Catapano Giuseppe informa: Come chiedere copia delle cartelle di Equitalia direttamente con l’email

Il contribuente può obbligare Equitalia a mostrargli tutte le cartelle di pagamento, emesse nei suoi confronti, con una semplice email certificata. Infatti, l’Agente della Riscossione è tenuto a rispettare il diritto di accesso agli atti amministrativi dei contribuenti anche se inoltrate per il tramite della Pec (posta elettronica certificata). È quanto emerge da una recente sentenza del Tar Campania .

Così il cittadino che sospetti un debito tributario o abbia ricevuto un avviso di fermo o un pignoramento, senza però ricordare a quali precedenti avvisi si riferiscano, può chiedere ad Equitalia di esibirgli tutta la documentazione.

Il concessionario dovrà adempiere alla richiesta entro 1 mese. Diversamente, al contribuente non resta che la carta del ricorso al tribunale amministrativo contro il silenzio dell’Agente. E questo perché, nonostante si tratti di società privata, Equitalia è equiparata in tutto e per tutto a una pubblica amministrazione.

Insomma, l’accesso agli atti è un diritto del cittadino che intende conoscere i propri debiti con l’erario. Erano stati, del resto, anche il Tar Lazio  e il Consiglio di Stato  a precisare questo importante punto di diritto.

Di fronte alla generica richiesta del contribuente, volta a ricostruire la sua situazione debitoria, Equitalia potrebbe limitarsi a produrre l’estratto di ruolo. Ma – è bene ricordare – si tratta comunque di un atto interno (prodotto dagli uffici e dai terminali di Equitalia) e che, pertanto, in caso di contenzioso tra le parti, non avrebbe alcun valore di prova. Il che, per ovvie ragioni, si tradurrebbe in un vantaggio per il contribuente, non potendo il fisco dimostrare, con prove genuine, il proprio credito.

Meglio, però, chiedere tutta la documentazione, e quindi anche tutti gli atti del procedimento di notificazione. Ossia, nel caso di notifica a mani, la relata compilata dal messo notificatore; nel caso di notifica per posta la copia della cartolina con l’avviso di ricevimento, che dimostra l’effettiva consegna del plico. Il contribuente potrà chiedere di visionare gli originali che, comunque, per ovvie ragioni, non potranno essergli rilasciati (leggi l’articolo di approfondimento: “Accesso agli atti: esigi l’originale da Equitalia”).

Equitalia ha peraltro l’obbligo di conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o l’avviso del ricevimento ed è tenuta ad esibirlo su richiesta del contribuente o dell’amministrazione.

Trenta giorni per rispettare il diritto di accesso
Entro un mese Equitalia deve consegnare al contribuente la copia di tutte le cartelle di pagamento che lo riguardano, dopo che l’interessato ha avanzato la richiesta. Richiesta che, come detto, può essere spedita anche tramite semplice Posta elettronica certificata. In essa, ovviamente, andranno indicati gli estremi del richiedente (nome, cognome, codice fiscale, residenza, data e luogo di nascita) onde non lasciare dubbi sulla sua identità. Non è necessaria neanche l’allegazione di un documento, posto che già la Pec garantisce l’identità del mittente.

Fatto ciò Equitalia non si può trincerare dietro una presunta genericità della domanda. Infatti, la legge sulla trasparenza amministrativa vale anche per gli ex esattori ed impone l’esibizione dei documenti quando il cittadino abbia “un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”. E nessun interesse è più diretto della pesante situazione debitoria a carico del contribuente che magari sta preparando una causa contro il fisco.

Non può essere dunque riconosciuta alcuna discrezionalità a Equitalia, che non può valutare la richiesta del contribuente sotto il profilo della meritevolezza: la copia della cartella di pagamento costituisce di per sé uno strumento utile alla tutela giurisdizionale delle ragioni del contribuente e il concessionario non può affatto sindacare le scelte difensive operate del privato.

Giuseppe Catapano informa: Cartelle Equitalia nulle: risponde Padoan

Intervenuto al question time della Camera, il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha riferito in merito allo scandalo dei falsi dirigenti all’Agenzia delle Entrate sollevato dalla recente sentenza della Corte Costituzionale, scandalo che rischia di rendere nulle milioni di cartelle esattoriali notificate da Equitalia.

Il ministro così ha risposto all’interrogazione: “Non si intravedono rischi di invalidità degli avvisi e delle cartelle esattoriali emesse” da dirigenti dichiarati illegittimi dalla sentenza della Consulta (…). L’affidamento di incarichi dirigenziali a funzionari si è rivelato uno strumento necessario per far fronte a carenze di organico dirigenziale delle Agenzie”.

Ha aggiunto poi il: “Ferma la necessità di tener conto delle indicazioni emerse dalla sentenza della Corte costituzionale – ha concluso – si stanno valutando soluzioni possibili per assicurare piena funzionalità all’operato delle Agenzie”.

Ci sentiamo confortati del fatto che il ministro, così diligentemente, voglia rassicurarci sulla “tenuta” delle casse erariali dal rischio di un buco di proporzioni ciclopiche.

Ci risulta, tuttavia, difficile comprendere come mai il ministro, pur dovendo sapere in anticipo – come del resto già sapeva il personale delle Entrate – quale terremoto stesse per verificarsi, non abbia mai preso, negli anni passati, opportune precauzioni (indire, cioè, un adeguato concorso pubblico come imposto dalla costituzione).

Ed ancora più scettici rimaniamo nel sentire un ministro che parla come se già conoscesse l’orientamento che, in merito, assumeranno i giudici, orientamento che invece – come abbiamo più volte detto in queste pagine – sino ad oggi ha sempre ritenuto gli atti fiscali, firmati da personale non munito di delega, nulli o del tutto inesistenti. Forse il ministro ha avuto un colloquio con i giudici della Cassazione o con tutti i magistrati delle Commissioni Tributarie a cui i contribuenti potrebbero rivolgersi? Cosa fa pensare al ministro che le aule dei tribunali non accoglieranno le pretese di un popolo di contribuenti tartassati e che ora chiede solo che si applichino gli stessi principi giuridici per come sino ad oggi interpretati?

