Condannato per “distrazione” di una corposa somma dall’“attivo fallimentare della società”. Ma l’accusa di “bancarotta” nei confronti dell’amministratore si rivela assai fragile…
Su questo punto sono significative le valutazioni compiute dai giudici della Cassazione, i quali, ritenendo legittime le obiezioni mosse dall’uomo, evidenziano alcune ‘stranezze’ nel ragionamento seguito in Corte d’Appello.
Innanzitutto, “la bancarotta” contestata all’amministratore “si fonda sulla rilevante differenza tra il valore dell’immobile, come indicato nel mutuo ipotecario concesso dalla banca per la ristrutturazione, e il successivo prezzo di cessione”, però “i dati di fatto che hanno portato all’accertamento di responsabilità risultano acquisiti attraverso la testimonianza del curatore, sulla cui diligenza nell’accertamento dei fatti costitutivi del reato contestato non si possono che nutrire fondati dubbi”, anche considerando che egli “non si era nemmeno accorto che tale mutuo non era mai stato erogato dalla banca, né aveva fatto alcun accertamento in tal senso…”.
Allo stesso tempo, “la valutazione di sproporzione del prezzo di vendita dell’immobile è stata effettuata dal curatore senza nemmeno ispezionarlo, per verificarne le condizioni, senza farlo periziare e senza neppure acquisire o leggere l’atto di mutuo fondiario che era stato ritenuto probante in relazione alla valutazione dell’immobile ivi contenuta. Condotta assai poco diligente, soprattutto se si considera che accade purtroppo con una certa frequenza (ma soprattutto accadeva nel passato) che il valore degli immobili nei contratti di mutuo sia gonfiato per ottenere maggior credito dalla banca”.
Eppoi, aggiungono i giudici, non bisogna dimenticare, in merito ai “rapporti tra l’atto ed il fallimento”, che “la vendita precedette il fallimento di ben undici anni” e che “il passivo della procedura concorsuale era molto contenuto”, pari a circa 45.000 euro.
Evidente, per i giudici di Cassazione, che le “prove a carico, valorizzate dal giudice d’appello, quantomeno in relazione all’elemento oggettivo del reato (in particolare con riferimento alla sproporzione del prezzo di vendita), sono ben poco consistenti e comunque non sufficienti a fondare una sentenza di condanna per bancarotta fraudolenta”.
Tutto ciò spinge, ovviamente, a riaffidare la vicenda ai giudici di secondo grado, i quali dovranno effettuare una “nuova valutazione sulla sussistenza degli elementi costitutivi del reato contestato”.
Mese: marzo 2015
Catapano Giuseppe informa: VEICOLI IMMATRICOLATI PER IL TRASPORTO DI COSE: DA DIMOSTRARE LA STRUMENTALITÀ ALL’ESERCIZIO DELL’IMPRESA. CREDITO D’IMPOSTA A RISCHIO
‘Nero su bianco’ la “immatricolazione” dei due “veicoli” acquistati dalla società, “esercente attività di deposito e trasporto di medicinali”: essi, difatti, sono registrati come “autocarri per il trasporto di cose”. Ciò, però, non è sufficiente, chiariscono i giudici della Cassazione – smentendo i giudici tributari –, per ritenere concedibile al 100 per cento il “credito d’imposta” originariamente concesso per l’acquisto dei veicoli, catalogato come “investimento in aree svantaggiate” del Paese.
Nodo gordiano è il “criterio del rapporto di inerenza”: su questo fronte, chiariscono i giudici, “il contribuente” ha l’onere di dimostrare “l’esclusiva strumentalità” del bene “all’esercizio dell’impresa”. E, in questo caso, “l’acquisto” dei veicoli “può ritenersi investimento agevolabile per l’intero costo” solo se viene dimostrata la “strumentalità esclusiva all’esercizio dell’impresa”, prescindendo, sia chiaro, dalla “mera indicazione formale della qualità del mezzo, risultante dal libretto di circolazione”.
Ciò conduce i giudici della Cassazione a ritenere plausibile, in teoria, “l’avviso di recupero parziale (nella misura del 50 per cento) del credito d’imposta”, anche se su questo punto toccherà nuovamente alla Commissione tributaria regionale riesaminare la vicenda e arrivare a una decisione.
