Un divorzio «consensuale» potrà essere ottenuto in 6 mesi: tanto durerà, infatti, la separazione per le coppie che decidono (concordemente) di sciogliere il proprio vincolo matrimoniale. Termine che sale, invece, a 12 qualora per dirimere le questioni connesse alla fine di una relazione coniugale vi sia bisogno dell’intervento del giudice. Con 228 voti a favore, 11 contrari ed 11 astenuti, il senato ha approvato ieri il disegno di legge 1504 che modifica la disciplina sulla cessazione degli effetti civili delle nozze: il cuore della normativa, che passa al vaglio dei deputati in terza lettura, è sicuramente il taglio della fase di separazione, attualmente di 3 anni, propedeutica alla possibilità di presentazione della domanda di divorzio che, invece, viene accorciata e ricondotta in un arco temporale (a seconda che marito e moglie optino per la via giudiziale, oppure procedano di comune accordo verso l’addio) che va da un semestre ad un anno. Il termine, si legge nel primo articolo del provvedimento, «decorre dalla comparizione dei coniugi dinanzi al presidente del tribunale». L’articolo 2 del ddl, poi, anticipa lo scioglimento della comunione dei beni, al momento in cui il presidente del tribunale autorizza i membri della coppia a vivere sotto un tetto diverso, mentre l’articolo 3 prevede che le nuove disposizioni si applichino ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge.
Nella seduta pomeridiana di due giorni fa, in cui erano stati votati gli emendamenti, al culmine di una contrapposizione all’interno della stessa maggioranza di governo (fra parte del centrosinistra e Ap), era stata stralciata, su proposta della stessa relatrice Rosanna Filippin (Pd), una norma, al comma 2 dell’articolo 1, introdotta dai senatori della commissione giustizia, che introduceva il cosiddetto divorzio «diretto» (si veda anche ItaliaOggi di ieri); il testo, che essendo stato espunto dall’articolato è finito come da regolamento subito in un’autonoma proposta legislativa assegnata agli organismi parlamentari competenti, stabiliva si potesse accedere alla procedura per lo scioglimento del matrimonio saltando il periodo di separazione legale, e prevedendo che, anche in assenza di tale fase di allontanamento, i coniugi potessero chiedere al giudice la cessazione del vincolo (quando non vi fossero, però, figli minori, figli maggiorenni portatori di handicap, ovvero figli di età inferiore a ventisei anni economicamente non autosufficienti).
Giorno: 17 aprile 2015
Giuseppe Catapano: Ammortizzatori sociali negli studi
Sì agli ammortizzatori sociali in deroga negli studi professionali. Il consiglio di stato, infatti, ha accolto il ricorso in appello di Confprofessioni ritenendo fondato il rischio di discriminazione dei professionisti, oggi esclusi perché non “imprese”. A stabilirlo l’ordinanza n. 1108/2015 in cui i giudici di Palazzo Spada ritengono «convincenti» le argomentazioni di Confprofessioni in base ai vincoli Ue in materia di definizione d’impresa. Si riapre dunque la partita. Intanto con l’immediato stop all’ordinanza del Tar del Lazio n. 6365/2014 (che non ha ritenuto opportuno sospendere il dm 1° agosto 2014 con la disciplina degli ammortizzatori in deroga), nell’attesa che lo stesso tribunale amministrativo con “sollecitudine” fissi l’udienza di merito.
Il concetto di impresa. La vicenda risale a quattro anni fa (è riassunta in tabella), quando il ministero del lavoro diede per la prima volta l’ok agli ammortizzatori negli studi professionali, considerando una loro diversa qualificazione sulla base delle indicazioni della Corte di giustizia Ue, contenute nella causa C/32 del 16 ottobre 2003. Tale sentenza afferma che occorre incentrarsi su una nozione intesa in senso ampio di “datore di lavoro”, superando lo stretto perimetro della nozione di imprenditore e che quest’ultimo va inteso qualunque soggetto che svolge attività economica e che sia attivo su un determinato mercato. Il nuovo orientamento Ue insomma, affermò il ministero, estende(va) di fatto agli studi professionali la disciplina prima riservata alle sole “imprese”.
