Giuseppe Catapano informa: Convertito in legge il decreto legge Milleproroghe: riaperti i termini per la rateazione delle cartelle di Equitalia e prorogata la possibilità di accesso al regime di vantaggio

Con 156 voti favorevoli, 78 contrari e un’astensione, il Senato ha approvato definitivamente il DDL n. 1779, di conversione del decreto-legge n. 192 del 31 dicembre 2014, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative (cosiddetto milleproroghe 2015).

Il provvedimento dispone proroghe di termini nelle seguenti materie: pubbliche amministrazioni, giustizia amministrativa, sviluppo economico, competenze del Ministero degli interni, beni culturali, istruzione, sanità, infrastrutture e trasporti, ambiente, economia e finanze, interventi emergenziali, regime fiscale per energie da fonti rinnovabili, federazioni sportive nazionali, contratti di affidamento di servizi. In sede di conversione in legge sono stati introdotti articoli aggiuntivi concernenti: i contratti di solidarietà, la disciplina transitoria per l’abilitazione professionale degli avvocati, il Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, la Commissione per l’autorizzazione ambientale integrata.
In materia fiscale si segnala la novella introdotta dal comma 12-quinquies dell’articolo 10, che consente ai contribuenti decaduti dal beneficio della rateazione di poter beneficiare di un nuovo piano, articolato fino ad un massimo di settantadue rate mensili. La possibilità di accesso al piano di rateazione è riconosciuta su richiesta dell’interessato, da formalizzare entro il 31 luglio 2015, e per i casi in cui la decadenza sia intervenuta entro il 31 dicembre 2014.

Focus sulla proroga per tutto l’anno 2015 delle disposizioni in materia di regime fiscale di vantaggio

Articolo 10
Comma 12-undecies

Il comma 12-undecies, dell’articolo 10 del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, convertivo in legge, in corso di pubblicazione nella Gazzetta ufficiale, introdotto durante l’esame parlamentare, proroga per tutto l’anno 2015, le disposizioni in materia di regime fiscale di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità di cui all’articolo 27, commi 1, 2 e 7 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98.
Si rammenta che l’articolo 1, comma 85 della legge di stabilità per il 2015 ha abrogato, con la lettera a) il regime fiscale agevolato per le nuove iniziative imprenditoriali e di lavoro autonomo (di cui all’articolo 13 della legge 388/2000) e con la lettera b) il citato regime fiscale di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità (di cui all’articolo 27 del D.L. 98/2011), ed infine con la lettera c) le disposizioni dell’articolo 1, commi da 96 a 115 e 117 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 che disciplinavano il vecchio regime dei minimi, “richiamate”, tuttavia, anche per disciplinare il sopra citato regime di vantaggio.

Con la modifica in esame si proroga per tutto l’anno 2015 il regime agevolato di vantaggio “abrogato” dalla citata lettera b) del richiamato articolo 1, comma 85 della legge di stabilità per il 2015 con la conseguenza che non solo potranno continuare ad utilizzare detti regimi coloro che già ne usufruivano (come peraltro già previsto nella legge di stabilità per il 2015), ma potranno scegliere tali regimi anche coloro che inizieranno nuove attività nel corso del 2015.
Tuttavia, con documenti interpretativi, andranno regolamentati i casi in cui i contribuenti, avendo già optato nei due mesi dell’anno in corso per il nuovo regime forfetario – così come disciplinato dalla citata legge di stabilità per il 2015 – decidano di voler scegliere uno il regime agevolato ora prorogato; ciò si rende opportuno al fine di escludere contenziosi tributari e contributivi, visto che la circolare INPS n. 29 del 10 febbraio 2015 ha obbligato i contribuenti ad inviare per l’accesso al regime previdenziale agevolato un apposita dichiarazione.
Brevemente si ricorda che il regime fiscale di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e per i lavoratori in mobilità prevede un limite dei ricavi di 30 mila euro e l’aliquota sostitutiva del 5 per cento; detto regime interessa coloro che, presentandone i requisiti, intraprendono una nuova attività ovvero coloro che l’hanno iniziata a partire dal 31 dicembre 2007, per il periodo d’imposta in cui l’attività è iniziata e per i quattro successivi ovvero fino al compimento del trentacinquesimo anno d’età.
Per quanto attiene invece, il previgente regime dei “vecchi” minimi di cui all’articolo 1, commi da 96 a 115 e 117 della legge24 dicembre 2007, n. 244 e successive modificazioni esso prevedeva un limite dei ricavi di 30 mila euro e l’aliquota sostitutiva del 20 per cento. Rientravano nel regime dei minimi le imprese individuali e i professionisti che nell’anno precedente presentavano determinati requisiti (soglia dei ricavi, mancanza di lavoratori dipendenti o collaboratori, mancanza di cessioni all’esportazione, limite agli acquisti di beni strumentali).