Catapano Giuseppe: ACCERTAMENTO MEDIANTE L’APPLICAZIONE DI PARAMETRI O STUDI DI SETTORE: VALIDITA’ DEL PROCEDIMENTO ANCHE IN MANCANZA DI PARTECIPAZIONE DEL CONTRIBUENTE AL CONTRADDITTORIO
La CTP accoglie il ricorso di un contribuente, architetto che svolge l’attività di CTU, e annulla l’avviso di accertamento con cui l’Ufficio, applicando i parametri, ha rideterminato i compensi del professionista rettificando le dichiarazioni Iva, Irpef e Irap per l’anno 1999 liquidando le maggiori imposte dovute. La CTR riforma la sentenza di I grado e accoglie l’appello dell’Agenzia delle Entrate. Infatti, secondo la commissione di II grado l’accertamento basato su parametri e studi di settore rappresenta un metodo di accertamento legittimo ed efficace quando sussistono, come nel caso in esame, degli elementi gravi, precisi e concordanti.
Il contribuente propone ricorso per cassazione argomentando cinque motivazioni:
1) si denuncia l’errore commesso dalla CTR con la propria decisione perché nell’appello l’Agenzia non formula nessuno specifico motivo di impugnazione avverso la sentenza di I grado dal momento che quest’ultima ha riconosciuto la correttezza e la legittimità del procedimento adottato dall’Ufficio;
2) e 3) si denuncia un vizio di motivazione perché il giudice di appello ha ritenuto legittimo l’accertamento basato sui parametri senza considerare gli elementi esibiti dal contribuente, negando la sua partecipazione al contraddittorio ed ignorando la presenza nel fascicolo processuale dei documenti dimostrativi delle modalità lavorative del professionista nelle attività fonte dei compensi percepiti;
4) viene ritenuta illegittima l’applicazione retroattiva dello studio di settore, dal momento che gli studi tanto per l’attività di CTU quanto per quella di architetto non risultano ancora entrati in vigore nell’anno 1999;
5) l’accertamento deve essere annullato perché le prove fornite dal contribuente rilevano che quanto da lui dichiarato è in linea con il risultato delle prove fornite, mentre gli elementi scaturenti da parametri e studi di settore derivano da calcoli empirici.
In via generale tutti i motivi sono da considerare inammissibili perché nuovi e non previamente esaminati dal giudice di merito. Ci si scontra con il principio affermato dalla Corte secondo il quale non sono prospettabili in sede di legittimità le questioni non appartenenti al tema del decidere dei precedenti gradi di giudizio di merito, in quanto il giudizio di cassazione può avere per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo. Inoltre, il ricorso manca di autosufficienza perché il ricorrente non ha indicato dove e quando le questioni siano state già trattate nei precedenti gradi di giudizio.
Il secondo ed il terzo motivo sono, oltretutto, infondati. Il vizio motivazionale sussiste quando dal ragionamento del giudice di merito emerge l’annullamento di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ma nel caso in esame tali anomalie motivazionali non esistono.
L’accertamento tributario mediante l’applicazione dei parametri o degli studi non si colloca nella procedura di accertamento prevista dall’art. 39 del D.P.R. 600/73 (analisi dei risultati delle scritture contabili) ma la affianca. Inoltre, gli elementi emergenti dallo studio o dai parametri devono essere corretti in contraddittorio, quale strumento di adeguamento dell’ipotesi dello studio alla concreta realtà economica del contribuente. Non va dimenticato, tuttavia, che secondo la Corte, sia pur considerando la centralità del previo contraddittorio con il contribuente all’interno dell’accertamento fondato sui parametri, l’eventuale assenza del soggetto al contraddittorio non impedisce al procedimento di conseguire le prove idonee a validare la legittimità dell’accertamento: il contribuente che non partecipa deve assumere le conseguenze del suo comportamento.
La CTR, nel rispetto di tale percorso, ha ribadito la validità dell’accertamento operato mediante l’applicazione degli studi in mancanza dell’esibizione di documenti e della fornitura di risposte da parte del contribuente. L’accertamento, quindi, è motivato ed incensurabile in sede di legittimità.
Il ricorso viene rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite.