Giuseppe Catapano informa: BASTA POCO PER MOTIVARE UN ATTO DI LIQUIDAZIONE DI SUCCESSIONE
La sentenza che ci riguarda nasce dalla impugnazione di un avviso di liquidazione in tema di imposta di successione e della, ormai sepolta, INVIM. Secondo il contribuente l’atto non sarebbe stato adeguatamente motivato in termini di presupposti di fatto e di ragioni giuridiche, per cui chiedeva ai giudici tributari l’annullamento. Se il primo grado vedeva parzialmente vittorioso il contribuente, il secondo grado e poi la Cassazione non ritenevano adeguate le motivazioni volte al suo annullamento. Specie quest’ultima che in tema di motivazione dell’atto, poneva l’accento sulla doglianza del contribuente che si, lamentava l’inidonea motivazione di esso, ma alludeva anche a vizi che dovevano essere maggiormente esplosi in sede di merito. Gli ermellini non possono che prendere atto dell’esistenza , seppur minima, di presupposti di sopravvivenza per l’atto che viene confermato, con soccombenza del contribuente sarà costretto a pagare anche le esose spese di lite.
Catapano Giuseppe scrive: Falso in bilancio, pene inasprite. Ma per il ddl anticorruzione è stop al senato
Arriverà in aula al senato giovedì mattina il ddl sulla corruzione, ma solo se l’esame sarà stato concluso in commissione. E comunque esclusivamente per la relazione sul testo in modo da consentirne l’incardinamento. Lo ha deciso la conferenza dei capigruppo a maggioranza, tra le proteste dei Cinque Stelle. In commissione giustizia si deve procedere ancora all’esame di 40 emendamenti e il termine per i subemendamenti al testo del governo è fissato per domani alle 13. Nel frattempo però c’è da convertire anche il dl banche contenente la riforma delle Popolari entro il 25 marzo. Dunque il calendario deciso a maggioranza prevede che l’anticorruzione subisca uno stop ed entri nel vivo della discussione dopo la conversione del decreto su cui il governo si appresterebbe a mettere la fiducia.
L’emendamento del governo e le pene più severe per il falso in bilancio
Reclusione da 3 a 8 anni per chi commette il reato di falso in bilancio per società quotate in borsa, mentre per le altre la pena prevista va da uno a 5 anni. Differenziazione, poi, valida pure per le sanzioni, che vengono inasprite: nel caso si manomettano le comunicazioni sociali di imprese in «listino», infatti, le pene pecuniarie salgono da un minimo di 400 ad un massimo di 600 quote (laddove ogni quota va da un minimo di 258 a un massimo di 1.549 euro) dalle attuali 150-330. E per quelle non soggette all’andamento borsistico, invece, aumentano da 200 a 400 quote (ora sono da un minimo di 100 ad un massimo di 150). È quanto stabilisce l’emendamento governativo al testo sulla corruzione (19), che rivede la disciplina del falso in bilancio, depositato ieri pomeriggio in commissione giustizia, a palazzo Madama; le nuove norme, secondo il Guardasigilli Andrea Orlando, presente in Parlamento al momento dell’approdo del testo, fanno sì che si passi «da un reato di danno a un reato di pericolo», con conseguente «giro di vite» per chi se ne macchia. Il restyling del provvedimento comprende, inoltre, l’inserimento nel codice civile dell’articolo 2621-bis che, si legge nella relazione allegata all’emendamento dell’esecutivo, «punisce con la pena della reclusione da 6 mesi a 3 anni, sempreché non costituiscano più grave reato, i fatti di lieve entità, valutati tenuto conto della natura e delle dimensioni della società e delle modalità o degli effetti della condotta»; nel caso il reato riguardi realtà di piccolissime dimensioni (al di sotto, cioè, dei limiti previsti per la «fallibilità»), il delitto è procedibile soltanto «a querela della società, dei soci, dei creditori, o degli altri destinatari della comunicazione sociale», mentre per tutte le altre imprese, siano esse quotate o meno in borsa, i fatti saranno sempre perseguibili d’ufficio, come peraltro aveva annunciato Orlando, al termine di un vertice di maggioranza nel quale erano state definite le principali correzioni al testo (si veda ItaliaOggi del 6/2/2015).