La deroga alla legge 190/2015 per la proroga del regime di vantaggio

Il testo del comma 12-undecies dell’articolo 10 introdotto nella conversione in legge del decreto-legge n. 192 del 31 dicembre 2014

«12-undecies. In deroga a quanto previsto dall’articolo 1, comma 85, lettere b) e c), della legge 23 dicembre 2014, n. 190, sono prorogate le disposizioni previste dagli articoli 27, commi 1, 2 e 7, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e 1, commi da 96 a 115 e 117, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, e successive modificazioni, per i soggetti che, avendone i requisiti, decidono di avvalersene, consentendone la relativa scelta nel corso dell’anno 2015. Agli oneri derivanti dal presente comma, pari a 9,6 milioni di euro per l’anno 2015, a 71,4 milioni di euro per l’anno 2016, a 46,7 milioni di euro per ciascuno degli anni 2017, 2018 e 2019 e a 37,1 milioni di euro per l’anno 2020, si provvede mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307. Le maggiori entrate derivanti dal presente comma, pari a 24,7 milioni di euro per l’anno 2021, affluiscono al Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui al citato articolo 10, comma 5, del decreto-legge n. 282 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 307 del 2004. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.»

Catapano Giuseppe comunica: Visto di conformità su 730 precompilato e altre dichiarazioni: i chiarimenti per Caf e professionisti

Nuove istruzioni per Caf, dottori commercialisti e consulenti del lavoro che rilasciano il visto di conformità sulle dichiarazioni, alla luce delle modifiche introdotte dal decreto “semplificazioni” (D.Lgs. 21 novembre 2014, n. 175). Con la circolare n. 7/E del 26 febbraio 2015, le Entrate forniscono chiarimenti in merito alle modifiche contenute nel suddetto decreto semplificazioni con riferimento alle sanzioni, previste dall’articolo 39 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, alle garanzie, di cui agli articoli 6 e 22 del decreto del Ministro delle finanze 31 maggio 1999, n. 164 e alle modalità di esecuzione dei controlli, di cui all’articolo 26 del medesimo decreto ministeriale

Chi può apporre il visto sul 730

La circolare specifica che il visto di conformità sul 730 può essere rilasciato solo dai Caf e dai professionisti iscritti:

· nell’albo dei dottori commercialisti ed esperti contabili;

· nell’albo dei consulenti del lavoro.
In pratica, l’attività di assistenza fiscale e di apposizione del visto di conformità sulla dichiarazione 730 è riservata agli iscritti nell’Albo dei dottori commercialisti ed esperti contabili e agli iscritti nell’Albo dei consulenti del lavoro, restando esclusi da tali attività gli iscritti nei ruoli di periti ed esperti tenuti dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la sub-categoria tributi alla data del 30 settembre 1993, in possesso di diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o equipollenti o diploma di ragioneria.
Nel sito internet dell’Agenzia delle entrate saranno consultabili i dati dei professionisti legittimati al rilascio del visto, con espressa indicazione dell’abilitazione all’apposizione del visto di conformità sulle dichiarazioni modello 730, il luogo di svolgimento dell’attività, l’eventuale svolgimento dell’attività in forma associata ovvero l’utilizzo di società di servizi.
In ogni caso, le Entrate ricordano che i professionisti che intendono apporre il visto di conformità devono darne comunicazione alle Entrate. Una volta presentata la comunicazione, il professionista può immediatamente prestare assistenza fiscale. L’Agenzia precisa che per la specifica attività di assistenza sui 730, i professionisti non possono avvalersi di una società di servizi e che, nel caso di associazione professionale, ogni singolo professionista che intenda rilasciare il visto deve essere personalmente abilitato.