Evidentemente, il ministro parla con le stesse cognizioni giuridiche di chi, sino ad oggi, ha fatto affidamento su una legge dichiarata incostituzionale, perché palesemente lesiva dell’articolo 97 della Costituzione (obbligo di concorso per i pubblici dipendenti). Così come incostituzionali sono state dichiarate tutte le successive proroghe della predetta norma del 2012. Non una, dunque, ma svariate illegalità.

Insomma, ci piacerebbe che dalle istituzioni politiche uscissero esternazioni di carattere politico e non, invece, sostitutive dei compiti della magistratura. Ad essa e non ad altri, spetterà l’ultima parola. Che potrebbe anche essere diversa e opposta rispetto a quanto sino ad oggi affermato (del resto le aule dei tribunali ci insegnano come sia facile cambiare opinione). Ma ciò non cancellerà anni di sentenze che, finora, sono state univoche nel ritenere nulli gli atti firmati da funzionari non solo quando privi di potere, ma addirittura, nel caso in cui, benché regolarmente muniti di delega dal capo ufficio, abbiano “dimenticato” di produrla in giudizio…

Catapano Giuseppe: Come rinunciare alla proprietà di immobili costosi senza pagare le spese

Il mattone è in crisi. E questo perché mantenere un immobile è diventato estremamente caro: tra tasse sulla casa e sui terreni, imposte locali (vedi smaltimento rifiuti), utenze, condominio, ristrutturazioni, ecc. il rischio di spendere più dell’utile prodotto dal bene è alto. Se poi si aggiungono anche i problemi che potrebbero derivare da una eventuale responsabilità civile (si pensi al crollo di un cornicione o una scala pericolante) allora si rischia di perdere anche ciò che si ha.

È il caso, ad esempio, di chi erediti una quota in comproprietà (o l’intero bene) di un terreno sperduto o di un casolare abbandonato in una zona periferica: l’impossibilità concreta di sfruttare il bene rende lo stesso un vero e proprio peso.

Così, spesso, il proprietario è tentato di disfarsene. Ma si può “abbandonare” un immobile senza che nessuno lo voglia acquistare? Certamente. Vediamo come.

Si può rinunciare alla proprietà
Il proprietario di un bene può rinunciare al proprio diritto di proprietà o alla quota di comproprietà in modo assai semplice.

Se la proprietà è esclusiva, il titolare può rinunciare al proprio il diritto di proprietà e, in tal caso, il bene passa automaticamente nella titolarità dello Stato.

Nel caso, invece, di comproprietà, la rinuncia da parte di uno dei titolari comporta una automatica espansione delle quote degli altri comproprietari. E ciò perché, quando si parla di comproprietà, si deve ragionare in termini di quote astratte sull’intero bene e non su parti identificate dello stesso. Così, per esempio, il comproprietario al 33% non avrà una delle tre camere da letto, uno dei tre bagni, ecc. ma avrà il 33% di ogni singola stanza.
Pertanto, quando uno dei proprietari dichiari di rinunciare alla propria fetta di proprietà, le quote degli altri si accresceranno proporzionalmente e automaticamente, senza che questi ultimi lo possano evitare. Vien da sé che se un immobile è al 50% tra due soggetti, l’eventuale rinuncia dell’uno porterà l’altro ad essere proprietario dell’intero. Né potrebbe impedirlo: tutto ciò che quest’ultimo potrà fare è rinunciare anch’egli alla sua proprietà e, in tal caso, il bene diventa di proprietà dello Stato.

La rinuncia alla comproprietà: come liberarsi delle spese
La rinuncia alla quota di comproprietà può essere effettuata in due diversi modi:

– con la cosiddetta rinuncia “abdicativa”, che, semplicemente, provoca – come appena detto – la perdita del diritto in capo al rinunciante e l’espansione automatica della quota in capo agli altri comproprietari “superstiti”. In tal caso, il rinunciante non è più tenuto a contribuire alle spese sostenute dopo la sua rinuncia, ma rimane obbligato per quelle obbligazioni sorte prima di tale momento;

– con la cosiddetta rinuncia “liberatoria”, che invece produce un particolare effetto [1]: la liberazione del comproprietario rinunciante dalle spese derivanti dalla contitolarità del bene comune (vedi, ad esempio, le spese di manutenzione), sia per le spese future che per quelle prodotte in passato, anche prima della sua rinuncia. In questo caso, dunque, il comproprietario, rinunziando alla propria quota, non solo dismette il diritto di cui è titolare, ma anche si libera da tutte le obbligazioni inerenti la cosa comune, non solo (come è ovvio) per il futuro, ma anche per quelle già sorte in passato.

Catapano Giuseppe: Papa Francesco: la Chiesa non abbandona le famiglie anche se lontane. Andrà a Torino il 21 e 22 giugno

“La Chiesa, come madre, non abbandona mai la famiglia, anche quando essa è avvilita, ferita e in tanti modi mortificata. Neppure quando cade nel peccato, oppure si allontana dalla Chiesa; sempre farà di tutto per cercare di curarla e di guarirla, di invitarla a conversione e di riconciliarla con il Signore”. Così Papa Francesco all’udienza generale in piazza San Pietro. “Insieme con i miei collaboratori, abbiamo pensato di proporre oggi: rinnovare la preghiera per il Sinodo dei Vescovi sulla famiglia. Rilanciamo questo impegno fino al prossimo ottobre, quando avrà luogo l’Assemblea sinodale ordinaria dedicata alla famiglia. Vorrei che questa preghiera, come tutto il cammino sinodale, sia animata dalla compassione del Buon Pastore per il suo gregge, specialmente per le persone e le famiglie che per diversi motivi sono «stanche e sfinite, come pecore che non hanno pastore» (Mt 9,36). Così, sostenuta e animata dalla grazia di Dio, la Chiesa potrà essere ancora più impegnata, e ancora più unita, nella testimonianza della verità dell’amore di Dio e della sua misericordia per le famiglie del mondo, nessuna esclusa, sia dentro che fuori l’ovile”. “Santa Famiglia di Nazareth – si legge nella preghiera – il prossimo Sinodo dei Vescovi possa ridestare in tutti la consapevolezza del carattere sacro e inviolabile della famiglia, la sua bellezza nel progetto di Dio”.

