di Renzi in materia di legge elettorale e riforme istituzionali non paga. Non perché gli italiani che nel merito ha smontato sia l’Italicum che il nuovo Senato, ma perché – a torto, sia chiaro – non considerano prioritario il tema.

Dunque, vedremo cosa uscirà dalle urne. Una cosa è certa: Renzi ha commesso l’errore – che gli deriva da quello di voler essere anche il segretario del Pd – di politicizzare l’appuntamento elettorale. Lo fece con le europee, gli ha detto bene e ci ha campato sopra per un anno, ma ora potrebbe anche doversene pentire. In tutti i casi sgombriamo preventivamente il campo da paralleli impropri: la vittoria di Cameron e l’Italicum di Renzi. Si è scritto che i Tory hanno vinto le elezioni con il 36% dei voti, e nessuno ha gridato allo scandalo. Ma lo storico maggioritario inglese non ha nulla da spartire con l’Italicum, e i candidati conservatori (tutti scelti dagli elettori) hanno conquistato 330 collegi uninominali, e se Cameron non disponesse della maggioranza assoluta, adesso sarebbe al lavoro per formare un governo di coalizione, senza dover ricorrere al ballottaggio tra le prime due liste. Detto questo, rimaniamo dell’idea che un sistema, il first-past-the-post, in cui un partito (Ukip) che prende quasi quattro milioni di voti pari al 12,6% e porta a casa un solo seggio mentre un altro (lo Snp) ne ottiene 56 con solo il 4,7%, sia a dir poco bizzarro, e comunque non rispondente al dna italiano. Una cosa, invece, è vera e non si è detta: il pragmatismo a-ideologico di Renzi – a volte usato bene, altre male, ma questo è un altro discorso – lo rende molto più somigliante a Cameron che ai laburisti. E non solo a quelli un po’ radicali di Miliband, ma anche a quelli riformisti di Blair. E questo elemento di genetica politica vedrete che, dopo le regionali, terrà banco. Ma ci torneremo a giugno, quando il quadro politico sarà costretto a fare i conti con il risultato elettorale.

Giuseppe Catapano scrive: Come presentare domanda di disoccupazione per co.co.co. e co.co.pro.

Il Decreto attuativo del Jobs Act , in materia di riordino degli ammortizzatori sociali, oltre alla Naspi, nuova indennità di disoccupazione per i lavoratori subordinati, ha introdotto un’ulteriore sussidio sociale, a favore dei lavoratori parasubordinati che abbiano involontariamente perduto la propria occupazione, chiamato Dis-Coll. Tale istituto rappresenta una pietra miliare per questi soggetti la cui unica tutela, precedentemente, si limitava a un’indennità Una Tantum. In particolare, lo strumento a sostegno del reddito spetta sia ai collaboratori coordinati e continuativi (Co.Co.Co.), che ai collaboratori a progetto (Co.Co.Pro), purché si trovino in stato di disoccupazione al momento di presentazione della domanda e possano far valere almeno tre mensilità di contribuzione (dall’anno solare precedente alla cessazione dell’occupazione), più una mensilità di contributi (oppure un rapporto di collaborazione di almeno un mese, che abbia dato luogo all’accredito di metà mese di contribuzione) nell’anno solare in corso. In merito al possesso dello stato di disoccupazione, la dichiarazione d’immediata disponibilità all’impiego potrà essere resa direttamente all’Inps, anche tramite l’inoltro online della domanda di Dis-Coll. Per quantificare l’importo spettante d’indennità si dovrà far riferimento al reddito imponibile ai fini previdenziali, per le attività prestate in qualità di parasubordinati (ricavabile in base alla contribuzione versata): l’imponibile, relativo all’anno in corso ed al precedente, andrà diviso per i mesi, o loro frazione, di durata del rapporto di collaborazione ottenendo così l’importo del reddito medio mensile. L’assegno sarà pari al 75 % del reddito medio mensile, se inferiore a € 1.195. Se superiore, l’indennità sarà pari al 75 % di € 1.195, più il 25 % della differenza tra il reddito medio mensile ed € 1.195, sino ad un massimo di € 1.300. Dopo il novantesimo giorno di fruizione della prestazione, essa viene ridotta, mensilmente, del 3%. Il periodo complessivo di godimento della DIS-COLL corrisponde alla metà dei mesi, o frazioni, di durata dei rapporti di collaborazione effettuati dall’anno solare precedente sino alla data della domanda (senza computare periodi già indennizzati). Non si possono, ad ogni modo, superare i 6 mesi di fruizione. La richiesta d’indennità deve essere effettuata, perentoriamente, entro 68 giorni dalla cessazione dell’ultimo contratto di collaborazione; nel dettaglio, la domanda può essere presentata sia tramite patronato, che mediante Contact center dell’Inps, oppure, direttamente dall’interessato, in via telematica. A tal fine, sarà necessario collegarsi al portale web dell’Istituto, muniti del proprio PIN dispositivo, e compilare l’apposito form presente nella sezione “Servizi al cittadino”-“Invio domande di prestazioni a sostegno del reddito”. In caso di nuova attività lavorativa subordinata, se il contratto ha una durata inferiore a 5 giorni, la prestazione è sospesa d’ufficio: nel caso in cui superi tale durata, si decadrà dal diritto alla Dis-Coll. Nell’ipotesi, invece, di nuova attività parasubordinata, autonoma o d’ impresa, da cui derivi un reddito inferiore al limite utile per conservare lo stato di disoccupazione, dev’essere effettuata un’apposita comunicazione all’Inps, anche online, entro 30 giorni: l’assegno sarà ridotto di un importo pari all’80 % del nuovo reddito previsto, rapportato, però, al periodo intercorrente tra l’ inizio dell’attività ed il termine della fruizione della Dis-Coll. La stessa disposizione vale anche per le prestazioni di lavoro occasionale accessorio (voucher, o buoni lavoro), poiché non è entrato ancora in vigore il decreto attuativo del Jobs Act in materia di riordino dei contratti.