Per il 730/2015 abilitazioni entro il 7 luglio

Caf-imprese e Caf-dipendenti possono svolgere l’attività di assistenza fiscale in seguito all’autorizzazione della Direzione regionale delle Entrate compente. Per apporre il visto sul 730, è necessario essere abilitati alla data di apertura del canale di trasmissione delle dichiarazioni precompilate e comunque prima della trasmissione delle dichiarazioni. I professionisti abilitati dopo il 7 luglio 2015 (ultima data per presentare i 730), potranno prestare assistenza fiscale solo a partire dal 2016.

Le novità in materia di controllo e assistenza fiscale

I Caf e i professionisti che rilasciano il visto di conformità sul 730 non devono verificare la correttezza dei redditi indicati dal contribuente, salvo quelli di lavoro indicati in dichiarazione, che devono corrispondere a quanto esposto nelle certificazioni (Cu). Inoltre, per quanto riguarda i controlli che Caf e professionisti devono effettuare in relazione alle dichiarazioni IVA, alle richieste di rimborso Iva infrannuale e a tutte le altre dichiarazioni dei redditi, il documento di prassi conferma quanto illustrato rispettivamente nelle circolari n. 57/E del 2009 e 28/E del 2014.

Un mese in più per fornire chiarimenti

La circolare chiarisce che a partire dall’assistenza fiscale prestata nel 2015, Caf e professionisti avranno 60 giorni di tempo per trasmettere telematicamente la documentazioni richieste dall’Agenzia. Entro i successivi 60 giorni, l’Amministrazione finanziaria comunicherà l’esito del controllo e i motivi per cui ha rettificato i dati contenuti in dichiarazione, in modo da permettere ai Caf e ai professionisti di fornire ulteriori chiarimenti.

Polizze assicurative

I Caf e i professionisti abilitati al rilascio del visto di conformità devono adeguare il massimale della polizza per la copertura dei rischi derivanti dall’assistenza fiscale (stabilito dal decreto semplificazioni in tre milioni di euro), prima dell’apposizione del visto, anche se la polizza stessa non era ancora scaduta alla data di entrata in vigore del decreto. Solo in caso di visto di conformità sulla dichiarazione 730, la polizza deve essere integrata anche con la previsione esplicita della copertura del nuovo rischio (rilascio di visto infedele). Per mantenere l’abilitazione, il requisito della copertura assicurativa deve permanere nel tempo; pertanto il professionista deve trasmettere alla Direzione regionale competente una copia del rinnovo della polizza assicurativa o l’attestato di quietanza di pagamento.

Se il visto è infedele

La circolare chiarisce che le responsabilità in capo al Caf o al professionista sono limitate al solo visto infedele, e non ai comportamenti di condotta dolosa o gravemente colposa del contribuente.

Nel dettaglio la circolare ricorda che in caso di visto infedele i Caf e i professionisti abilitati sono tenuti, nei confronti dello Stato o del diverso ente impositore, al pagamento di un importo corrispondente alla somma dell’imposta, degli interessi e della sanzione, nella misura del 30 per cento, che sarebbe stata richiesta al contribuente ai sensi dell’articolo 36-ter del D.P.R. n. 600 del 1973.
Inoltre, se il Caf o il professionista riscontrano errori sul visto, sono tenuti ad avvisare il contribuente e a presentare una dichiarazione rettificativa entro il 10 novembre dell’anno in cui è stata prestata assistenza, anche senza il consenso di quest’ultimo. La responsabilità degli intermediari è, in questi casi, limitata al pagamento dell’importo corrispondente alla sola sanzione che sarebbe stata richiesta al contribuente. L’Amministrazione finanziaria ha, infine, il potere di sospendere o di revocare l’abilitazione ai professionisti che hanno commesso gravi e ripetute inadempienze, ad esempio l’alterazione della scelta del contribuente in merito alla destinazione del due, cinque e otto per mille. (Cfr. comunicato stampa dell’Agenzia delle entrate del 26 febbraio 2015)

