Catapano Giuseppe: Come rinunciare alla proprietà di immobili costosi senza pagare le spese

Il mattone è in crisi. E questo perché mantenere un immobile è diventato estremamente caro: tra tasse sulla casa e sui terreni, imposte locali (vedi smaltimento rifiuti), utenze, condominio, ristrutturazioni, ecc. il rischio di spendere più dell’utile prodotto dal bene è alto. Se poi si aggiungono anche i problemi che potrebbero derivare da una eventuale responsabilità civile (si pensi al crollo di un cornicione o una scala pericolante) allora si rischia di perdere anche ciò che si ha.

È il caso, ad esempio, di chi erediti una quota in comproprietà (o l’intero bene) di un terreno sperduto o di un casolare abbandonato in una zona periferica: l’impossibilità concreta di sfruttare il bene rende lo stesso un vero e proprio peso.

Così, spesso, il proprietario è tentato di disfarsene. Ma si può “abbandonare” un immobile senza che nessuno lo voglia acquistare? Certamente. Vediamo come.

Si può rinunciare alla proprietà
Il proprietario di un bene può rinunciare al proprio diritto di proprietà o alla quota di comproprietà in modo assai semplice.

Se la proprietà è esclusiva, il titolare può rinunciare al proprio il diritto di proprietà e, in tal caso, il bene passa automaticamente nella titolarità dello Stato.

Nel caso, invece, di comproprietà, la rinuncia da parte di uno dei titolari comporta una automatica espansione delle quote degli altri comproprietari. E ciò perché, quando si parla di comproprietà, si deve ragionare in termini di quote astratte sull’intero bene e non su parti identificate dello stesso. Così, per esempio, il comproprietario al 33% non avrà una delle tre camere da letto, uno dei tre bagni, ecc. ma avrà il 33% di ogni singola stanza.
Pertanto, quando uno dei proprietari dichiari di rinunciare alla propria fetta di proprietà, le quote degli altri si accresceranno proporzionalmente e automaticamente, senza che questi ultimi lo possano evitare. Vien da sé che se un immobile è al 50% tra due soggetti, l’eventuale rinuncia dell’uno porterà l’altro ad essere proprietario dell’intero. Né potrebbe impedirlo: tutto ciò che quest’ultimo potrà fare è rinunciare anch’egli alla sua proprietà e, in tal caso, il bene diventa di proprietà dello Stato.

La rinuncia alla comproprietà: come liberarsi delle spese
La rinuncia alla quota di comproprietà può essere effettuata in due diversi modi:

– con la cosiddetta rinuncia “abdicativa”, che, semplicemente, provoca – come appena detto – la perdita del diritto in capo al rinunciante e l’espansione automatica della quota in capo agli altri comproprietari “superstiti”. In tal caso, il rinunciante non è più tenuto a contribuire alle spese sostenute dopo la sua rinuncia, ma rimane obbligato per quelle obbligazioni sorte prima di tale momento;

– con la cosiddetta rinuncia “liberatoria”, che invece produce un particolare effetto [1]: la liberazione del comproprietario rinunciante dalle spese derivanti dalla contitolarità del bene comune (vedi, ad esempio, le spese di manutenzione), sia per le spese future che per quelle prodotte in passato, anche prima della sua rinuncia. In questo caso, dunque, il comproprietario, rinunziando alla propria quota, non solo dismette il diritto di cui è titolare, ma anche si libera da tutte le obbligazioni inerenti la cosa comune, non solo (come è ovvio) per il futuro, ma anche per quelle già sorte in passato.

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