Giuseppe Catapano: Ryanair, inizia la campagna di assunzioni 2015
In vista della stagione estiva, ogni anno aumentano i posti di lavoro legati al settore turistico. Tra le tante occasioni, meritano senz’altro di essere segnalate le offerte d’impiego provenienti dalla compagnia aerea irlandese Ryanair: la società, leader dei voli low-cost, in queste settimane, ha organizzato numerosi “Cabin-crew day”, nei principali centri italiani. Si tratta di giornate di reclutamento, dedicate a chi desidera intraprendere la carriera di assistente di volo. Le date e le città nelle quali si terrà il reclutamento degli aspiranti hostess e steward sono: Catania e Napoli: 05/03/2015 ; Perugia, Pisa e Cagliari: 12/03/2015 ; Palermo: 17/03/2015 ; Roma : 18/03/2015; Milano e Bergamo : 18/03/2015; Bari: 19/03/2015 ; Genova: 24/03/2015 ; Bologna: 26/03/2015 ; Catania: 27/03/2015 ; Alghero: 31/03/2015 ; Napoli: 01/04/2015 . Per potersi candidare, è richiesta l’assenza di condanne penali, il possesso del passaporto, un’ottima conoscenza dell’inglese, un’altezza superiore a 157 cm, una buona vista, anche con lenti a contatto, un fisico snello e discrete capacità natatorie; per quanto concerne le caratteristiche inerenti la personalità, è necessario essere flessibili, estroversi, predisposti agli spostamenti, con una buona resistenza allo stress e capaci di fronteggiare situazioni d’emergenza. Una volta verificato il possesso di tali requisiti, sarà possibile compilare il modulo di domanda online, reperibile all’interno del sito “Crewlink.ie”. Qualora la società (Crewlink, nello specifico, è la divisione che si occupa di fornire personale alla Ryanair) valuti positivamente l’adattabilità al ruolo, si verrà contattati entro 24 ore e sarà fissato un colloquio nella città più vicina alla propria residenza, durante uno dei “Cabin crew day”. Durante la giornata di reclutamento, i candidati saranno, in primo luogo, sottoposti ad un test di lingua inglese, poi dovranno effettuare un colloquio, sempre in lingua inglese, con i responsabili Crewlink. Chi sarà valutato idoneo, sarà informato entro 7 giorni, e potrà accedere alla successiva fase di training. Tale step prevede la partecipazione ad un corso di formazione, tenuto presso il Centro Training specializzato di Hahn: in particolare, si prevede un percorso formativo, della durata di 6 settimane, a tempo pieno. La formazione verterà sulle conoscenze e le competenze utili ed indispensabili per poter diventare personale di bordo: saranno forniti materiale di studio, attrezzature e manuali; in loco sono presenti strutture d’addestramento per il servizio in cabina e per le emergenze, strutture per i pasti ed una zona dormitorio confortevole a 100 metri. Una volta terminato il corso, dovranno essere sostenuti gli esami finali: le statistiche della società mostrano ottimi risultati, con addirittura una media del 96% di certificati Crewlink ottenuti; il merito di tali esiti positivi va riconosciuto non solo all’attento procedimento di selezione, grazie al quale si è in grado di valutare i candidati migliori, ma anche agli efficaci metodi d’insegnamento ed alla completezza della formazione effettuata dal Centro Training. Ottenuto il certificato, il candidato diverrà operativo a tutti gli effetti, e sarà assegnato ad una base. Nel dettaglio, gli verrà offerto un contratto di 3 anni con la società Crewlink ; l’orario di lavoro non comporta turni notturni, e l’operatività è suddivisa in 5 giorni di lavoro più 2 giornate libere, seguiti da 5 giorni di lavoro e 3 giornate libere; le ferie annuali ammontano a 20 giorni . Sono poi previsti interessanti benefits per i dipendenti, come l’opportunità di viaggiare durante le giornate libere, e l’incentivo di € 1. 200 aggiuntivi per i primi 6 mesi d’impiego. Esistono, infine, notevoli opportunità di promozione: chi si sarà maggiormente distinto potrà essere assunto direttamente dalla Ryanair e, dopo 12 mesi, avrà anche la possibilità di ricoprire l’incarico di supervisore per il servizio clienti, con elevati guadagni annuali.