Catapano Giuseppe: Paesi in cui si mangia meglio: classifica. Ciad primo, Armenia ultima

Tanta frutta e verdura e poco cibo spazzatura: il Ciad si aggiudica la palma d’oro di Paese in cui si mangia meglio al mondo. Almeno dal punto di vista della salute. Nel complesso è il continente africano la rivelazione della classifica stilata dai ricercatori dell’Università di Cambridge e pubblicata sulla rivista Lancet Global Health. L’Italia scivola in fondo alla lista: la dieta mediterranea ormai è un ricordo, il junk food impazza.
I ricercatori britannici hanno usato i dati nazionali di circa il 90% della popolazione del mondo e analizzato quello che le persone hanno mangiato tra il 1990 e il 2010. Poi hanno stilato le top ten dei Paesi più e meno virtuosi in base ad alcuni criteri.
Innanzitutto quanti cibi salutari venivano consumati. E con questo termine si intendono frutta, verdura, legumi, frutta secca, semi (come quelli di girasole, lino, zucca, sesamo…), cereali integrali, latte, pesce, acidi grassi polinsaturi (quelli che fanno bene), acidi grassi omega-3 e fibre.
L’altro parametro di riferimento era dato da quanto gli abitanti dei vari Paesi consumavano i sette alimenti che fanno male alla salute: carni rosse, insaccati, bevande zuccherate, grassi saturi, grassi trans, alimenti ad alto contenuto di colesterolo e sodio.
Ecco la classifica dei 10 Paesi più salutisti emersa da questo studio:
Ciad
Sierra Leone
Mali
Gambia
Uganda
Ghana
Costa d’Avorio
Senegal
Israele
Somalia
Ed ecco quella dei Paesi meno virtuosi:
Armenia
Ungheria
Belgio
Repubblica Ceca
Kazakistan
Bielorussia
Argentina
Turkmenistan
Mongolia
Slovacchia

Catapano Giuseppe informa: Banda italiani-romeni, bambino di 8 anni venduto e comprato a 30mila euro

Una banda di italiani e romeni ha venduto un bambino (romeno) di 8 anni a 30mila euro. E’ successo a Messina, scrive Gianluca Rossellini sul Corriere del Mezzogiorno. A comprare il piccolo, una coppia siciliana che vive in Svizzera e che non poteva avere figli e non riusciva ad adottarli. A venderlo, sei italiani e due rumeni, ora accusati di associazione per delinquere finalizzata alla riduzione in schiavitù.
I quattro fermati italiani, scrive l’agenzia Ansa, sono Vincenzo Nibali, 47 anni, di Castell’Umberto, Franco Galati Rando e Aldo Galati Rando, rispettivamente di 46 e 54 anni, entrambi di Tortorici, e Vito Calianno, di 43.
Gli investigatori, spiega sempre l’Ansa, hanno fermato anche la madre ed il fratello del bambino romeno, che oggi ha otto anni. L’età del piccolo non è casuale e si ricollega all’escamotage tentato dai due coniugi per riuscire ad avere un figlio ad ogni costo.
Nel 2008, ricostruisce l’Ansa, la coppia, originaria della provincia di Messina, aveva denunciato la nascita di un bambino mai esistito. Si sarebbe poi attivata per attribuire le generalità di questo figlio “fantasma” ad un bimbo individuato in Romania attraverso alcuni intermediari.
I due coniugi, spiega l’Ansa, si sarebbero accordati con i familiari del bambino per una cifra di trentamila euro. La consegna del denaro sarebbe avvenuto il 17 gennaio scorso in una zona di campagna nei Nebrodi. Una settimana dopo i due coniugi, con la madre rumena ed il fratello maggiorenne del bambino venduto, partono alla volta di Messina. Ma i carabinieri, che stavano già monitorando la vicenda, intervengono prima della consegna del bimbo ai futuri genitori. Il piccolo è stato adesso affidato ad una comunità per minori di Messina e potrà essere adottato regolarmente.