Catapano Giuseppe scrive: Giudizi d’opposizione senza contributo unificato
Non è mai dovuto il contributo unificato nei giudizi di opposizione all’esecuzione e di opposizione di terzo all’esecuzione. Mentre nelle procedure esecutive deve essere corrisposto nel momento in cui viene depositata l’istanza di assegnazione e vendita da parte del creditore. Lo ha chiarito il ministero della giustizia, nella circolare n. 38550 del 3 marzo scorso, segnalata dal Tribunale di Milano nella nota del 10 marzo e pubblicata ieri dall’Ordine degli avvocati di Milano. Entrando nel dettaglio, la circolare di via Arenula ha per oggetto due distinte problematiche, sulle quali il ministero ha rilevato un elevato numero di quesiti da parte degli uffici giudiziari, in materia di processo esecutivo.
Ovvero: l’individuazione del contributo unificato da versare nella fase incidentale celebrata dinanzi al giudice dell’esecuzione nelle ipotesi di opposizione all’esecuzione (ex art. 615, comma 2, cpc), nelle opposizioni agli atti esecutivi (ex art. 617, comma 2, cpc) e nelle opposizioni di terzo all’esecuzione (ex art. 619 cpc). L’altra problematica riguarda invece l’individuazione del momento in cui deve essere corrisposto il contributo unificato nelle procedure esecutive in base alla nuova formulazione dell’art. 518, comma 6, cpc, così come modificato dall’art. 18, comma 1, lett. a) del dl n. 132/2014, convertito con modificazioni in legge n. 162/2014. Quanto alla prima problematica, secondo alcuni uffici il giudizio di opposizione all’esecuzione, di opposizione agli atti esecutivi e di opposizione di terzo, proposti ad esecuzione già iniziata dinanzi al giudice dell’esecuzioni, darebbero luogo a una fase incidentale, da assoggettare ad autonomo contributo unificato.
Catapano Giuseppe informa: Avvocati, rate decennali per riscattare la laurea
Pagamento del riscatto degli anni della laurea in giurisprudenza, del servizio militare e di quello civile, nonché del periodo del praticantato («anche se svolto all’estero», efficace ai fini dell’approdo all’esame di stato e, comunque, «per non più di 3 anni») rateizzabile fino a 10 anni. E riduzione dell’interesse «dal 4% al 2,75% annuo». È con queste due modifiche che ottiene l’approvazione dei ministeri vigilanti di welfare, economia e giustizia il Regolamento per il riscatto (in base a quanto stabilito dall’articolo 24 della legge 141/1992) della Cassa di previdenza forense; la delibera, adottata dal comitato dei delegati il 19 dicembre 2014, riceve, il semaforo verde con un testo, di cui ItaliaOggi è in possesso, pronto per la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, firmato dal direttore generale per le politiche previdenziali e assicurative del dicastero di via Veneto, Concetta Ferrari. Soddisfatto il vertice della Cassa, perché sono state recepite le modifiche sollecitate e perché, nonostante l’ultima correzione inviata fosse della fine del 2014, «abbiamo atteso oltre due anni per il via libera». Novità rilevanti l’opportunità di saldare le somme dovute per riscattare gli anni di studio, di pratica forense e di attività civili e militari in un arco più lungo, «esteso, cioè, da 5 a 10 anni» afferma il presidente Nunzio Luciano.
Catapano Giuseppe comunica: Israele, Netanyahu ha vinto. “Ora un governo, senza indugi”. Berlusconi: ottima notizia
Benjamin Netanyahu ha vinto: il suo partito, il Likud, ottiene 29 seggi nella nuova Knesset israeliana, mentre l`Unione sionista del laburista di Isaac Herzog si ferma a 24 seggi. Con lo spoglio delle schede ultimato nella notte (conteggio al 99,5%), la Lista araba Unita è emersa dal voto di ieri come terzo partito, con 14 seggi. Per il premier israeliano uscente, e ora proiettato verso un quarto mandato alla guida del prossimo governo, si tratta di un netta vittoria, conquistata negli ultimi giorni, una rimonta che ha sconfessato i pronostici dei sondaggi, sicuri di un testa a testa tra “Bibi” e il centro-sinistra di Herzog. Anzi, il Fronte Sionista creato con la centrista Tsipi Livini, ancora nel fine settimana era dato in vantaggio di alcuni seggi.