Catapano Giuseppe osserva: Gratuito patrocinio: non basta la difficoltà economica
La possibilità di richiedere il gratuito patrocinio, con pagamento dell’avvocato a carico dello Stato, è vincolata al possesso di determinati requisiti stabiliti dalla legge; pertanto non è sufficiente la giustificazione che il richiedente sia “provato da vicissitudini familiari” e che stia attraversando un momento economico non favorevole. Il chiarimento viene da una recente sentenza della Cassazione . Secondo la Corte, chi autocertifica il possesso dei requisiti per il gratuito patrocinio, pur non avendone diritto, non può essere giustificato neanche se sta attraversando una situazione di conclamata e obiettiva difficoltà economica; non rileva neanche il fatto che si tratti di persona di “non eccessiva cultura”, con conseguente difficoltà, per questi, a eseguire i calcoli sul reddito, calcoli ritenuti eccessivamente complessi per un “non tecnico”. In tali casi scatta il reato di infedeltà dichiarativa, passibile di sanzione penale . Non c’è bisogno di un grosso scostamento tra la situazione reale e quella dichiarata al giudice per far scattare il reato. Difatti, come chiarito dalla Cassazione di recente, in tema di false indicazioni o omissioni (anche parziali) dei dati riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, poiché tale reato è di pericolo, esso va punito non in base alla divergenza tra il dato reale e quello dichiarato bensì alla luce della idoneità della falsità o dell’omissione (e pertanto dell’intera condotta) ad indurre in errore il magistrato prima di decidere in merito all’istanza. Il che, in parole povere, significa che anche un piccolo scostamento, se celato nell’istanza, è sufficiente a far scattare il penale. Sintetizzando, è possibile accedere al gratuito patrocinio a condizione che si abbia un reddito non superiore a 11.369 euro (dato aggiornato al mese di marzo 2015). Fa fede l’ultima dichiarazione Irpef. Non rilevano le altre situazioni di fatto, anche se lo scostamento tra il dato dichiarato e quello effettivo è lieve.
Catapano Giuseppe comunica: Quali crediti sono impignorabili
Quando si parla di pignoramento presso terzi si fa riferimento alla procedura che attiva il creditore per pignorare beni mobili del debitore che si trovano in possesso di terzi o crediti che il debitore stesso ha nei confronti di terzi. Il caso più frequente è quello del conto corrente in banca o del reddito di lavoro dipendente. Per esempio: con la procedura di pignoramento presso terzi il creditore può chiedere, al datore di lavoro del debitore, di corrispondergli mensilmente una quota non superiore a un quinto dello stipendio di quest’ultimo (se il creditore è Equitalia, ossia lo Stato, il limite di pignoramento è di 1/10 per stipendi o pensioni fino a 2.500 euro; e di 1/7 per stipendi o pensioni tra 2.501 euro e 5.000). Le retribuzioni – così come le pensioni o la provvista depositata in banca – costituiscono infatti un credito che il debitore vanta nei confronti di un terzo (il datore di lavoro, l’ente pensionistico, l’istituto di credito). Sono pignorabili anche le pensioni erogate dall’Inps nella misura di 1/5 di quella parte che eccede le esigenze minime di vita del pensionato (cosiddetto “minimo vitale”). In assenza di esatta determinazione da parte della legge, sarà il giudice dell’esecuzione a determinare, nel caso concreto, quale sia la parte della pensione necessaria per le esigenze minime di vita del debitore. Tuttavia l’orientamento consolidato dei tribunali è quello di considerare tale soglia pari ad euro 525,89. QUALI CREDITI NON SONO PIGNORABILI Vi sono delle somme che il creditore non può pignorare o che può farlo solo entro determinati limiti. Gli stipendi, i salari, le pensioni o altre indennità relative al rapporti di lavoro o di impiego, compreso quanto dovuto per il licenziamento, possono essere pignorati nella misura massima di un quinto (se il creditore è Equitalia, ossia lo Stato, il limite di pignoramento è di 1/10 per stipendi o pensioni fino a 2.500 euro; e di 1/7 per stipendi o pensioni tra 2.501 euro e 5.000). Le somme dovute a titolo di stipendio o di salario sono pignorabili fino ad un limite massimo della metà del loro ammontare