Catapano Giuseppe scrive: Agenzia Entrate, rimborso dopo 24 anni. Non paga perché non sa calcolare interessi

Agenzia Entrate non sa calcolare gli interessi quando è morosa. Un caso a Torino. Per far diventare l’Agenzia delle Entrate da nemico a partner dei contribuenti non basta uno schiocco delle dita come Fonzie, ha detto a fine anno Renzi: ma quanto tempo serve all’Ufficio delle Entrate di Torino per calcolare gli interessi sul rimborso di una cartella esattoriale emessa senza motivo? Anche una vita, se guardiamo al caso di uno “sconcertato contribuente” di Torino che ha scritto al quotidiano La Stampa.
Dopo 24 anni di ricorsi e ottenuto il definitivo sì al rimborso di una cartella che non avrebbe mai dovuto essere inviata, il contribuente ha ricevuto sì i soldi che gli spettavano ma senza un centesimo di interessi. Perché, gli ha rivelato una funzionaria, semplicemente l’Agenzia non dispone di un software che calcoli in automatico gli interessi quando è la stessa Agenzia a essere morosa. Il software dedicato agli interessi dei contribuenti morosi c’è invece e funziona con rapidità fulminea.
Dopo 24 anni l’apparente vittoria. «All’inizio de 2014 ottengo lo sgravio della cartella e il relativo rimborso». Dodicimila euro in tutto: quanto pagato nell’89, senza un centesimo di interesse in più. Il contribuente chiede spiegazioni ma i risultati sono ancora più deludenti.
Lo scorso aprile l’uomo si è nuovamente rivolto all’Ufficio delle Entrate «che mi inviava a ritrasmettere copia della stessa richiesta: probabilmente era andata persa. Ho richiamato gli uffici qualche giorno fa e una gentilissima funzionaria mi ha comunicato che manca ancora la procedura per il rimborso». Tradotto: l’Agenzia dice di non saper calcolare gli interessi.
«Mi hanno detto che manca il software per calcolarli in automatico». E quindi, in via precauzionale, l’Agenzia aspetta. Anzi, fa aspettare. «Mi hanno suggerito di attendere altri sei mesi. Ora mi chiedo: se tardo a pagare una tassa qualsiasi, la procedura per addebitarmi gli interessi di mora esiste in automatico. Perché lo stesso principio non vale anche per l’Agenzia delle Entrate?»

Catapano Giuseppe osserva: Trenord, il contratto premia ritardi. E i macchinisti rallentano

Trenord: se treno ritarda macchinisti pagati di più. Il paradosso contrattuale. La denuncia anonima alla Gazzetta di Mantova di tre macchinisti ferrovieri di Trenord, oggi si chiamano agenti di condotta, ha alzato un polverone per la presenza di una trentina di “furbetti” che facendo ritardo a bella posta guadagnano di più.
Al netto della buona fede dei macchinisti, limpida fino a prova contraria, il punto sensibile sta nel paradosso di “contratti alla rovescia” che invece di incoraggiare la puntualità, incentivano i ritardi. Oggi che la parola d’ordine della gestione Trenord è la puntualità, non solo per la felicità dei pendolari, ma anche perle casse della società nata dal matrimonio tra Trenitalia e Ferrovie Nord Italia, il bubbone del contratto è esploso definitivamente.
Fino al 2011, sotto l’ombrello di Trenitalia, ogni ora di condotta alla guida del locomotore veniva pagata 10,10 euro. Nel contratto aziendale Trenord firmato il 22 giugno 2012, invece, la retribuzione è proporzionale al minutaggio: le prime due ore vengono pagate 6 euro ciascuna, la terza 9, la quarta 12 e così via.
Non solo, il contratto prevede anche una sorta di bonus, una remunerazione variabile dell’attività di condotta complessiva nel turno di lavoro: 15 euro al raggiungimento delle 3 ore, 25 alla quarta, 30 se si sta alla guida per 5 ore e così fino ai 40 euro per 7 ore di condotta nel turno.
«Il contratto è alla rovescia perché se io rispetto il mio orario, che sulla Milano-Mantova è di 3 ore e 40 minuti, guadagno meno di chi accumula ritardo – spiega uno dei macchinisti – Peggio, se io arrivo in anticipo mi vengono decurtati 20 centesimi al minuto. Morale, al netto dei guasti, che pure si verificano, è capitato che qualche collega rallentasse apposta la marcia. Casi isolati, certo, però è successo. Con questo non è che voglia gettare la croce addosso ai colleghi, ma solo sottolineare l’incoerenza del contratto».