Il leader del Fronte Sionista di centro sinistra Isaac Herzog ha chiamato Benjamin Netanyau e si è congratulato per la vittoria con il premier uscente israeliano. E’ stato lo stesso Herzog a dare notizia della telefonata. “Qualche minuto fa ho parlato con il primo ministro Benjamin Netanyahu per congratularmi con lui per il suo successo e per augurargli buona fortuna”, ha detto il leader dell’opposizione ai giornalisti, aggiungendo che il Fronte Sionista continuerà ad essere un’alternativa al Likud.
Nello sprint finale della campagna, Netanyahu ha sterzato a destra, assicurando alla vigilia del voto che con lui premier “non nascerà uno Stato palestinese”, insistendo sul problema della sicurezza, sull`indivisibilità di Gerusalemme capitale, sulla minaccia nucleare dall`Iran. Argomenti che, evidentemente, si sono rivelati vincenti e probabilmente gli hanno permesso di evitare una “dispersione” di voti verso altri più piccoli partiti di destra.
Dopo una giornata elettorale al vetriolo, in cui il leader del Likud ha lanciato un appello a votare per contrastare la grande mobilitazione degli arabi-israeliani, accusando il centro-sinistra di portare gli elettori ai seggi in autobus, il presidente Reuven Rivlin ha invocato la creazione di un governo di unità nazionale, per scongiurare “la disintegrazione della democrazia di Israele e nuove elezioni molto presto”. Ma a mano a mano che gli exit poll dal testa a testa viravano verso il vantaggio del Likud, sempre più netto, Netanyahu ha lanciato la prospettiva di un nuovo esecutivo di destra, in alleanza con “i partiti del campo nazionale”. Il premier uscente si è detto “orgoglioso per la grandezza di Israele” e la “decisione giusta presa”. Nella notte, il premier uscente ha detto di avere già parlato con tutti i leader della destra, per chiedere “un governo, senza indugiare”.
Dietro i primi tre partiti, arrivano intanto i centristi di Yesh Atid (C’è futuro) di Yar Lapid, che avranno 11 deputati (otto i meno rispetto alla precedente assemblea). Otto i seggi ottenuti da HaBayit HaYehudi (Focolare Ebraico), partito nazionalista che fa riferimento ai coloni, mentre gli ultraortodossi sefarditi dello Shas si fermano a 7 seggi rispetto agli 11 aggiudicatisi due anni fa. Sette deputati anche per gli ultraortodossi askenaziti di United Torah Judaism.
Pessimo risultato, inoltre, per il falco Avigdor Lieberman: Yisrael Beitenu (Israele è la nostra casa) avrà meno della metà dei seggi nella nuova legislatura, 6 invece di 13. Male anche la sinistra sinistra di Meretz, che da 6 passa a quattro seggi. Sembra aver vinto la sua scommessa di diventare l’ago della bilancia Moshe Khalon, ex ministro delle Comunicazioni diventato popolare per aver imposto tagli alle tariffe telefoniche. La sua nuova creatura di centro, Kulanu (Noi tutti), strappa 10 seggi. Ha già detto, a risultati ancora incerti, di essere pronto ad andare al governo sia con Netanyahu che con il centrosinistra.
Ora il presidente Rivlin dovrà affidare l’incarico al candidato considerato in migliore posizione per la formazione di un nuovo governo. E non solo il gioco delle alleanze, ma il diretto risultato del voto dice che questo sarà, con ogni probabilità, Netanyahu.
