Giuseppe Catapano informa: NEL RIMBORSO IVA IL CONTRIBUENTE DIVIENE ATTORE SOSTANZIALE MA DEVE PROVARE IL PROPRIO CREDITO

Una Cooperativa cessava la propria attività e chiedeva il rimborso di un credito Iva nei confronti dell’Erario. L’Ufficio territoriale negava il rimborso, assumendo che non vi era stato l’esercizio dell’impresa. La CTP riconosceva la validità del rimborso ed annullava il diniego. Appellava la sentenza l’Agenzia che risultava ulteriormente soccombente. Propone ricorso per la cassazione della sentenza l’A. delle E. La Cassazione accoglie il ricorso cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originariamente proposto dalla società contribuente avverso il diniego di rimborso. La decisone scaturisce dalle considerazioni che seguono. La Suprema Corte premette che a seguito della richiesta di rimborso della società, l’ufficio aveva già posto in dubbio la legittimità del credito Iva a causa della protratta inattività negli anni precedenti e seguita dalla cessazione della suddetta. Di conseguenza l’onere probatorio incombente sul contribuente non può, certamente, essere adempiuto con la mera esposizione della propria pretesa restitutoria nella dichiarazione presentata in relazione all’Iva, come è accaduto nel caso concreto, giacché il credito fiscale non nasce da questa, bensì dal meccanismo naturale di applicazione del tributo previsto dalla legge. La predetta ragione del diniego espressa dall’Ufficio, a giudizio della Cassazione, essendo ritenuto non provato il credito, conferisce validità al rifiuto operato dall’ufficio. Semmai, restava di verificare a suo tempo ad opera della Cooperativa, se fossero già spirati i termini per l’accertamento ed eventualmente eccepirli al fine di determinare la incontestabilità della validità credito.

Catapano Giuseppe scrive: ‘PALLEGGIO’ DI AZIONI TRA CONTROLLATA E CONTROLLANTE, PREZZI IN DISCESA: OPERAZIONE ANTIECONOMICA. EVIDENTE L’ABUSO DEL DIRITTO

Passaggi – di azioni – arzigogolati tra la società controllante e la società controllata. ‘Allarme rosso’ per il Fisco, e tutti i sospetti, alla fine, sono confermati… Passaggi formalmente corretti, in realtà, ma l’obiettivo – riuscito – era quello di ottenere una “minusvalenza” per quasi 5milioni e 300mila euro.
Ciò è valutabile come “abuso del diritto”, secondo l’Agenzia delle Entrate, che difatti ha consegnato alla “società controllata” – italiana – un “avviso di accertamento ad hoc”, e tale ottica viene condivisa anche dai giudici della Cassazione, i quali seguono il sentiero tracciato dalla Commissione tributaria regionale.
Per i giudici di secondo grado, difatti, è “legittima la contestazione” messa in atto dal Fisco, poiché “l’elusione” si è “realizzata mediante valutazioni e classificazioni di bilancio, congiunte ad un ulteriore – e non di per sé necessario – acquisto da parte della controllata, obbligata a rivendere a termine e a prezzo fisso un pacchetto azionario già in suo possesso, di altro gruppo di azioni” di un gruppo bancario “ad un prezzo questa volta maggiore di quello del primo acquisto, con rilievo nel conto economico della perdita”. Evidentemente, aggiungono i giudici, non vi era alcuna “valida ragione economica per acquistare ad euro 1,9651 ad azione il capitale, per doverlo rivendere cinque giorni dopo alla controllante ad euro 1,61017”. Altrettanto chiaramente, “tali operazioni, applicando il metodo ‘LIFO’ ad azioni rispettivamente acquistate a prezzo di mercato e così confuse con altre, già acquisite, ma vincolate dall’obbligo di cessione a prezzo determinato, erano dirette ad aggirare l’obbligo di corretta valutazione delle immobilizzazioni finanziarie e di rivalutazione delle plusvalenze, così unicamente provocando una riduzione d’imposta per il 2002”.
Ebbene, questa ricostruzione viene ritenute pienamente corretta dai giudici della Cassazione, i quali richiamano i “passaggi determinanti” dell’operazione, cioè “a) mutamento di classificazione delle azioni, passate dalla collocazione nel circolante alle immobilizzazioni in sede di approvazione del bilancio 2001; b) acquisto 5 giorni prima della scadenza ultima in cui operare la retrocessione del pacchetto già detenuto di 50.639.000 azioni (e acquistato a 1,5952 euro ad azione, da rivendere ad euro 1,6192 cadauna, come convenuto) di un nuovo pacchetto di 17.598.000 azioni, ad un prezzo di mercato (da tempo più alto e) corrente a 1.9651 euro cadauna; c) applicazione alla cessione del pacchetto, di nominali 50.639.000 azione, divenute (solo) parte nel 2002 di un patrimonio poi e così accresciuto, di un apprezzamento secondo il criterio ‘LIFO’ a scatti, considerando nel coacervo dei beni valutati, secondo il metodo applicabile alle rimanenze, il costo della tranche acquistata nel 2002 (a prezzo superiore) e quello della prima acquistata nel 1999 (a prezzo inferiore); d) imputazione a conto economico dell’esercizio 2002 di una minusvalenza di 5.296.925 euro, contro una plusvalenza per 1.211.634 euro che sarebbe emersa se la controllata si fosse limitata a dare esecuzione alla vendita a termine alla controllante senza operare il descritto acquisto”.
Lapalissiano, alla luce del “congegno imperniato sull’acquisto della nuova tranche di azioni”, il “meccanismo di elusione d’imposta allestito, in termini di omesso pagamento di plusvalenza su titoli che già dovevano essere ceduti”.
Tutto ciò conduce a ritenere acclarato l’“abuso del diritto” messo in atto, “abuso” giustamente sanzionato dall’Agenzia delle Entrate.