Catapano Giuseppe: Jihadi John è Mohamed Emwazi, londinese. Isis, svelata l’identità del boia

Si chiama Mohamed Emwazi, ha 27 anni ed è di Londra. E’ l’identità di “Jihadi John“, il ragazzo incappucciato che abbiamo imparato a riconoscere nei terribili video dell’Isis. Fino ad oggi sapevamo che era giovane, con marcato accento britannico, e che con un coltellaccio sgozzava ostaggi americani o inglesi. Oggi sappiamo anche chi è: Mohamed ha 27 anni, è di una zona ovest di Londra, ed è nato in Kuwait.
Viene da una famiglia agiata ed è laureato in informatica. Fino al 2012, a quanto pare, ha condotto una vita “normale” in Gran Bretagna, poi si è arruolato nell’Isis, probabilmente nel 2012. Tutte queste informazioni le ha diffuse la Bbc che a sua volta si basa su un comunicato di Scotland Yard.
Fino ad oggi si pensava che Jihadi John fosse l’ex rapper e dj Abdel-Majed Abdel Bary, un ragazzo londinese di 23 anni. Mohamed Emwazi è comparso per la prima volta in un video Isis nell’agosto 2014, con la decapitazione dell’americano James Foley.
Secondo fonti vicine al terrorista, Emwazi si sarebbe avvicinato all’estremismo islamico dopo un viaggio in Tanzania organizzato a maggio del 2009. In realtà Emwazi e due suoi amici – un tedesco convertito all’Islam che si chiama Omar e un certo Abu Talib – non hanno mai fatto la vacanza perché sono stati arrestati all’aeroporto di Dar es Salaam ed espulsi il giorno dopo. Le fonti non rivelano le ragioni dell’arresto.
“Jihadi John” era stato detenuto dall’antiterrorismo britannico nel 2010 dopo essere arrivato a Londra dal Kuwait. In quell’occasione la polizia gli aveva preso le impronte digitali e lo aveva perquisito, inserendo poi il suo nome nella lista dei terroristi sotto controllo, e gli aveva anche vietato la possibilità di espatrio e quindi di ritorno in Kuwait.
Intanto i jihadisti continuano a seminare il terrore in Siria. E’ salito a 220 il numero dei cristiani rapiti dall’Isis: 15 di loro sono stati uccisi. Sono cristiani assiri rapiti negli ultimi tre giorni nella regione nord-orientale di Hasaka, punto di collegamento con il Califfato in Iraq. Lo riferisce l’Osservatorio siriano per i diritti umani secondo il quale i sequestri di cristiani sono avvenuti in dieci villaggi intorno al capoluogo Hasaka. L’Isis però ha ucciso 15 cristiani rapiti, nel governatorato di Hassake, al confine Nord-orientale con l’Iraq. Negli stessi territori è anche in corso da domenica l’offensiva dei peshmerga curdi dell’Ypg sostenuti dai raid aerei della coalizione internazionale guidata dagli Usa.

Catapano Giuseppe informa: Ucraina: il vero nemico è il Fmi

Più ancora dei separatisti filo russi il vero nemico dell’Ucraina potrebbe essere il Fondo Monetario Internazionale.

Secondo due fonti citate da Bloomberg, infatti, se il conflitto nella parte orientale dell’ex blocco sovietico dovesse continuare, l’istituto di Washington potrebbe smettere di sostenere economicamente il paese fortemente indebitato la cui economia è messa in ginocchio dal conflitto sanguinolento.

Kiev rischia di perdere i 17,5 miliardi di dollari di aiuti concessi dai paesi membri del Fmi. Il programma di 4 anni deve ancora essere approvato dal consiglio direttivo del Fondo, che rappresenta 188 nazioni.