Catapano Giuseppe osserva: Interessi, usura e anatocismo: calcolo anche con la consulenza preventiva

Se stai pensando di fare una causa contro la tua banca per le classiche contestazioni come anatocismo, usura o commissioni non dovute, e tuttavia vorresti tentare, come ultima soluzione, di far ragionare l’avversario, magari attraverso un percorso conciliativo che ti consenta, in tempi celeri, di ottenere la restituzione delle somme o il ricalcolo degli interessi, c’è un sistema che puoi utilizzare, introdotto nel 2005 dal codice di procedura civile e stranamente disprezzato dagli avvocati: si chiama consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite. In buona sostanza, il tribunale – su ricorso della parte interessata (che, in questo caso, è il correntista) – nomina un perito che accerta, dal punto di vista tecnico (ossia, del ramo della sua scienza), chi dei due soggetti in lite abbia ragione e in che misura; quindi, prima di depositare la propria perizia in tribunale (all’esito della quale il ricorrente potrà decidere, poi, se intraprendere la causa ordinaria o meno), tenta una conciliazione tra le parti, al fine di trovare un bonario componimento. Se l’accordo viene raggiunto le parti avranno risparmiato tempi, costi e soprattutto, avranno trovato una soluzione soddisfacente per entrambe. A confermare la possibilità del ricorso, in materia di contestazioni contro la banca, alla consulenza tecnica preventiva è stato il tribunale di Monza con una recente ordinanza. La consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite – scrive il giudice nel provvedimento di estremo interesse – può applicarsi anche nell’ambito dei rapporti bancari per controversie aventi ad oggetto la contestazione di addebiti ritenuti illegittimi (dagli interessi usurari a quelli anatocistici, dalle commissioni di massimo scoperto alle valute fittizie, ecc.). Se vuoi avere maggiori informazioni su tale procedura leggi l’approfondimento “Consulenza tecnica preventiva: procedura, opportunità, vantaggi e svantaggi”. Lo scopo della procedura, dunque, non è solo quello di uno strumento per decongestionare le aule dei tribunali ed evitare inutili contenziosi, ma – anche nell’interesse delle stesse parti – agevolare gli accordi fuori dal tribunale. Non a caso, tale domanda può essere proposta anche se non sussistono le classiche condizioni richieste per i provvedimenti cautelari (il pericolo di compromissione irrimediabile dell’interesse fatto valere e l’apparente esistenza del diritto del ricorrente). Come dicevamo in apertura, questo procedimento non ha trovato un’ampia diffusione anche se la sua utilità è innegabile. Peraltro, in caso di accordo, il verbale costituisce titolo esecutivo, ossia ha la stessa forza ed efficacia di una sentenza del giudice. Invece, se l’accordo non riesce, ciascuna parte può decidere di intraprendere la causa ordinaria, chiedendo che la perizia già redatta sia acquisita agli atti (e così fungerà da CTU, consulenza tecnica d’ufficio). Non solo per il tribunale di Monza, ma anche per quello di Como la consulenza tecnica d’ufficio preventiva a fini conciliativi può essere utilizzata nei rapporti bancari.

Giuseppe Catapano: Posso rateizzare una sola cartella di Equitalia?