Catapano Giuseppe informa: MWC. MasterPass tra wallet e internet delle cose

Pieno supporto ad Apple Pay e Samsung Pay, così come a qualunque strumento di pagamento digitale si proponga in alternativa al cash. E una serie di soluzioni, basate sul wallet MasterPass, per portare le transazioni digitali sui nuovi device e nell’internet delle cose. Una breve sintesi della visita allo stand MasterCard al Mobile World Congress in quattro punti.

Uno. Supporto a Samsung Pay

Così come avvenuto per Apple Pay, così anche la soluzione di pagamento del produttore di smartphone coreano potrà contare sul supporto dei circuiti. La soluzione Samsung Pay è pienamente supportata e l’annuncio dei coreani è stato accompagnato da un “video demo” su come avverrà il pagamento. Il grande vantaggio è che lo stesso wallet, contenente la carta dematerializzata, potrà essere usato per transazioni offline e online con lo stesso livello di sicurezza di un pagamento card present.

Due. Riconoscimento biometrico

Sia Apple sia Samsung Pay faranno leva sul riconoscimento dell’impronta digitale del titolare della carta attraverso un apposito lettore, che sarà probabilmente presente anche su altri smartphone di fascia alta. Non tutti i cellulari, però, potrebbero esserne dotati: sarà così possibile autenticarsi anche mediante una scansione del volto del titolare (attraverso la fotocamera del telefono) oppure utilizzando il microfono, mediante riconoscimento vocale (che però funziona poco nei luoghi affollati). In ogni caso, l’obiettivo è semplificare l’acquisto all’utente senza rinunciare alla sicurezza. E senza doversi ricordare il PIN.

Tre. Trasformare il checkout

La catena di ristoranti asiatici Wagamama ha realizzato con MasterCard un nuovo modo di pagare il conto. Utilizzando una app per smartphone (ma una versione sarà presto disponibile anche per smartwatch) si potrà associare al proprio tavolo un codice di quattro cifre: tutte le portate ordinate verranno così associate a quel codice e, una volta concluso il pasto, si potrà procedere al pagamento del conto direttamente dalla app. I vantaggi: facilità di controllo del conto; nessuna attesa per il POS senza fili o, peggio ancora, camerieri che spariscono con la carta di pagamento del cliente; tempi di attesa minori per i clienti in attesa che si liberi un tavolo. Allo studio anche una versione della app per gli smartphone o gli smartwatch dei camerieri: giusto per avere una notifica della transazione e non doversi lanciare all’inseguimento dei clienti che stanno uscendo dal locale.