Berlusconi, ottima notizia, mi congratulo con il premier e il popolo isaraeliano
“Il successo di Benjamin Netanyahu alle elezioni in Israele è per noi un’ottima notizia”. Cosi’ in una nota il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi. “Premia il coraggio e la determinazione del premier israeliano nel difendere le ragioni della sicurezza del suo paese contro il terrorismo e i pericoli dell’estremismo islamico. Ma premia anche la sua politica economica liberale, che ha fatto di Israele il ‘paese delle start up’, favorendo la crescita economica e tecnologica dello Stato ebraico.Mi congratulo con il primo ministro e con tutto il popolo israeliano, di tutte le opinioni politiche e di tutte le appartenenze etniche e religiose, che ieri ha vissuto una grande giornata di democrazia e di libertà. Ci piace confermare ancora una volta che Israele è parte essenziale del nostro mondo, del mondo occidentale, e la sua sicurezza è per noi una assoluta priorità”
Catapano Giuseppe osserva: Proroga, ripetuta, del conferimento nelle agenzie fiscali di incarichi dirigenziali senza concorso pubblico
Corte Costituzionale, Sentenza n. 37 del 17 marzo 2015 (Presidente: Criscuolo, Relatore:Redattore: Zanon): «PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Impiego pubblico – Previsione che nelle more dell’espletamento delle procedure concorsuali per il conferimento di incarichi dirigenziali, l’Agenzia delle dogane, l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia del territorio, salvi gli incarichi già affidati, potranno attribuire incarichi dirigenziali ai propri funzionari con la stipula di contratto di lavoro a tempo determinato, la cui durata è fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso – Illegittimità costituzionale della proroga ripetuta del conferimento nelle agenzie fiscali di incarichi dirigenziali senza concorso pubblico – Illegittimità costituzionale conseguenziale ex art. 27 legge n. 87/1953 – Art. 8, comma 24 del D.L. 02/03/2012, n. 16, conv. con mod., dalla L. 26/04/2012, n. 44»
Secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale, il conferimento di incarichi dirigenziali nell’ambito di un’amministrazione pubblica deve avvenire previo esperimento di un pubblico concorso; il concorso è necessario anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio. Anche il passaggio ad una fascia funzionale superiore comporta “l’accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate ed è soggetto, pertanto, quale figura di reclutamento, alla regola del pubblico concorso” (sentenza n. 194 del 2002; ex plurimis, inoltre, sentenze n. 217 del 2012, n. 7 del 2011, n. 150 del 2010, n. 293 del 2009). Ne consegue, l’illegittimità costituzionale delle ripetute proroghe del conferimento nelle agenzie fiscali (Agenzia delle dogane, Agenzia delle entrate e Agenzia del territorio) di incarichi dirigenziali senza passare prima per un concorso pubblico. (Massima redazionale)
Nella sentenza, la Consulta ricorda che, considerate le regole organizzative interne dell’Agenzia delle entrate e la possibilità di ricorrere all’istituto della delega, anche a funzionari, per l’adozione di atti a competenza dirigenziale − come affermato dalla giurisprudenza tributaria di legittimità sulla provenienza dell’atto dall’ufficio e sulla sua idoneità ad esprimerne all’esterno la volontà (ex plurimis, Corte di cassazione, Sez. trib. civile, sentenze 9 gennaio 2014, n. 220; 10 luglio 2013, n. 17044; 10 agosto 2010, n. 18515; Sezione VI civile − T, 11 ottobre 25012, n. 17400) – la funzionalità delle Agenzie non è condizionata dalla validità degli incarichi dirigenziali previsti dalla disposizione censurata.
Sugli effetti per gli atti impositivi emessi dai funzionari preposti a incarichi dirigenziali nominati senza concorso
Sul tema, peraltro, nel corso del “question time” seduta del 21 novembre 2013, Camera dei deputati – Commissioni finanze (VI) – 5-01563 Zanetti e Sberna, con oggetto “Contenzioso relativo alle nomine di dirigenti presso l’Agenzia delle entrate” l’Esecutivo ha osservato che per quanto riguarda “la legittimità degli atti emessi dai funzionari preposti a incarichi dirigenziali, si sottolinea che, secondo la giurisprudenza amministrativa, quando la nomina di un soggetto a organo della pubblica amministrazione si appalesi illegittima e venga annullata, gli eventuali atti adottati da tale soggetto restano efficaci, essendo di norma irrilevante verso i terzi il rapporto in essere fra la pubblica amministrazione e la persona fisica dell’organo che agisce (TAR Lazio, 14 febbraio 2011, n. 1379). Al riguardo il Consiglio di Stato ha precisato che l’annullamento giurisdizionale dell’atto di nomina di un funzionario non travolge, in linea di principio, gli atti da questo adottati nell’esercizio della sua funzione e riguardanti soggetti diversi da quelli che hanno impugnato l’atto di nomina (Consiglio di Stato, 10 marzo 2005, n. 992). Si aggiunga che, in base all’articolo 42 del D.P.R. n. 600 del 1973, gli avvisi di accertamento devono essere sottoscritti dal «capo dell’ufficio» (o da un suo delegato): è evidente che «capo dell’ufficio» e «dirigente» non sono espressioni sinonime, come sottolineato nella sentenza del 10 agosto 2010, n. 18515, della Corte di Cassazione, la quale ha appunto stabilito che ai fini della legittimità degli avvisi di accertamento la legge non richiede che il soggetto preposto alla direzione dell’ufficio rivesta qualifica dirigenziale.