Intanto si è appreso che per la prima volta Papa Francesco si tratterra’ per due giorni in una diocesi italiana: restera’ infatti a Torino il 21 e 22 giugno. Lo ha annunciato l’arcivescovo Cesare Nosiglia che ha reso noto il programma del viaggio nella Sala Stampa della Santa Sede, nel corso di una conferenza stampa promossa per presentare l’ostensione della Sindone decisa in occasione del secondo centenario della nascita di don Bosco. “Appena arrivato a Torino, il 21 alle 8,30, Francesco incontrera’ il mondo del lavoro in Piazzatta Reale”, ha detto Nosiglia sottolineando “la difficile situazione occupazionale, legata alla crisi economica”. Subito dopo il Papa si rechera’ alla Cattedrale per pregare davanti alla Sindone. Nel programma anche una visita al Tempio Valdese, alle ore 9 del 22 giugno. “Si tratterra’ per circa un’ora con la comunita’ protestante, con la quale abbiamo ottimi rapporti, ed e’ la prima volta che un Papa fa visita ai valdesi. Poi – ha aggiunto Nosiglia – Francesco rientrera’ in Arcivescovado dove in forma strettamente privata incontrera’ alcuni suoi familiari, con i quali si fermera’ anche a pranzo”.

Giuseppe Catapano informa: Isis, smantellata cellula in Italia: tre arresti

Smantellata cellula in Italia: 3 arresti tra Torino e Albania. Reclutava aspiranti jihadisti. Perquisizioni in Lombardia, Piemonte e Toscana. Il militante islamico arrestato dalla polizia in Italia e’ un 20enne cittadino italiano di origine marocchina, residente in provincia di Torino, attivissimo su internet e ritenuto l’autore di un testo, redatto in italiano, dal titolo “Lo Stato Islamico, una realta’ che ti vorrebbe comunicare”, diffuso attraverso i social network dallo scorso novembre e finito sui giornali qualche settimana fa. Si tratta di un documento di 64 pagine che illustra nel dettaglio le attivita’ del Califfato nei territori occupati, descrivendolo come un vero e proprio “Stato” che offre benessere e protezione ai suoi cittadini, ma nel contempo spietato con i suoi nemici. La sua importanza – secondo gli investigatori – non risiede tanto nei contenuti, che ormai si ritrovano in molteplici testi o video diffusi dallo Stato Islamico tramite Internet, quanto piuttosto nel fatto che e’ stato ideato per essere destinato specificatamente a un potenziale pubblico italiano o di lingua italiana. Le indagini hanno documentato che lo scritto e’ stato poi rilanciato da altri utenti, attraverso facebook o siti Internet, per consentirne la massima diffusione tra gli islamici che parlano italiano.

I due albanesi bloccati dalla Polizia di Stato, rispettivamente in provincia di Torino e in Albania, nell’ambito dell’operazione “Balkan Connection”, dopo la partenza di un italo-marocchino residente nel bresciano, avevano individuato un altro aspirante combattente da inviare in Siria. Si tratta di un giovanissimo italo-tunisino residente in provincia di Como, ancora minorenne all’epoca dei primi approcci avvenuti sempre tramite Internet, che, inizialmente titubante, era stato progressivamente convinto ad aderire al Califfato di Abu Bakri Al Baghdadi. Proprio per rinforzare i suoi propositi di combattente, l’estremista arrestato oggi in Albania era appositamente venuto in Italia per incontrarlo. In applicazione della recenti misure di contrasto al fenomeno dei foreign fighters introdotte con il recente decreto legge antiterrorismo, il giovane italo-tunisino sara’ sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza. Contestualmente, il questore di Brescia ha disposto la sospensione dei suoi documenti validi per l’espatrio.

Il nipote faceva il procacciatore via web di potenziali mujaheddin, lo zio completava l’inserimento in gruppi combattenti grazie ai suoi “contatti diretti” con scenari di guerra come la Siria insieme al ventenne italiano di origine marocchina residente in provincia di Torino. Ora l’accusa per i due albanesi è di “reclutamento con finalità di terrorismo”. Per il 20enne italo-marocchino il reato ipotizzato è invece di “apologia di delitti di terrorismo, aggravata dall’uso di Internet”. L’operazione è stata condotta dalla Digos di Brescia con il concorso delle Questure di Como, Torino e Massa Carrara. I due reclutatori conoscevano Anas e avevano convinto a combattere per l’Isis anche un italo-tunisino residente in provincia di Como, all’epoca ancora minorenne. Le indagini sono partite dai contatti tra El Abboubi e i due albanesi. Prima di arrivare in Siria Anas, già arrestato dalla Digos a giugno del 2013 e scarcerato, si era addestrato proprio in Albania

Il procuratore di Brescia, Tommaso Buonanno ha confermato, in conferenza stampa, i tre arresti e le 8 perquisizioni effettuate nell’ambito dell’indagine sull’Isis. L’inchiesta – ha spiegato – e’ stata avviata nel 2012 e interessa oltre Brescia, Como il Piemonte e la Toscana. Due arresti riguardano il reato di “arruolamento per finalita’ di terrorismo internazionale”, il terzo, un italiano figlio di marocchini, e’ accusato di aver diffuso su Internet il documento ‘Stato islamico’, “il primo documento di propaganda – ha detto Buonanno – scritto in italiano”.

“Se non fossimo intervenuti, riteniamo che a breve molti avrebbero potuto aderire a questa deriva”. Cosi’ il dirigente della Digos di Brescia, Giovanni De Stavola, durante la conferenza stampa in Procura sull’operazione ‘Balkan connection’. Il sostituto procuratore Lesti ha poi spiegati che il materiale sequestrato agli arrestati – pubblicistica e filmati video diffusi sul web – erano “destinati a italiani di seconda generazione che, al compimento del 18mo anno d’eta’ sarebbero diventati cittadini italiani”. In particolare, il documento in italiano era chiaramente “diretto a ragazzi italiani, un target ben definito”.