Ottenere il via libera diventa sempre più difficile ora che i ribelli filo russi continuano la loro avanzata. Se dovessero conquistare zone strategiche come la città portuale di Mariupol – evento temuto dal Regno Unito che per questo motivo ha deciso di inviare 75 soldati che avranno il compito di addestrare le forze locali – il Fondo Monetario Internazionale potrebbe chiudere i rubinetti.

Se da un lato l’escalation del conflitto, ormai degenerato in una guerra civile, renderebbe più difficile l’apprrovazione del pacchetto di aiuti, i rappresentanti del Fondo cercheranno in tutti i modi di mantenere finanziariamente in vita il paese dell’est Europa, a meno che non scoppi una guerra aperta e frontale con la Russia in tutta l’Ucraina.

Entrambe le fonti citate dall’agenzia di stampa americana hanno chiesto di non essere nominate perché si tratta di informazioni confindenziali.

Solo il dubbio che i fondi dovessero finire, metterà sotto pressione gli alleati dell’Ucraina. Europa e Stati Uniti si vedranno costretti a offrire supporto finanziario per evitare che Kiev diventi più vulnerabile alle pressioni economiche russe e all’incursione dei separatisti.

Inoltre nel caso in cui il conflitto dovesse intensificarsi, nonostante gli accordi di tregua firmati a Minsk da Francia, Germania, Ucraina e Russia, il governo di Petro Poroshenko farebbe fatica a rispettare gli impegni presi con il Fmi.

Se Kiev dovesse tardare a ripagare i debiti, il Fondo potrebbe stancarsi di essere coinvolto nella crisi umanitaria, politica e diplomatica più grave dai tempi della Guerra Fredda.

Dopo aver avvertito che una guerra in Ucraina sarebbe un evento “apocalittico”, anche se improbabile, il presidente russo ha usato parole pesanti riferendosi alla decisione di Kiev di tagliare le forniture di gas alle zone occupate dai separatisti.

“Puzza un po’ di genocidio”, ha detto Vladimir Putin durante la conferenza stampa tenuta a Mosca al termine del suo incontro con l’omologo cipriota Nicos Anastasiades.

Catapano Giuseppe comunica: Ecco come Renzi ha tolto potere a notai per darlo a banche

In molti ricorderanno i toni trionfalistici con cui il premier Matteo Renzi ha presentato il ddl concorrenza, descrivendolo come una misura per ridurre i privilegi del mondo delle lobby. Diversa l’opinione contenuta nell’articolo di Dagoreport, secondo cui il disegno di legge “in realtà sembra consegnare il mercato immobiliare nelle mani di banche e assicurazioni, eliminando le tutele per i cittadini”.

Di fatto, scrive Dagoreport, nel combinare “insieme la norma che consentirebbe l’ingresso di soci di capitale nelle società tra professionisti (art. 26, comma 1, lett. d) e la norma che estende a duecentoquarantamila avvocati (privi del titolo del concorso pubblico) attribuzioni della funzione pubblica, per autenticare vendite, donazioni e mutui (al momento di uso non abitativo e del valore catastale inferiore a 100000 euro)”, il ddl sulla concorrenza “crea la legittimazione del progetto già in essere da parte di grandi gruppi bancari (ad es. Unicredit e Intesa)”.

Il titolo dell’articolo è più che indicativo: “Il regalo di Renzi alle banche – Altro che liberalizzazioni: il premier toglie competenze ai notai per regalarle ai grandi istituti come Intesa e Unicredit, pronte a mangiarsi pure il mercato immobiliare”.

A sostegno della teoria, vengono citate due notizie: Una, recentessima, relativa a Intesa SanPaolo che allo sportello venderà case, attraverso “Intesa Sanpaolo Casa, interna al gruppo e focalizzata esclusivamente sulla intermediazione immobiliare. Che, come primo passo, introdurrà all’interno delle proprie filiali agenzie immobiliari con personale dedicato”; l’altra, ancora più recente, che riguarda Unicredit, che oltre a offrire Subito Casa offre ora ai suoi clienti “Fascicolo Casa, un documento che raccoglie tutte le caratteristiche più importanti dell’immobile, come quelle catastali, quelle relative alla certificazione energetica o urbanistiche: un corposo documento che accompagna l’immobile al fine di agevolare i soggetti coinvolti nella compravendita”, come sottolinea l’articolo di MutuiOnLine.it Adesso la casa si compra in Banca.