In presenza di un debito con Equitalia costituito da più cartelle esattoriali, il contribuente ha il diritto di ottenere la rateazione di una o più specifiche cartelle, lasciando fuori le altre. Insomma, la richiesta al concessionario può riguardare anche una sola cartella e non l’intero debito. Non vale più, quindi, il principio (applicato in passato) “o tutto o niente”. Lo si evince dal nuovo fac simile di richiesta di rateazione scaricabile dal sito internet di Equitalia. Tale possibilità vale per tutti i tipi di debito: sia per quelli di importo inferiore a 50 mila euro che per quelli superiori. Ovviamente, se è vero che l’istanza di rateazione sospende l’esecuzione forzata di Equitalia già incorso e impedisce quelle future, ciò vale solo per le cartelle incluse nel piano di dilazione, mentre per le altre per le quali sussiste ancora la morosità, l’Agente per la riscossione resta libero di attivare tutti gli strumenti a sua tutela (dal fermo all’ipoteca, dal pignoramento alla vendita forzata). Cosa cambia? In passato la condizione necessaria affinché il contribuente potesse essere ammesso alla rateazione, da parte di Equitalia, era quella di includere, nel programma di dilazione (e quindi di pagare), l’intero debito, ossia tutte le cartelle e/o gli atti di accertamento esecutivi e/o gli avvisi di addebito Inps. Oggi invece, il cittadino, al momento della richiesta di dilazione presso Equitalia, può autonomamente decidere quali cartelle, atti di accertamento esecutivo o avvisi di addebito Inps dilazionare, senza perciò voler pagare gli altri. Equitalia non potrà rifiutare più tale opzione. I vantaggi Il primo e più evidente vantaggio è quello di evitare l’ipoteca sulla casa (anche la prima). Quest’ultima, infatti, può essere iscritta solo per debiti superiori a 20.000 euro; pertanto se il contribuente che abbia maturato una morosità superiore a tale tetto accetta di rateizzare anche una sola cartella, potrà far scendere la soglia del debito e quindi impedire così la misura cautelare. Stesso discorso per il caso di pignoramento immobiliare e messa all’asta della casa che scatta superato un debito di 120mila euro: con la rateazione di solo alcune cartelle, il contribuente può mettere al riparto l’immobile di proprietà. Il secondo evidente vantaggio è che, così, si potrà ottenere più facilmente la rateazione. Infatti, ricordiamo che per debiti superiori a 50.000 euro la rateazione non spetta di diritto, ma è subordinata alla verifica della particolare difficoltà economica (l’Isee del nucleo familiare, se la richiesta è presentata da persona fisica o ditta individuale; altri indici di bilancio nel caso di società). Da oggi, però, con questa nuova possibilità, il contribuente con debito superiore a 50mila euro e che non abbia i requisiti per ottenere la dilazione (perché non riesce a dimostrare la particolare difficoltà economica), potrà comunque ottenerla in via automatica optando di pagare cartelle per un importo complessivo inferiore a 50mila euro. Come chiedere la rateazione Per importi da rateizzare fino a 50mila euro relativi anche a una o più cartelle è possibile collegarsi al sito di Equitalia e trasmettere la richiesta di dilazione. La stessa richiesta può essere presentata anche inviando una raccomandata a.r. all’Esattore. In tal caso, sarà possibile pagare l’importo dovuto fino a un massimo di 72 rate mensili (ossia fino a un massimo di sei anni). L’importo minimo di ogni rata è pari a 100 euro, salvo situazioni di particolare difficoltà. Si decade dalla dilazione in caso di mancato pagamento di otto rate anche non consecutive. Per le istanze di importi superiori a 50mila euro, invece, è necessario sempre recarsi allo sportello.

Catapano Giuseppe comunica: Prove invalsi, scoppia la protesta degli studenti e dei docenti