Catapano Giuseppe scrive: Conto cointestato fra coniugi: quali regole in caso di separazione?
La Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi proprio lo scorso anno con una sentenza relativa ad un caso nel quale le parti in lite, cointestatarie di alcuni rapporti bancari, erano due coniugi in regime di separazione dei beni e le somme che confluivano in detti rapporti erano frutto unicamente del lavoro del marito. In detta pronuncia la Corte ha chiarito che, se da un lato è vero che quando un conto è cointestato vige una presunzione di contitolarità fra i suoi cointestatari, dall’altro lato però, tale presunzione non è assoluta: nel senso che l’interessato (colui, cioè, che rivendica la titolarità delle somme) può sempre dimostrare il contrario (cosiddetta “inversione dell’onere della prova”).
La cointestazione, infatti, attribuendo agli intestatari la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi del conto sia nei confronti dei terzi, che nei rapporti interni, fa presumere la contitolarità dell’oggetto del contratto, ma tale presunzione non è assoluta, ben potendo essere superata attraverso presunzioni semplici da parte del soggetto che sostenga di essere l’unico titolare delle somme presenti sul conto.
Tali presunzioni sono considerate sufficienti a fornire la necessaria prova della “non contitolarità” purché gravi, precise e concordanti. Si pensi, alle circostanze (facilmente dimostrabili) che le somme depositate sul conto provengono da un conto intestato solo ad uno dei due cointestatari o che sono il prezzo della vendita di beni personali. Anche ordini di accreditamento (come quelli della pensione o dello stipendio) o anche gli assegni emessi a favore di uno solo dei cointestatari e successivamente versati sul conto cointestato costituiscono elementi in grado di provare la titolarità esclusiva.
La suddetta pronuncia ha, inoltre, chiarito che il fatto che uno dei coniugi cointesti all’altro il conto non implica anche la volontà di donargli le somme depositate. In altre parole, l’intenzione di effettuare una donazione indiretta al coniuge, cointestandogli il conto (cosiddetto animus donandi) non può essere presunta dalla semplice contestazione del conto. Quando, infatti, la provvista è costituita solo da redditi di lavoro di uno dei due coniugi, la doppia firma viene concessa solo per consentire all’altro di partecipare alla gestione del risparmio e di effettuare le operazioni allo sportello della banca, ma non anche con l’intenzione di donargli la metà dei risparmi. Tra l’altro, il giudice dovrebbe individuare tale spirito di liberalità in ragione di ogni singolo versamento, in quanto la legge non ammette la donazione di beni futuri.
Pertanto, non essendoci una presunzione a riguardo, occorre che colui ne ha interesse (in tal caso Sua moglie) fornisca in giudizio la prova dello spirito di liberalità del coniuge che da solo ha alimentato la provvista. Prova, di certo, assai più difficoltosa della prima.
È chiaro, tuttavia, che pur in presenza di questa giurisprudenza a Lei favorevole, atteso che comunque per legge si presume vi sia una contitolarità tra i cointestatari di un conto, sarebbe necessario comunque (ove Sua moglie insista nella richiesta) dimostrare la provenienza esclusiva delle somme dai suoi proventi in un giudizio, affrontandone l’alea, i costi e la durata.
Tale situazione si pone in netto contrasto con la volontà da Lei espressa di addivenire ad una separazione consensuale.
Catapano Giuseppe informa: Che cos’è un bonifico parlante
Per chi vuole fare lavori in casa, questo è certamente un periodo favorevole: sono state, infatti, riconfermate, anche per il 2015, le detrazioni fiscali per ristrutturazioni e acquisto di mobili (leggi la nostra guida: “Ristrutturazioni e lavori in casa: proroga dei benefici fiscali. Lo schema”). In particolare si tratta di:
– detrazioni sull’Irpef pari al 50% delle spese sostenute per ristrutturazioni edilizie;
– detrazioni sull’Irpef pari al 50% delle spese sostenute per acquisto di mobili e grandi elettrodomestici;
– detrazioni sull’Irpef e Ires pari al 65% delle spese per il risparmio energetico qualificato.