Quattro. Integrazione con le smart car

Questa è forse la parte più pioneristica dello stand MasterCard. Le automobili di domani, connesse alla rete e piene di app (pure loro!) sono state uno dei temi forti di questa edizione del MWC. E anche MasterCard ha portato un prototipo di app integrata nei sistemi intelligenti delle Ford del futuro: tramite interazione vocale, permetterà di selezionare e pagare una serie di prodotti e servizi. La demo prevedeva l’individuazione, mediante geolocalizzazione, delle caffetterie più vicine (in cui il servizio è disponibile, ovviamente), l’ordine di un caffè e un muffin, il pagamento digitale mediante MasterPass: a quel punto resta solo da passare dal “drive in” della caffetteria e ritirare l’ordine. Il tema della demo non è forse così calzante per l’Italia, ma sostituendo al caffè il pagamento di un parcheggio o di una pizza da asporto, le possibili applicazioni diventano più chiare.

Catapano Giuseppe informa: Export. Al via in Italia la prima BPO

UniCredit ha portato a termine la prima transazione BPO (Bank Payment Obligation) mai effettuata in Italia: un innovativo strumento di regolamento delle transazioni del commercio internazionale. Protagonisti sono stati la SPIG Spa, produttore di sistemi industriali di raffreddamento basato ad Arona (provincia di Novara), e un suo fornitore tedesco, cliente di UniCredit Bank.

Cosa è la BPO

La Bank Payment Obligation è un impegno irrevocabile e autonomo assunto da una banca, generalmente quella di riferimento di un importatore, a pagare a vista o a scadenza un determinato importo alla banca dell’esportatore a seguito del positivo riscontro, a livello informatico, di una serie di dati precedentemente stabiliti fra le parti. La documentazione relativa all’operazione (fatture, documenti di trasporto, certificati, ecc.) viene scambiata a latere tra le parti commerciali, delegando alle banche la gestione automatizzata e diretta del flusso elettronico di dati tramite la piattaforma TSU (Trade Service Utility) messa a punto da SWIFT (la principale rete di comunicazione di messaggi finanziari).

I benefici per l’azienda che esporta e l’importatore

Avendo come presupposto l’esistenza di un rapporto di fiducia commerciale tra compratore e venditore, la BPO si colloca fra il credito documentario e l’open account (bonifico), combinando alcuni vantaggi di entrambi: dal primo per esempio, la riduzione del rischio di mancato pagamento; dal secondo la semplicità e velocità di esecuzione. L’azienda esportatrice può inoltre ampliare la propria esposizione verso i compratori che ricorrono all’emissione della BPO e accedere più agevolmente al finanziamento o allo smobilizzo del credito sottostante; l’azienda importatrice può invece negoziare termini di pagamento maggiormente dilazionati nel tempo, ottimizzando così i propri flussi di cassa.

Pronta l’estensione ad altre imprese di import/export italiane

UniCredit, con la sua controllata tedesca, era stata nello scorso ottobre la prima banca a perfezionare una transazione BPO tra Germania e Giappone. Ora è pronta a estendere il servizio anche alle aziende operanti sul mercato internazionale su base di open account.

«Siamo particolarmente lieti di avere portato a termine con successo la prima transazione BPO in Italia, a favore di una media azienda fortemente internazionalizzata – commenta Alessandro Cataldo, Head of Marketing and Sales di UniCredit per l’Italia. Crediamo fermamente nello strumento della BPO, che ci consente di fare leva sulla nostra diffusa presenza nei Paesi dell’Europa centro-orientale e sulla ampia e consolidata rete delle nostre banche corrispondenti, per offrire un migliore servizio a supporto del sempre crescente volume delle transazioni commerciali che vengono gestite in regime di open account».

«La crescita del commercio globale è accompagnata da un significativo passaggio dall’utilizzo degli strumenti tradizionali come le lettere di credito verso il mondo dell’open account e dalla richiesta del mercato di soluzioni che aiutino a gestire in maniera efficace i costi e i rischi crescenti – afferma Claudio Camozzo, Global Transaction Banking Co-Head in UniCredit e membro del board di SWIFT. Con la BPO siamo in grado di offrire alle nostre imprese clienti una soluzione che combina l’elaborazione automatizzata dei flussi con una accorta gestione dei costi, la tempestività dei pagamenti e le opzioni finanziarie per il venditore».