solo nel caso in cui vi sia concorso simultaneo fra cause creditorie quali: crediti alimentari, tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni, ogni altro credito; invece, nel caso di semplice concorso di crediti il pignoramento non può superare la misura di un quinto dello stipendio. I crediti alimentari sono impignorabili. Ad esempio: se il marito non paga il mantenimento alla moglie, quest’ultima può chiedere l’autorizzazione al Presidente del Tribunale a pignorare le somme accreditate al marito a titolo di crediti alimentari, pignorandole in banca o dallo stipendio presso il datore di lavoro. Questa operazione, però, non potrà farla qualsiasi altro creditore, il quale dovrà invece accontentarsi solo di 1/5 dello stipendio. Sono assolutamente impignorabili: – i crediti aventi per oggetto sussidi di grazia o di sostentamento a persone comprese nell’elenco dei poveri, oppure sussidi dovuti per maternità, malattie o funerali da casse di assicurazione, da enti di assistenza o da istituii di beneficenza; – i crediti derivanti da pensione di invalidità (il pignoramento di essa è assolutamente nullo per violazione di norme imperative e tale nullità è rilevabile dal giudice anche d’ufficio); – i crediti contenuti in leggi speciali quali, ad esempio, le somme di competenza dei Comuni destinate al pagamento delle retribuzioni del personale dipendente e dei relativi oneri previdenziali, al pagamento delle rate di mutui e di prestiti obbligazionari scadenti nel semestre in corso, all’espletamento dei servizi locali indispensabili; – i fondi accantonati da un ente pubblico per il trattamento di fine rapporto dei propri dipendenti; – i fondi di contabilità speciale delle Prefetture e delle direzioni amministrative delle Forze armate e della Guardia di Finanza. È invece pignorabile il contributo mensile per il pagamento dei canoni di locazione che eroga il Fondo nazionale, in favore dei soggetti aventi diritto a un alloggio di residenza pubblica in quanto non ha finalità alimentari (quindi non rientra tra i crediti aventi per oggetto sussidi di grazia o di sostentamento a persone comprese nell’elenco dei poveri). Il credito dell’assegno al mantenimento attribuito dal giudice al coniuge separato (avendo come causa l’assistenza materiale che deriva dal matrimonio e non l’incapacità della persona che versa in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento), non rientra tra i crediti alimentari impignorabili. È pignorabile anche il risarcimento del danno dovuto da una assicurazione privata al lavoratore per infortunio sul lavoro, anche se in virtù di una polizza stipulata dal datore di lavoro in adempimento di un obbligo contrattuale. Allo stesso modo è pignorabile qualsiasi indennizzo dovuto da compagnie assicuratrici, anche nei confronti di soggetti che hanno subito danni irreversibili e definitivamente invalidanti.
Giuseppe Catapano informa: Casa all’asta e vizi nella procedura: se la contestazione arriva troppo tardi
Pignoramento immobiliare: che succede se la procedura di vendita forzata dell’immobile è viziata perché è stato commesso qualche errore? Esiste un termine massimo per far valere tutte le violazioni di legge nell’ambito di un’esecuzione forzata della casa o di altro immobile: tale termine coincide con la definitiva vendita o assegnazione del bene. Dopo tale momento, infatti, ogni vizio viene sanato e non può più essere più contestato nei riguardi dell’acquirente o assegnatario, salvo che questi sia colluso con il creditore procedente. A chiarirlo è stata una recente sentenza della Cassazione. Secondo la Corte, il debitore deve far valere i vizi del processo esecutivo prima della vendita o dell’assegnazione del bene pignorato. Dopo tale momento, tali vizi non hanno più effetto riguardo all’acquirente o all’assegnatario che, pertanto, rimane il legittimo proprietario del bene vendutogli con l’asta o assegnatogli dal giudice. Ciò non vale solo nel caso in cui il terzo acquirente o assegnatario sia stato colluso con il creditore che ha messo all’asta l’immobile. Dunque, una volta intervenuta la vendita o l’assegnazione, la legge mette su un gradino superiore gli interessi dell’aggiudicatario e del creditore procedente a quelli del debitore.