Cosa c’entra l’espansione delle grandi banche nel mercato immobiliare con il ddl concorrenza del governo Renzi? C’entra molto secondo l’articolo, dal momento che si tolgono competenze ai notai, che sono pubblici ufficiali, per consegnarle alle banche, che “potranno creare un monopolio, occupandosi di tutto: compravendita, mutuo, e pure assicurazione”.

Insomma, “viene fatta fuori la figura terza ed indipendente del notaio, sostituita da autenticatori orientati a fare l’interesse delle società e non a garantire le tutele di entrambi contraenti”. Nessun beneficio dunque per il cittadino consumatore.

Dagoreport conclude: “Che belle le liberalizzazioni in cui si toglie una prerogativa a un soggetto privato, ma con funzioni e responsabilità pubbliche (il notaio), per consegnarle a un altro soggetto privato, che però ha il solo interesse dei suoi azionisti. Lo sanno anche i sassi che il problema per i cittadini non sono i notai o le loro funzioni, ma le esorbitanti tasse di registro e sugli immobili che devono riscuotere per conto dello Stato. E’ riducendo quelle, e non regalando un mercato alle banche, che si incentiva l’iniziativa privata”.

Giuseppe Catapano scrive: Multe, tassa rifiuti e sulla casa: Equitalia e pignoramenti in bilico

Equitalia potrebbe rinunciare alla notifica di milioni di cartelle esattoriali per multe e tributi locali (quali le imposte sulla casa e sui rifiuti). Questo perché una legge del 2012, la cui attuazione è stata rimandata sino a oggi, ha stabilito che le sanzioni e i tributi locali non potranno più essere riscossi da Equitalia, bensì da società in house (appartenenti cioè agli stessi Comuni) o da soggetti esterni che avranno firmato un’apposita convenzione con i municipi italiani. All’approssimarsi dell’ultimo rinvio, nulla è cambiato né Equitalia ha fatto sapere se intende costituire un consorzio con Anci (l’Associazione Nazionale Comuni Italiani) per la riscossione coattiva delle entrate locali. Ragion per cui, a strettissimo giro, i Comuni saranno per legge obbligati a sbarazzarsi di Equitalia e a non inviarle più i ruoli sulla base dei quali emettere poi le cartelle esattoriali. In pratica, nonostante le autorità di polizia continueranno a elevare e notificare le multe per violazione del codice della strada; nonostante l’amministrazione comunale proseguirà nell’attività ispettiva per il mancato pagamento dei tributi locali, nulla si potrà fare poi, in termini concreti, contro i contribuenti se non inviare loro una lettera di sollecito di pagamento. E questo perché solo l’Agente per la riscossione (Equitalia appunto) può formare le cartelle esattoriali per dar vita all’esecuzione forzata. Risultato: non venendo formata la cartella , mancherà anche il titolo esecutivo per poter procedere al fermo auto, all’ipoteca sulla casa o al pignoramento di conti, pensioni, stipendi, ecc. Insomma, il pagamento di diversi miliardi di euro delle entrate dei nostri Comuni (si pensi che solo le multe stradali superano un miliardo e mezzo) verrà rimesso al “buon cuore” degli italiani. E non è difficile immaginare quale possa essere la risposta dei contribuenti, già sufficientemente tartassati (ma – ciò che è peggio – privi dei servizi profumatamente pagati alle amministrazioni locali). Il divieto di esecuzione forzata toccherà non solo i debiti maturati alla scadenza del mandato, ma anche le procedure già in corso che dovranno essere stoppate, in quanto Equitalia sarà formalmente destituita di tutti i propri poteri. Dunque, le eventuali cartelle notificate in questi anni e che non hanno dato luogo alla procedura di riscossione saranno “abbandonate” e non produrranno più, sul piano pratico, effetti per i contribuenti. Non esiste infatti alcuna norma che attribuisca ad Equitalia il potere di effettuare la riscossione coattiva, senza una procedura ad evidenza pubblica.