“La regione balcanica si confermaì nodale per il radicalismo di matrice islamica, in virtu’ dell’incessante attivismo di soggetti e di gruppi estremisti di orientamento salafita, sempre piu’ coinvolti nel reclutamento e nel trasferimento di jihadisti in territorio siriano ed iracheno”. L’allarme lanciato dai servizi segreti italiani nell’ultima Relazione al Parlamento pare confermato dall’operazione di polizia che stamane ha portato alla scoperta di una cellula di presunti estremisti attivi sull’asse Italia-Albania. I nostri 007 segnalano come “particolarmente attivi alcuni gruppi presenti in Albania, Bosnia-Erzegovina, FYROM, Kosovo, Montenegro e Serbia”, gruppi che “ruotano attorno a leader per lo piu’ bosniaci e di etnia albanese”. E “specie in Kosovo, al di la’ dell’approccio radicale predicato da taluni imam, l’idea del jihad sembra allignare soprattutto in alcune aree meridionali, dove il diffuso disagio socio-economico accentua la permeabilita’, specie tra i piu’ giovani, all’azione di proselitismo di impronta salafita”.

“L’Isis è in Italia. Adesso continueranno ad accusarci di razzismo o daranno ascolto alle nostre proposte?”. Lo chiede il leghista Roberto Calderoli, vice presidente del Senato, in riferimento agli arresti di tre persone avvenuti oggi fra l’Italia e l’Albania in un’operazione anti-terrorismo contro una presunta cellula di jiahadisti con accuse di reclutamento con finalità di terrorismo. “Quante volte come Lega abbiamo ripetuto che favorire un’immigrazione incontrollata comporta il pericolo di infiltrazioni terroristiche tra i clandestini?”, è l’accusa di Calderoli che sottolinea come “da sinistra ci sono piovute addosso accuse di ogni tipo, da quella di razzismo a quella di xenofobia, ma sarei curioso di sapere se questi buonisti hanno il coraggio di ripetere le stesse accuse oggi, che è stata ufficialmente scoperta una cellula dell’Isis nel nostro paese”. Calderoli afferma ancora: “Le operazioni dell’antiterrorismo, alcune delle quali ancora in corso, in Lombardia, Piemonte e Toscana evidenziano uno scenario preoccupante. Ringrazio le Forze dell’ordine che hanno permesso di scoprire questa rete internazionale di contatti jihadisti, ma – evidenzia – c’è la responsabilità del governo Renzi, e in particolare del ministro Alfano, di averci regalato questo scenario da incubo che mi auguro con tutto il cuore non debba in futuro diventare ancora più fosco”. “Adesso ascoltino le nostre proposte, bloccando le partenze verso l’Italia, sospendendo le operazioni di traghettamento, chiudendo le frontiere e ripristinando la legalità – conclude – con la speranza che non sia ormai troppo tardi”.

Giuseppe Catapano: Agenzia delle Entrate, esteso in tutta Italia il servizio web ticket elimina-code

Dopo la sperimentazione avviata in alcuni uffici territoriali, il servizio di web ticket dell’Agenzia delle Entrate si estende ora su scala nazionale.
Per utilizzare il servizio occorre connettersi all’home page del sito http://www.agenziaentrate.it (Contatti>Contatta l’Agenzia>Assistenza fiscale>code online) e, all’interno della sezione Elimina code online, prenotare il proprio web ticket, selezionando la regione (o la città), l’ufficio e il servizio desiderato. Occorre poi inserire e inviare alcuni dati personali per ricevere sulla propria posta elettronica un’email di conferma della prenotazione, con un link al web ticket numerato, da stampare e portare con sé alle Entrate. In ufficio, il contribuente potrà arrivare direttamente all’orario indicato dal webticket e sarà chiamato dal primo operatore libero.
I contribuenti, spiega l’Agenzia delle Entrate, hanno la possibilità di prenotare il proprio biglietto e selezionare il servizio a partire dalle sei del mattino, fino a esaurimento della disponibilità per la giornata. Ogni web ticket può essere utilizzato esclusivamente nel corso della giornata in cui è richiesto e nell’orario indicato nella prenotazione. Tra il momento della prenotazione via Internet e l’erogazione effettiva del servizio è previsto un intervallo di tempo, in modo da consentire al contribuente di raggiungere comodamente l’ufficio.

Catapano Giuseppe: Modalità di deduzione delle spese di vitto ed alloggio dei professionisti

Recentemente il legislatore è intervenuto sul regime fiscale delle spese di vitto e alloggio dei professionisti stabilendo che “le prestazioni alberghiere e di somministrazione di alimenti e bevande acquistate direttamente dal committente non costituiscono compensi in natura per il professionista”.

È rimasta, invece, invariata la previsione secondo cui tali tipologie di prestazioni (ovvero le spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazione di alimenti e bevande) nel caso siano state direttamente spesate da parte del professionista stesso, sono deducibili nella misura del 75% e, in ogni caso, per un importo che complessivamente non può superare il 2% dell’ammontare dei compensi che il professionista ha percepito quali corrispettivo della sua attività nel corso del periodo d’imposta.

Con la citata novella normativa, che è entrata in vigore a partire dal 1° gennaio 2015, non viene quindi più richiesto – ai fini della deducibilità del costo sostenuto direttamente dal committente per conto del professionista dal reddito imponibile del professionista stesso – l’addebito in fattura, da parte del lavoratore autonomo, delle spese di vitto ed alloggio stesse: è stata, quindi, superata la procedura che a suo tempo era stata individuata dall’Agenzia delle Entrate .