Giuseppe Catapano scrive: Comunione legale dei beni ed agevolazione “prima casa”
Dopo avere trattato in articoli precedenti i temi relativi a quali sono le agevolazioni per l’acquisto della residenza principale (“Agevolazioni fiscali per l’acquisto della prima casa: la guida”) e le modalità di fruizione delle stesse (“Agevolazioni fiscali per l’acquisto prima casa: come e quando sfruttarle”), esaminiamo alcuni casi interessanti di applicazione delle norme citate. Con questo primo articolo approfondiremo il caso in cui venga acquistato un fabbricato ad uso residenziale in regime di comunione legale dei beni, partendo dalle indicazioni che sono state fornite dall’Agenzia delle Entrate. Secondo quest’ultima è necessario operare una distinzione tre le due seguenti ipotesi: – entrambi i coniugi soddisfano i requisiti per fruire dell’agevolazione; – solo uno dei coniugi soddisfa i requisiti per fruire dell’agevolazione. I tratti essenziali del regime di comunione legale da cui occorre partire prima di chiarire le modalità di applicazione delle agevolazioni previste per l’acquisto della residenza principale sono definiti dal codice civile secondo il quale sono oggetto della comunione tra i coniugi: – gli acquisti effettuati da parte dei due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, con l’esclusione di quelli relativi ai beni personali; – i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione; – i proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della comunione, non siano stati consumati; – le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio. Chiarito questo possiamo procedere ad analizzare il primo caso, ovvero quello in cui entrambi i coniugi possiedano i requisiti per l’applicazione delle agevolazioni previste dal legislatore per l’acquisto della prima casa. Nell’ipotesi in cui entrambi i coniugi, in regime di comunione legale, possiedano i requisiti per usufruire dell’agevolazione prima casa secondo l’Agenzia delle Entrate, è possibile usufruire di tale agevolazione in relazione all’intero valore dell’immobile messo a rogito (ossia su entrambe le “quote” riferite ai due coniugi). È tuttavia necessario che entrambi i coniugi in sede d’atto, e contestualmente, rendano le dichiarazioni di possesso dei requisiti previsti dal legislatore per la titolarità del diritto ad usufruire delle agevolazioni (novità nel godimento dell’agevolazione, non possesso di altri immobili abitativi nel Comune, ecc.). Sul punto costituito dalla necessaria contemporanea presenza di entrambi i coniugi all’atto di acquisto al fine di potere entrambi godere delle agevolazioni è opportuno prestare particolare attenzione in quanto l’Agenzia delle Entrate ha esplicitamente chiarito come ciò rappresenti un’eccezione non sanabile rispetto alla disciplina civilistica in base alla quale, come si è accennato in precedenza, i beni non personali acquistati anche da uno solo dei due coniugi in costanza di matrimonio, entrano a far parte della comunione legale, anche se nell’atto di acquisto interviene uno solo dei coniugi. Da ciò consegue che, se in sede d’atto è presente uno solo dei due coniugi (che, di conseguenza, sarà il solo a rendere la dichiarazione di spettanza dei requisiti, l’agevolazione spetta nella misura del 50%. Per cui, ipotizzando che l’acquisto dell’immobile residenziale avvenga dall’impresa che l’ha realizzato, e di conseguenza la compravendita sia assoggettata ad IVA, il 50% del corrispettivo messo a rogito sconterà l’IVA al 4% mentre il restante 50% sconterà l’IVA al 10%. La seconda possibilità che ci si presenta è quella per cui solo uno dei due coniugi sia in possesso dei requisiti soggettivi per godere dell’agevolazione “prima casa”. In questa situazione, così come è stato accennato in precedenza, il Codice civile prevede che rientrino nella comunione legale tutti gli acquisti operati, in costanza di matrimonio, anche da uno solo dei coniugi. Tuttavia, secondo quanto stabilito dall’Agenzia delle Entrate, nel caso in cui i requisiti per l’applicazione dell’agevolazione siano posseduti da uno solo dei coniugi (ad esempio perché l’altro coniuge è già proprietario di un’altra abitazione acquisita fruendo dei benefici fiscali), l’agevolazione compete solo per il 50% del valore messo a rogito dell’abitazione acquistata. In riferimento alla possibilità di usufruire delle agevolazioni “prima casa” nel caso in cui i acquirenti siano in regime di comunione legale, è opportuno segnalare due ulteriori, importanti aspetti: – il primo è connesso alla possibilità di fruire dell’agevolazione anche nel caso in cui uno dei due coniugi in regime di comunione legale possieda già, da prima del matrimonio, un’abitazione acquistata con le agevolazioni prima casa. Infatti, poiché tale abitazione è stata acquistata prima del matrimonio, la stessa non rientra nel regime di comunione legale e quindi potrà fruire per intero del regime agevolativo; – il secondo, invece, attiene alla percentuale del prezzo d’acquisto dell’immobile agevolabile, relativamente all’acquisto di un’abitazione da parte del contribuente (il cui coniuge possiede l’abitazione acquistata prima del matrimonio): il beneficio fiscale spetta nella misura del 50%, ossia limitatamente alla quota acquistata dal coniuge in possesso dei requisiti per l’agevolazione. Il restante 50%, infatti, è di pertinenza, per effetto del regime di comunione legale, del coniuge che già possiede un’abitazione acquistata fruendo dell’agevolazione.