Catapano Giuseppe: MWC. La banca sale sull’auto del futuro

Al Mobile World Congress 2015 l’automobile è stata protagonista. E tra le molte soluzioni presentate per la “smart car” compaiono le prime app che hanno a che fare con banche e pagamenti: il pioniere sembra essere Ford, ma potrebbero arrivare prossimamente anche le altre case automobilistiche.

“Parlare” alla app mentre si guida

Oltre a MasterCard, che ha presentato una soluzione prototipo per pagare da remoto alcuni beni e servizi, la banca catalana La Caixa ha lanciato nei giorni scorsi la propria applicazione Linea Abierta BASIC, per Android, che permette di effettuare alcune operazioni mediante comandi vocali. Linea Abierta BASIC può essere collegata al sistema di connettività SYNC, sulle automobili FORD, per sincronizzare automobile e smartphone e controllare la app con comandi vocali anche mentre si guida. Difficilmente un bonifico sarà mai così tanto urgente, ma nel caso si voglia verificare il saldo del conto o i movimenti più recenti di una carta di pagamento (magari appena smarrita) la app si rivelerebbe certamente preziosa. Altri utilizzi più plausibili riguardano l’individuazione di filiali e ATM della banca nei paraggi.

Un sistema “aperto” per la smart car

Ford ha varato nel 2013 il Ford Developer Program, aprendo di fatto la strada a innumerevoli personalizzazioni dell’esperienza di bordo dei loro clienti mediante applicazioni, anche sviluppate da terzi. Oltre alla app di CaixaBank, sono disponibili le soluzioni di realtà come Spotify, Parkopedia o Audioteka, tutte inerenti musica in streaming, parcheggi o altri servizi utili durante la guida. Programmi analoghi sono condotti anche da altre case automobilistiche, tra cui Fiat-Chrysler, BMW e Volvo.

Catapano Giuseppe comunica: NUOVA CHANCE PER CHI HA PERSO LA POSSIBILITÀ DI RATEIZZARE. ONLINE I MODULI PER FARE RICHIESTA

Nuova opportunità riservata a chi per legge ha perso il beneficio della rateizzazione alla data del 31 dicembre 2014. Secondo quanto stabilito dal decreto Milleproroghe (decreto legge 192/2014, convertito con modificazioni dalla legge 11/2015) i contribuenti interessati potranno richiedere fino a un massimo di 72 rate (6 anni) presentando la domanda entro il prossimo 31 luglio (moduli disponibili nella sezione Modulistica – Rateazione del sito http://www.gruppoequitalia.it). Ci sono però alcuni limiti rispetto alle regole generali sulla rateizzazione: il nuovo piano concesso non è prorogabile e decade in caso di mancato pagamento di due rate anche non consecutive (anziché 8 rate).

«La riapertura delle rateizzazioni rappresenta un’importante occasione per le imprese e per i cittadini più colpiti dalla crisi economica – dice l’amministratore delegato di Equitalia, Benedetto Mineo – Grazie a questo provvedimento i contribuenti possono usufruire di nuove condizioni favorevoli per regolarizzare i pagamenti e allo stesso tempo viene agevolato il recupero degli importi dovuti allo Stato e ai vari enti pubblici creditori».

Oggi circa la metà delle riscossioni di Equitalia avviene tramite il pagamento dilazionato. Nei primi due mesi del 2015 sono pervenute in media circa 20 mila nuove richieste alla settimana, portando l’ammontare complessivo di rateazioni a 2 milioni 650 mila per un importo di circa 28,5 miliardi di euro (sul sito i dati per provincia). Per quanto riguarda i volumi riscossi, i 7,4 miliardi di euro recuperati nel 2014 rappresentano un’inversione di tendenza rispetto a quanto registrato negli ultimi anni, con un incremento del 4% rispetto al 2013. In particolare è aumentato il recupero delle risorse per lo Stato: Erario +4%, Inps +15% e Inail +17,5%. Nei primi due mesi del 2015 Equitalia ha riscosso circa 1,2 miliardi di euro, un importo in linea con il corrispondente periodo dell’anno precedente che peraltro aveva beneficiato di quasi 300 milioni di incasso derivanti dalla definizione agevolata dei ruoli. Le attività di Equitalia si concentrano sulle fasce di inadempienza più elevate: nel 2014 più del 63% è stato recuperato da debitori di importi superiori a 50 mila euro.