La modifica che è stata operata nel 2014  si riferisce esclusivamente alle“prestazioni alberghiere e di somministrazione di alimenti e bevande”, senza andare ad incidere su altre tipologie di spese che il professionista può trovarsi a sostenere nel corso della sua attività ed indispensabili per il suo svolgimento, come quelle relative, ad esempio, agli spostamenti del professionista pagati direttamente dal committente (biglietti di aerei, treni, ecc.): in proposito, l’Agenzia delle Entrate ha, infatti, osservato che tale regime non è applicabile alle spese per prestazioni e somministrazioni acquistate dal lavoratore autonomo e analiticamente addebitate in fatture al committente, né a quelle relative a prestazioni diverse (ad esempio, i servizi di trasporto), ancorché acquistate direttamente dal committente .

In tale sede, è stato inoltre precisato che la norma che stiamo esaminando  – non attribuendo il carattere di “compensi in natura” ad alcune tipologie di prestazioni e somministrazioni nel caso in cui siano state acquistate direttamente dal committente – comporta una deroga al principio generale che viene enunciato dal TUIR secondo cui il rimborso delle spese a favore del professionista da parte del committente, ovvero il sostenimento delle spese direttamente a cura del committente, costituisce un’erogazione che deve essere considerata come un compenso erogato a favore del professionista stesso.

La conseguenza di tale deroga comporta, quindi che i valori corrispondenti alle prestazioni e somministrazioni acquistate da parte del committente, di cui lo stesso professionista ha beneficiato per rendere la propria prestazione, sono completamente irrilevanti, ai fini della determinazione del reddito da lavoro autonomo in capo al professionista, sia nel caso in cui siano considerati dal punto di vista dei compensi in natura sia nel caso in cui siano considerati sotto il profilo delle spese per la produzione del reddito. Quindi, sempre in sede di determinazione del reddito imponibile del professionista, finiscono per essere del tutto neutri sia nel momento in cui si vanno a prendere in considerazione i fattori che incrementano il reddito imponibile sia nel momento in cui si vanno a considerare quei fattori che riducono il reddito medesimo.

Va poi tenuto in considerazione il fatto che per il committente, sia esso impresa o lavoratore autonomo, la deducibilità del costo che è stato sostenuto per la fruizione del servizio alberghiero o di ristorazione non è più subordinata all’effettiva ricezione della parcella da parte del professionista, e finisce per dipendere esclusivamente dalle regole che risultano essere ordinariamente applicabili alle rispettive categorie reddituali di appartenenza.

L’Agenzia delle Entrate ha, inoltre, provveduto a chiarire il fatto che la modifica normativa che stiamo commentando – nel momento in cui sancisce che le prestazioni e le somministrazioni che sono state acquistate dal committente e fruite dal professionista nell’esercizio della propria attività non hanno rilevanza di compenso in natura– è diretta alla semplificazione degli adempimenti contabili e fiscali precedentemente previsti e non comporta, per quanto riguarda il committente, un trattamento fiscale relativamente alle spese alberghiere ed a quelle per la somministrazione di alimenti e bevande peggiorativo rispetto a quello che tornava applicabile prima dell’entrata in vigore della citata novità legislativa.

Di conseguenza, in capo al committente non opera il limite di deducibilità del 75% del costo delle prestazioni da lui acquistate e fruite dal professionista. Tale orientamento presuppone, naturalmente, che risulti essere possibile la dimostrazione dell’inerenza della spesa sostenuta rispetto all’attività svolta da parte del committente, l’effettività della stessa e che dalla documentazione fiscale risultino quali sono gli estremi del professionista che ha usufruito delle prestazioni o somministrazioni.

La disposizione è ritenuta applicabile anche nella determinazione dei redditi diversi derivanti dall’esercizio di attività occasionali in conseguenza della sostanziale identità tra la nozione di compenso riferibile all’attività di lavoro autonomo professionale e quella ascrivibile all’attività di lavoro autonomo non abituale .

Da quanto sinora detto deriva il fatto che, ovviamente, anche gli importi relativi alle prestazioni alberghiere e di somministrazioni di alimenti e bevande, che sono state acquistate direttamente dal committente, da un lato non possono essere ritenuti compensi in natura a favore del lavoratore autonomo non abituale e dall’altro, specularmente, non possono essere ritenuti deducibili dal reddito di lavoro autonomo non abituale .

Catapano Giuseppe comunica: Turismo 2015, 3000 assunzioni nelle maggiori aziende italiane

Con l’arrivo della stagione estiva, arriva anche una boccata d’ossigeno, per i numerosi, giovani e non, alla ricerca di lavoro; notevoli, sono infatti, i posti stagionali creati dall’indotto turistico: animatori, camerieri, cuochi, receptionist, istruttori, sono solo alcune delle mansioni richieste, ormai davvero variegate, dal cineoperatore al parrucchiere, dalla babysitter al cantante.

Valtur, ad esempio, ha recentemente avviato il “Recruiting Tour”, una campagna di reclutamento che toccherà le maggiori città italiane: ben 400 le posizioni offerte. I selezionatori saranno a Catania il 23 Marzo, a Torino il 26 Marzo, a Bari il 3 Aprile , a Napoli il 7 Aprile, a Roma il 10 Aprile, ed infine a Milano il 15 Aprile.
Le aree d’interesse aperte sono Intrattenimento, Food&Beverage, Alberghiero, Fotografia, Beauty Center & Hairdressing e Boutique.
È possibile inviare la propria candidatura attraverso il sito dell’Azienda, e conoscere gli aggiornamenti in tempo reale consultando il profilo Facebook della Società.

Tutti gli aspiranti, giudicati idonei in fase di colloquio saranno invitati a partecipare a Valtur Academy, la scuola di formazione della Società, tra le migliori del settore: difatti, è stata certificata con l’ambito standard UNI EN ISO 9001:2008 . I candidati seguiranno un percorso di formazione teorico/pratico su temi comportamentali e tecnici con un team di formatori altamente qualificato e specializzato, che consentirà di intraprendere la stagione con gli strumenti adatti, la padronanza delle mansioni e la giusta motivazione.