La scuola protesta. Non è una novità! Questa volta, però, i protagonisti “attivi” che la compongono e che, spesso, si trovano su barricate opposte, hanno deciso di allearsi per manifestare la propria disapprovazione nei confronti delle prove Invalsi. Così, si trovano a contestare tutti insieme: docenti e personale Ata, studenti e genitori. L’Unione degli Studenti ha organizzato un flash mob davanti al Miur (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca), che si è tenuto nella notte dell’11 di Maggio. Altri flash mob si sono svolti in quasi tutte le città italiane, vedendo coinvolti studenti e docenti. Intanto le Agenzie di stampa, da pochissime ore, riportano la notizia del boicottaggio ben riuscito: aule vuote, test non compilati o lasciati in bianco, docenti che decidono di non somministrare le prove. Ma in cosa consistono queste prove invalsi? Che finalità hanno? E perché tutti protestano? Le prove Invalsi sono uno strumento, elaborato dal Sistema Nazionale per la valutazione, che consente di valutare il livello di apprendimento acquisito dagli studenti. Le prove vengono somministrate agli studenti che frequentano le seguenti classi: Seconda classe della scuola primaria, Quinta classe della scuola primaria, Terza classe della scuola secondaria di primo grado, Seconda classe della scuola secondaria di secondo grado. I test standardizzati (cioè uguali, a livello nazionale, per ogni classe) riguardano esclusivamente le seguenti discipline: italiano e matematica. È inoltre previsto un questionario anonimo. A cosa servono queste prove? Essendo dei test standardizzati, consentono di confrontare il livello di apprendimento raggiunto tra le varie scuole, all’interno della stessa Provincia, della stessa Regione, della stessa macroarea geografica e dello stesso Paese. Le prove consentono, inoltre, di raffrontare il sistema scuola italiano con quello di altri Paesi, di valutare le eventuali criticità (per poter essere, successivamente, migliorate) e i punti di forza. Il questionario anonimo, invece, mira ad ottenere informazioni sulla famiglia di origine del discente e sul suo rapporto con lo studio e con la scuola. Perché, dunque, studenti, insegnati, genitori e personale Ata, sono scesi tutti insieme in piazza per protestare? La contestazione riguarda, innanzitutto, la metodologia utilizzata per verificare il livello d’apprendimento. Infatti, lo slogan adottato dagli studenti è stato “Non siamo solo crocette” per sottolineare come sia impossibile testare il sistema scuola utilizzando tali strumenti di verifica. Inoltre, in molte scuole, in vista delle prove, si interrompe la fase didattica per preparare gli studenti ai test. Pertanto, i risultati ottenuti sono falsati già in partenza. Infine, le perplessità riguardano e le irregolarità che si verificano durante l’espletamento delle prove e le conseguenze che i risultati potrebbero avere sul curriculum dei docenti e dei discenti.

Giuseppe Catapano osserva: Ponte San Francisco (1 mese!) e viadotto Palermo-Catania (2 anni, forse!!)

Diciassette ottobre 1989. Un terremoto di magnitudo 7 devasta San Francisco. Causa 66 morti, spezza l’arcata del gigantesco Bay Bridge, un ponte di 14 chilometri che collega San Francisco a Oakland. Dicotto novembre 1989, un mese e un giorno dopo. Il governatore George Deukmejian inaugura il ponte ricostruito. In 31 giorni. Dovrebbe essere motivo di orgoglio e invece lui è insoddisfatto. Un giorno di ritardo, il ponte doveva essere pronto in 30 giorni. Per questo si scusa con i cittadini.
Dieci aprile 2015. Una frana si abbatte sulla Palermo-Catania. Crolla il ponte Himera. Che non è lungo 14 km ma poco meno di due e mezzo. Viene chiuso un pezzo di autostrada A19. E’ l’unico collegamento “decente” per le auto e i tir tra Palermo e Catania. Accorrono le varie autorità sul posto, compreso il governatore Graziano Delrio. Le stime non sono proprio simili a quelle di San Francisco: per rifare il ponte ci vorranno “minimo due anni”. Niente paura però, in soli tre mesi (due in più di quelli del ponte Usa) verrà costruita una deviazione: misura tampone ma pur sempre meglio di niente.
Da quel giorno è passato esattamente un mese. E i lavori per il nuovo ponte e per la deviazione sono non al 33%, non in lieve ritardo. Semplicemente non sono cominciati.

Tre mesi? Magari! Uno se n’è già andato in una miriade di pastoie burocratiche. Dietro le quali si è acceso uno scontro. Di qua il governo convinto che il viadotto possa essere ricostruito, come accade a prezzi europei, con una trentina di milioni. Di là le autorità siciliane convinte, sulla base delle loro relazioni tecniche, che ne occorrano subito almeno 200. Cioè sette volte di più. Sperando che bastino… Per carità, non è facile capire chi ha ragione e chi torto. Ma che invidia, per i californiani…
Eppure a San Francisco il danno fu enormemente più grave. Il ponte spezzato, l’asse del terremoto aveva spostato tutto di 17 centimetri. In un mese i californiani fecero la vecchia arcata letteralmente a fette e ne costruirono una nuova di zecca. Con le tecnologie del 1989, che non sono esattamente le stesse del 2015. Il ritardo di un giorno fu dovuto a un fatto climatico: due notti di umidità che avevano reso impossibile completare la tinteggiatura. Qui da noi, invece, neanche l’ombra di una ruspa.