Ma, attenzione: per godere del bonus è necessario che il pagamento avvenga attraverso il cosiddetto “bonifico parlante”. Si tratta di qualcosa di ben diverso e specifico rispetto al bonifico ordinario. Tant’è vero che, in caso di errore o disattenzione, il contribuente rischia di non vedersi riconosciute le agevolazioni fiscali.
La normativa, a riguardo, è rigidissima: chi effettua il bonifico in modo errato non può più correggerlo, ma dovrà necessariamente farne un secondo. Con la conseguenza che dovrà anche chiedere all’impresa edile o all’artigiano di emettere una nota di credito per il primo pagamento e la restituzione dell’importo già bonificato con le modalità sbagliate. Non solo. Se si ha anche la sfortuna di trovarsi davanti a imprenditori poco onesti, il rischio è quello di non rivedere indietro le somme versate e, così, pagare due volte lo stesso importo.
Dunque, per evitare di sbagliare, ecco una veloce guida sul bonifico parlante che, si ripete, è l’unica e sola modalità di pagamento per usufruire dei bonus in commento.
Il bonifico “parlante” si differenzia da quello comune perché in esso devono essere specificate tutte le informazioni necessarie imposte dalla legge, tanto al fine di non creare confusione con altri pagamenti e non avere problemi nel momento in cui si andrà a presentare la documentazione all’Agenzia delle Entrate per richiedere lo sconto fiscale sulla dichiarazione dei redditi.
Quasi tutte le banche e gli uffici postali sono ormai dotati dei modellini specifici per i pagamenti finalizzati ad ottenere le detrazioni fiscali sui lavori in casa, dove vengono ben illustrati i capi da compilare. Ciò nonostante, ecco alcune informazioni che potranno tornarvi utili.
– Nella causale del bonifico relativo a pagamenti di lavori di ristrutturazione bisognerà specificare che il pagamento viene effettuato ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 16 del d.p.r. 917/1986 (che si riferisce proprio agli interventi che possono usufruire delle detrazioni) oppure della legge 449/1997 (relativa invece ai lavori sulle parti condominiali degli edifici).
– La causale dovrà anche indicare gli estremi della fattura che si sta pagando con il bonifico in commento, emessa dalla ditta che ha effettuato i lavori.
– Bisogna poi indicare gli estremi (nome, cognome e codice fiscale) della persona che effettua il pagamento e a cui sono intestate le fatture per gli interventi di ristrutturazione edilizia.
Nel caso di immobili in comproprietà vanno indicati gli estremi di tutti i soggetti che partecipano alle spese di ristrutturazione, e non solo di chi esegue materialmente il bonifico perché, magari, è stato delegato dagli altri. Solo così ciascuno di essi potrà usufruire dell’agevolazione nella dichiarazione dei redditi.
– Se i lavori attengono ad aree condominiali comuni, il bonifico parlante deve indicare il codice fiscale del condominio e dell’amministratore, oppure del soggetto che esegue l’operazione.
– Nel bonifico va inserita anche la partita Iva o in alternativa il codice fiscale di chi effettua i lavori o fornisce il materiale, cioè dell’impresa di costruzione o del singolo artigiano
Attenzione alla data del bonifico
L’agevolazione cui hai diritto dipende dalla data del bonifico di pagamento e non da quella della fattura che documenta la spesa, né quella di esecuzione delle opere. In ogni caso, la detrazione viene divisa in 10 rate annuali di pari importo. La spesa massima detraibile è riferita alla singola unità immobilare; quindi in caso di cointestazione della casa viene suddivisa tra gli aventi diritto, cioè se sono marito e moglie a ristrutturare un appartamento il limite di 96.000 euro non raddoppia.
Pagamento con carte
Il pagamento deve avvenire (oltre che tramite bonific) anche tramite carte di credito o di debito. In questo caso la data di pagamento viene individuata con quella della transazione e non con quella dell’addebito su conto corrente. Ricorda di conservare la ricevuta di pagamento.
Lo scontrino o la fattura d’acquisto devono contenere i codici fiscali dei beneficiari dell’agevolazione e quello del venditore. Se manca il codice fiscale sullo scontrino e hai pagato con carta di credito, puoi detrarre comunque la spesa se sullo scontrino ci sono natura, qualità e quantità dei beni acquistati e se è riconducibile al contribuente titolare della carta usata per il pagamento grazie alla corrispondenza con i dati del pagamento (esercente, importo, data e ora).