Anche la Star Swiss, società svizzera specializzata nell’animazione turistica che collabora con il gruppo Alpitour World e con i suoi marchi di riferimento, sta avviando nuovi inserimenti: sono 900 i posti di lavoro disponibili, all’interno dei Villaggi Bravo, Francorosso, Alpitour e Karambola.
Il reclutamento 2015 avverrà tramite l’innovativa campagna Stars Factory, che utilizzerà lo stesso modello dei casting.

Le figure coinvolte sono numerose, dai capi villaggio agli animatori dei junior club, dai musicisti ai ballerini. L’offerta è rivolta , per i settori sportivi, intrattenimento e P.R., a giovani di età compresa tra i 18 e i 30 anni, mentre per servizi alberghieri i candidati ideali, di età tra 25 e 40 anni, dovranno possedere una consolidata esperienza nel settore turistico, della ristorazione o del ricevimento.

Le tappe di selezione più vicine sono previste a Milano, il 26 Marzo, ed a Bologna, il 10 Aprile.

Per candidarsi è necessario compilare l’apposito form online disponibile sulla pagina “lavora con noi” del sito dell’Azienda; coloro che saranno reputati idonei, saranno contattati telefonicamente dai recruiters.

Anche Orovacanze, società specializzata nella gestione di strutture alberghiere, con sede principale in Veneto, al pari della concorrenza, sta utilizzando lo strumento dei “recruiting days” per l’assunzione del personale: l’Azienda opera attraverso diverse società e brand, per i settori Leisure, Commerciale, Città d’arte, Villaggistica e Residenziale.

1200 opportunità provengono poi da Samarcanda, marchio di proprietà della Praxis Srl, impresa specializzata nella formazione, attiva da oltre vent’anni nel settore dell’intrattenimento e dell’animazione turistica. Per la prossima stagione estiva, si ricercano diversi profili, la maggioranza dei quali appartenenti al settore animazione, per villaggi situati nelle più prestigiose località turistiche italiane e nel mondo, tra cui Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Croazia, Liguria, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Trentino Alto Adige, Val d’Aosta, Veneto e Svizzera.

Infine Club Esse, un’agenzia di servizi di animazione turistica, ricerca 400 giovani da inserire in diversi villaggi situati in Sardegna, Toscana, Puglia, Calabria e Basilicata, che possano offrire la propria disponibilità nei mesi di luglio ed agosto; numerose le aree d’inserimento, dall’animazione alla danza.

Tutte le selezioni elencate presentano dei punti in comune: agli aspiranti si richiede, generalmente, la disponibilità a spostamenti e trasferte, una notevole flessibilità oraria, la conoscenza approfondita di almeno una lingua straniera, il possesso di un passaporto valido. Completano il profilo una buona predisposizione ai rapporti interpersonali, positività e carattere aperto.

Giuseppe Catapano informa: Aumento delle donne occupate, nonostante la crisi

In dieci anni le donne occupate sono aumentate del 6,2%. e l’incremento si registra anche nelle posizioni di vertice. Tutto questo nonostante la crisi che ha colpito invece gli uomini (-3,9%).
A dirlo è il Rapporto Donne 2015 di Manageritalia, sviluppato in collaborazione con AstraRicerche e JobPricing. Che ha sottolineato come nel settore privato oggi il 15,1% dei dirigenti e il 28,4% dei quadri è donna.
Il mondo del lavoro nel nostro paese in questo senso è disomogeneo: a fronte di alcune aree geografiche e settori più “rosa”, fare la manager in Italia resta spesso ancora complicato.
Certo siamo ancora lontani dall’Europa (25% le dirigenti nel privato), ma comunque in recupero. Inoltre secondo la ricerca le donne rappresentano negli ultimi anni il 44% dei cervelli in fuga.
Il rapporto evidenzia che a livello regionale le dirigenti sono in percentuale più presenti nel Lazio (19,7%) e Lombardia (17,1%). Idem per i quadri, dove spiccano il 32,3% del Lazio, seguito da Sardegna (31,6%), Valle d’Aosta (30,7%) e Lombardia (30%).
In termini assoluti, le donne dirigenti sono di più a livello regionale in Lombardia (47% del totale nazionale) e provinciale a Milano (37,6%). Idem per i quadri: Lombardia 35,2%) e Milano (27,9%), facendo della Lombardia, la regione rosa per eccellenza.
A livello di ruolo in aumento le donne che operano nel general management (25,9% dirigenti e 13,7% quadri). Il settore economico più rosa è nel privato, Sanità e assistenza sociale (42,2% donne dirigenti e 50,8% quadro), ultimo Costruzioni (7,8% donne dirigenti e 14,9% quadro).
Rimane il gap del divario retributivo, anche se sta assottigliandosi.
In Italia le donne nelle professioni dei media sono in aumento, soprattutto come giornaliste, ma ancora mal rappresentate nei consigli di amministrazione o in ruoli di “comando”.
Le donne ai vertici delle quattro organizzazione monitorate per l’Italia (Rai, Mediaset, Corriere della Sera, La Repubblica) sono soltanto l’11% verso la media europea del 32%.
Sicuramente la situazione in Europa rimane molto frammentata; su tutti il Regno Unito vede tingersi sempre più di rosa, il panorama media, con l’ultima donna in ordine di tempo, che ha scalato i vertici dei colossi della comunicazione, raggiungendo il comando della BBC.
Sul fronte istituzionale e politico, l’ultima proposta viene dalla Vicepresidente del Senato, Valeria Fedeli, che invita alla “stipula di un patto trasversale tra donne che hanno un ruolo decisionale con l’obiettivo di incrementare l’occupazione femminile”.
Secondo Anna Debora Morabito, del Comitato Tecnico scientifico CoLAP: “Il Rapporto di Manager Italia restituisce lo spaccato di un Paese ancora parecchio indietro rispetto alla media europea in quanto a politiche di Gender Diversity legate al mondo del lavoro.
Permangono in maniera marcata i fenomeni della segregazione orizzontale – ovvero la preclusione all’accesso di determinate tipologie di professioni per le donne – e quella verticale, ossia l’impedimento alla crescita in termini di ruoli apicali nelle realtà aziendali, tranne che per i settori a ‘tipico’ appannaggio femminile.
Perdura nel privato anche il dato legato ai gap salariali, ovvero le forme discriminatorie di tipo retributivo riservate alle donne.
Unico spostamento favorevole pare essere quello connesso al tasso occupazionale che vede un incremento per le figure femminili.
E’ un dato su cui però mi porrei due tipi di questioni.
Come precisa l’Istat, è “occupato” chiunque nella settimana di rilevazione “abbia svolto almeno un’ora di lavoro in una qualsiasi attività che preveda un corrispettivo monetario o in natura”.
Pertanto, il tasso di incremento attestato dal rapporto potrebbe sottendere l’essersi maggiormente diffuse le contrattualizzazioni ‘precarizzanti’ riservate alle donne.
L’altra questione concerne invece il livello di congruità del lavoro che viene offerto alla beneficiaria – congruità che si fonda sul percorso di formazione effettuato, sulle esperienze pregresse e sulle attitudini del soggetto.
Il mercato del lavoro è lo specchio che restituisce pedissequamente i tratti della realtà socio-politica in cui è calato. Per affrancarsi dalla condizione di non equità in cui versiamo occorre un costante quanto strutturale lavoro sul piano culturale e sociale che contempli l’intervento e la piena attuazione di azioni politiche e investimenti economici mirati.
Garantire politiche e attività di work life balance e favorire la flessibilità organizzativa potrebbe essere un valido quanto iniziale strumento di supporto.
Creare opportunità per le donne significa produrre benessere per l’individuo; ingenerare qualità della vita per i soggetti femminili vuol dire innalzamento del benessere ‘familiare’, organizzativo e sociale tout court”.
Molto è stato fatto, in questi ultimi anni, dopo la dichiarazione di Pechino per i diritti delle donne, ma tanto rimane ancora da fare, a partire da una cultura che affronti la parità di genere nel senso più ampio del termine, portando le donne ad una piena partecipazione su tutti i settori della vita sociale.
Per far questo, bisogna partire e rivedere, dai diritti e tutele esistenti, per far fronte ai notevoli cambiamenti socio-economici che hanno investito le società odierne.

