Catapano Giuseppe osserva: IMMOBILE VENDUTO DALLA SOCIETÀ A PREZZO TROPPO BASSO: FRAGILI LE ACCUSE DI BANCAROTTA NEI CONFRONTI DELL’AMMINISTRATORE

Condannato per “distrazione” di una corposa somma dall’“attivo fallimentare della società”. Ma l’accusa di “bancarotta” nei confronti dell’amministratore si rivela assai fragile…
Su questo punto sono significative le valutazioni compiute dai giudici della Cassazione, i quali, ritenendo legittime le obiezioni mosse dall’uomo, evidenziano alcune ‘stranezze’ nel ragionamento seguito in Corte d’Appello.
Innanzitutto, “la bancarotta” contestata all’amministratore “si fonda sulla rilevante differenza tra il valore dell’immobile, come indicato nel mutuo ipotecario concesso dalla banca per la ristrutturazione, e il successivo prezzo di cessione”, però “i dati di fatto che hanno portato all’accertamento di responsabilità risultano acquisiti attraverso la testimonianza del curatore, sulla cui diligenza nell’accertamento dei fatti costitutivi del reato contestato non si possono che nutrire fondati dubbi”, anche considerando che egli “non si era nemmeno accorto che tale mutuo non era mai stato erogato dalla banca, né aveva fatto alcun accertamento in tal senso…”.
Allo stesso tempo, “la valutazione di sproporzione del prezzo di vendita dell’immobile è stata effettuata dal curatore senza nemmeno ispezionarlo, per verificarne le condizioni, senza farlo periziare e senza neppure acquisire o leggere l’atto di mutuo fondiario che era stato ritenuto probante in relazione alla valutazione dell’immobile ivi contenuta. Condotta assai poco diligente, soprattutto se si considera che accade purtroppo con una certa frequenza (ma soprattutto accadeva nel passato) che il valore degli immobili nei contratti di mutuo sia gonfiato per ottenere maggior credito dalla banca”.
Eppoi, aggiungono i giudici, non bisogna dimenticare, in merito ai “rapporti tra l’atto ed il fallimento”, che “la vendita precedette il fallimento di ben undici anni” e che “il passivo della procedura concorsuale era molto contenuto”, pari a circa 45.000 euro.
Evidente, per i giudici di Cassazione, che le “prove a carico, valorizzate dal giudice d’appello, quantomeno in relazione all’elemento oggettivo del reato (in particolare con riferimento alla sproporzione del prezzo di vendita), sono ben poco consistenti e comunque non sufficienti a fondare una sentenza di condanna per bancarotta fraudolenta”.
Tutto ciò spinge, ovviamente, a riaffidare la vicenda ai giudici di secondo grado, i quali dovranno effettuare una “nuova valutazione sulla sussistenza degli elementi costitutivi del reato contestato”.

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