Catapano Giuseppe: Opposizione al fermo: necessaria prima l’iscrizione al PRA
L’automobilista non può presentare, al giudice, opposizione al preavviso di fermo se quest’ultimo non è stato ancora iscritto al PRA. E ciò perché non si sono ancora prodotti gli effetti pregiudizievoli per il proprietario dell’auto. A questa discutibile conclusione è arrivata la Cassazione con una sentenza di questa mattina. Una decisione che, peraltro, non trova d’accordo neanche tutti i giudici. Di qualche tempo fa, infatti, è la sentenza della Commissione Tributaria di Reggio Calabria che esprimeva parere diametralmente opposto (leggi “Equitalia: preavviso di fermo impugnabile”). Ma secondo la Suprema Corte, se il provvedimento cautelare non ha, in quel momento, ancora prodotto un effetto pregiudizievole nella sfera giuridica del proprietario del veicolo non può essere impugnato in tribunale. Di fatto, però, dinanzi all’ormai avvenuto fermo, se illegittimo, il danno è ormai prodotto e irrecuperabile, attesi i tempi necessari per la presentazione del ricorso e l’emissione, da parte del giudice, di un provvedimento di sospensiva: circostanza che arrecherebbe un danno ingiustificato al contribuente che si trova dalla parte della ragione e che, nonostante ciò, sarà costretto, per qualche settimana, a viaggiare in autobus o a piedi.
Catapano Giuseppe comunica: Giudizio negativo del cliente sul ristorante o sull’hotel: rimozione con ricorso d’urgenza
Si moltiplicano, ormai, i portali web dove, insieme alle indicazioni sulle strutture alberghiere, ristoranti e locali notturni, si accompagnano anche le valutazioni dei clienti. E così, è altrettanto facile incappare nel giudizio negativo dell’avventore insoddisfatto o particolarmente critico. Ma laddove il giudizio personale si spinge fino alla diffamazione, specie se pubblicata da un falso cliente solo per arrecare danno all’esercizio commerciale rivale, può intervenire il tribunale con un ricorso d’urgenza all’articolo 700 del codice di procedura civile. A tale conclusione è arrivato è arrivato il Tribunale di Venezia con una recente sentenza. Secondo il giudice veneto, il sito web specializzato in recensioni di locali ed esercizi pubblici destinati a turisti e viaggiatori ha l’obbligo, prima ancora di risarcire il danno, di prevenirlo e, quantomeno, di vagliare le recensioni postate dagli utenti ed escludere quelle apertamente diffamatorie (che fanno uso di forme oggettivamente incivili) oppure quelle che non appaiono essere state postate da “veri viaggiatori”, perché magari, dietro di loro, si nascondono solo concorrenti in commercio. Insomma il portale deve obbligatoriamente garantire la veridicità della recensione, nel senso di rispondenza delle opinioni espresse e dei fatti narrati ad esperienza effettivamente vissuta (lo può fare, per esempio, ponendo domande apposite al recensore, in modo da verificarne la genuinità). Se non lo fa, e se la recensione assume i toni oggettivamente offensivi, il sito è obbligato a cancellarla dalle proprie pagine. Diversamente, l’impresa potrà ricorrere al tribunale con la richiesta di emissione di un provvedimento d’urgenza in pochi mesi. Non si può applicare, in casi come questo, la direttiva europea sul commercio elettronico che, recepita in Italia nel 2003, stabilisce la non responsabilità del provider che ospita contenuti altrui. Peraltro, a tutto voler concedere, la stessa normativa trasforma la responsabilità del gestore di servizi internet in una responsabilità di tipo omissivo: il che significa che l’obbligo al risarcimento del danno scatta non appena gli perviene la segnalazione di abuso e la richiesta di cancellazione del contenuto illecito. Il sito web ha il dovere, scrive il giudice, di assicurare una minima garanzia di veridicità dei messaggi postati, escludendo le recensioni apertamente diffamatorie e i testi che non appaiono scritti da veri viaggiatori ma da persone che ad esempio hanno interesse a screditare il ristorante.