Giuseppe Catapano informa: Il diritto di accesso alle informazioni ambientali: ampliamento del novero dei soggetti legittimati nella giurisprudenza amministrativa

In linea generale, il diritto di accesso alle informazioni contenute in un documento reperibile presso una Pubblica Amministrazione è regolamentato dagli artt. 22 e ss. della L. 241/1990, che espressamente riconoscono tale diritto non a tutti i cittadini, ma solo a chi è detentore di un interesse concreto ed attuale alla consultazione del documento stesso. Il diritto di accesso in materia ambientale è invece regolamentato dal D.Lgs. 195 del 19 agosto 2005, il quale ha recepito la direttiva europea 2003/4/CE sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale abrogando la previgente disciplina di cui al D.Lgs. n. 39 del 1997.
Una serie di recenti sentenze del giudice amministrativo ha concorso a delineare i contenuti del diritto di accesso alle informazioni ambientali, chiarendone le peculiarità rispetto alla regolamentazione dell’accesso nelle altre materie.
La frequenza delle pronunce ed il consolidarsi di un orientamento netto ed uniforme da parte del giudice amministrativo ci consente lo svolgimento delle seguenti considerazioni di sintesi.
Un contributo particolarmente incisivo è dato dalla sentenza della quarta sezione del Consiglio di Stato che, 20 maggio 2014, n. 2557, secondo cui la disciplina dell’accesso ai documenti amministrativi in materia ambientale “prevede un regime di pubblicità tendenzialmente integrale dell’informativa ambientale, sia per ciò che concerne la legittimazione attiva, ampliando notevolmente il novero dei soggetti legittimati all’accesso in materia ambientale, sia per quello che riguarda il profilo oggettivo, prevedendosi un’area di accessibilità alle informazioni ambientali svincolata dai più restrittivi presupposti di cui agli artt. 22 e segg., l. 7 agosto 1990 n. 241”.
Peraltro, con la medesima sentenza, il Consiglio di Stato ha precisato che “le informazioni cui fa riferimento la succitata normativa concernono esclusivamente lo stato dell’ambiente (aria, sottosuolo, siti naturali etc.) ed i fattori che possono incidere sull’ambiente (sostanze, energie, rumore, radiazioni, emissioni), sulla salute e sulla sicurezza umana, con esclusione quindi di tutti i fatti ed i documenti che non abbiano un rilievo ambientale” (Consiglio di Stato sez. IV, 20 maggio 2014, n. 2557).
Con la ancor più recente sentenza n. 6687 del 17 dicembre 2014, il Tar Campania, Napoli, in linea con la posizione precedentemente assunta dai giudici di Palazzo Spada, ha accolto il ricorso presentato da una associazione senza scopo di lucro con finalità di salvaguardia dell’ambiente e da un privato cittadino in tema di diritto di accesso alle informazioni ambientali regolato dal citato D.Lgs. 195/2005, confermando che il diritto di accesso è finalizzato a garantire la più ampia diffusione delle informazioni ambientali detenute dalle autorità pubbliche essendo a tal fine prevista “un’area di accessibilità […] svincolata dai più restrittivi presupposti” indicati dall’art. 22 e ss. della L. 241/1990, purché sia verificata la sussistenza di un “genuino interesse ambientale fatto valere” e l’esclusione, per contro, di “finalità diverse, ad es. di tipo economico – patrimoniale”. Sicché l’interesse all’accesso all’informazione ambientale è “da considerare in re ipsa per ciascun essere umano o ente che lo rappresenti o ne sia emanazione, ai sensi dell’art. 3, comma 1, del citato D.Lgs. n. 195” (Tar Calabria, Catanzaro, sez. I, 19 settembre 2011, n. 1231
Come chiarito dal G.A. in altro recente arresto, infatti, “l”accesso alle informazioni ambientali è del tutto svincolato da motivazioni precise e dalla dimostrazione dell’interesse del singolo, in quanto l’informazione ambientale consente, a chiunque ne faccia richiesta, di accedere ad atti o provvedimenti che possano incidere sull’ambiente quale bene giuridico protetto dall’ordinamento, con l’unico limite delle richieste “estremamente generiche”, posto che esse devono essere specificamente individuate con riferimento alle matrici ambientali ovvero ai fattori o alle misure di cui all’art. 2 punto 3, d.lg. n. 195 del 2005″ (TAR Sicilia, Palermo, sez. I, 17 marzo 2014, n. 809). Ciò vale anche per gli organismi associativi, essendo anche questi ultimi esonerati dall’allegare alcuna specifica concreta situazione legittimante, purchè sia comunque dimostrata l’inerenza dell’istanza di accesso formulata ai propri scopi statutari (Cons. Stato, sez. VI, 22 dicembre 2004, n. 8200).
Questo non significa, peraltro, che il richiedente possa effettuare accesso in difetto di quel “genuino interesse ambientale” -richiesto dal D.Lgs. 195/2005- all’integrità della matrice ambientale. È dunque sempre necessario dimostrare l’incidenza concreta dell’atto amministrativo richiesto sui valori giuridici ambientali (Cons. Stato, sez. V, 14 febbraio 2003, n. 816), “con la conseguenza che l’accesso all’informazione ambientale può essere legittimamente negato nei casi di richieste manifestamente irragionevoli ovvero espresse in termini eccessivamente generici” (Consiglio di Stato sez. IV, 20 maggio 2014, n. 2557); tuttavia la P.A. non può subordinare l’accoglimento dell’istanza all’accertamento della sussistenza di uno specifico interesse qualificato. Al contrario, una eventuale richiesta di documentazione all’interessato da parte dell’amministrazione finalizzata alla verifica dell’esistenza di un interesse concreto ed attuale da parte dell’istante che possa giustificare l’esercizio del diritto di accesso, si porrebbe in aperto contrasto con la ratio della disciplina speciale che risulta preordinata a garantire la massima trasparenza sulla situazione ambientale e a consentire un controllo diffuso sulla qualità ambientale, mediante la deliberata eliminazione di ogni ostacolo, soggettivo od oggettivo, al completo ed esauriente accesso alle relative informazioni (ex pluris TAR Lazio, Roma, sez. III, 28 giugno 2006 , n. 5272).
Quanto sopra è l’evidente attuazione, nell’ordinamento interno, del principio comunitario in forza del quale “l’esigenza che le informazioni ambientali trovino ampia diffusione si fonda essenzialmente sul fatto che la conoscenza di questo tipo di dati (e l’accesso alla relativa documentazione) non realizza semplicemente un interesse del privato richiedente ma è condizione per la realizzazione di un interesse pubblico: quello alla tutela dell’ambiente e anche, molto spesso, della salute della collettività” (Corte di Giustizia UE, sez. III, 28 luglio 2011, n. 71).
Volendo dunque in conclusione tracciare un quadro di estrema sintesi dell’istituto così come delineato dalle recenti pronunce, possiamo osservare che la speciale fattispecie di accesso delineata dal D.Lgs. 195/2005 si connota, rispetto a quella generale prevista nella L. 241/1990, sotto un duplice profilo:
– l’estensione del novero dei soggetti legittimati all’accesso;
– il contenuto delle cognizioni accessibili.
Sotto il primo profilo, l’art. 3, D.Lgs. 195/2005 chiarisce che le informazioni ambientali sono di appartenenza generalizzata, spettando ad ogni soggetto di diritto, senza necessità di collegamento con una data situazione giuridica soggettiva.
Quanto al secondo aspetto, il nostro ordinamento considera informazione ambientale qualsiasi informazione contenuta in provvedimenti amministrativi ma anche in atti endo-procedimentali (lettere, relazioni, nastri, video, pareri etc.) che abbiano attinenza con l’ambiente, intendendo con ciò sia quella relativa allo stato dell’ambiente sia quella relativa alle attività, ai provvedimenti ed alle decisioni della pubblica amministrazione che abbiano un qualche effetto sull’ambiente. Il citato articolo 3 estende il contenuto delle notizie accessibili alle “informazioni ambientali” (che, come chiarisce la sentenza del Tar Calabria, 9 dicembre 2014 n. 793, “implicano anche un’attività elaborativa da parte dell’Amministrazione debitrice delle comunicazioni richieste”), assicurando, così, al richiedente una tutela più ampia di quella garantita dall’art. 22 della L. 241/1990, oggettivamente circoscritta ai soli documenti amministrativi già formati e nella disponibilità dell’Amministrazione: secondo il Consiglio di Stato, rientra nel concetto di “informazioni ambientali” “qualsiasi informazione disponibile in forma scritta, visiva, sonora o contenuta nelle basi di dati in merito allo stato delle acque, dell’aria, del suolo, della fauna, della flora, del territorio e degli spazi naturali, nonché alle attività (incluse quelle nocive, come il rumore) o misure che incidono negativamente o possono incidere negativamente sugli stessi, nonché alle attività o misure destinate a tutelarli, ivi compresi misure amministrative e programmi di gestione dell’ambiente” (Cons. Stato, sez. IV, 7 settembre 2004, n. 5795).
Le uniche limitazioni poste dal D.Lgs. 195/2005 sono indicate espressamente all’art. 5, che nega l’accesso quando l’informazione richiesta è:
a)detenuta da un ufficio diverso rispetto a quello a cui è stata inoltrata la richiesta, in questo caso la P.A. deve però provvedere a indicare presso quale ente è reperibile l’informazione;
b)manifestamente irragionevole, eccessivamente generica oppure quando sia su dati incompleti o in corso di completamento;
c)pregiudizievole per un’autorità pubblica; per le relazioni internazionali; per lo svolgimento di procedimenti giudiziari, alla riservatezza delle informazioni commerciali o industriali (sentenza del 20 agosto 2013, n. 4181 del Consiglio di Stato), ai diritti di proprietà intellettuale, alla riservatezza dei dati personali o riguardanti una persona fisica;
d)pregiudizievole per la tutela dell’ambiente o del paesaggio.