IL VADEMECUM SULLE RATE

I contribuenti hanno a disposizione condizioni particolarmente favorevoli per il pagamento a rate delle cartelle. È possibile ottenere un piano di rateizzazione straordinario fino a 120 rate (10 anni) oppure un piano ordinario a 72 rate (6 anni). L’importo minimo di ogni rata è, salvo eccezioni, pari a 100 euro. I piani sono alternativi per cui, in caso di mancata concessione di una dilazione straordinaria, si può chiedere una rateazione ordinaria. Finché i pagamenti sono regolari, il contribuente non è più considerato inadempiente e può ottenere il Durc e il certificato di regolarità fiscale per poter lavorare con le pubbliche amministrazioni. Inoltre il contribuente che paga a rate è al riparo da eventuali azioni cautelari o esecutive (fermi, ipoteche, pignoramenti).

Come ottenere fino a 120 rate. In caso di grave e comprovata situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica ed estranea alla propria responsabilità, i contribuenti possono chiedere di pagare secondo un piano straordinario che può arrivare fino a un massimo di 120 rate (10 anni). I criteri per ottenere un piano straordinario di rateizzazione sono contenuti in un apposito decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze che stabilisce il numero di rate concedibili in base alla disponibilità economica del richiedente. Presentando una domanda motivata, si possono ottenere più di 72 rate quando l’importo della singola rata è superiore al 20% del reddito mensile del nucleo familiare. Questo parametro è valido anche per le ditte individuali. Per le altre imprese, invece, la rata deve essere superiore al 10% del valore della produzione mensile e deve essere garantito un indice di liquidità adeguato (compreso tra 0,5 e 1).

Come ottenere fino a 72 rate. Per debiti fino a 50 mila euro è tutto più semplice e veloce: si può ottenere un piano ordinario di rateizzazione compilando un modulo disponibile sul sito internet http://www.gruppoequitalia.it e negli sportelli di Equitalia, e riconsegnarlo a mano oppure spedirlo con raccomandata con ricevuta di ritorno. Per importi oltre 50 mila euro è sufficiente allegare alcuni documenti che dimostrino lo stato di difficoltà economica. È possibile richiedere rate variabili e crescenti, anziché rate costanti, in modo da poter pagare meno all’inizio nella prospettiva di un miglioramento della condizioni economiche.

Proroga e decadenza. I piani di rateizzazione, ordinari e straordinari, possono essere prorogati una sola volta. In entrambi i casi si può chiedere una proroga ordinaria (in ulteriori 72 rate) oppure, in presenza dei requisiti previsti, una straordinaria (massimo 120 rate). Si decade dal beneficio della rateazione in caso di mancato pagamento di otto rate anche non consecutive.

Come presentare la domanda. La domanda, comprensiva della documentazione necessaria, inclusa copia del documento di riconoscimento, si può presentare tramite raccomandata con ricevuta di ritorno, a mano presso uno degli sportelli dell’agente della riscossione competente per territorio o specificati negli atti inviati da Equitalia oppure, per i debiti inferiori a 50 mila euro, direttamente online sul sito http://www.gruppoequitalia.it, dove è possibile scaricare tutti i moduli.

Catapano Giuseppe informa: DEDUCIBILITA’ DELLE PERDITE SU CREDITI: NON NECESSARIA L’AZIONE ESECUTIVA

Al fine della deducibilità delle perdite su crediti non è necessario l’avvio di procedure esecutive o di attività contrassegnate dal medesimo fine, ma è sufficiente la sussistenza (con onere della prova a carico del contribuente) di elementi certi e precisi dai quali desumere l’effettività delle dette perdite, circostanza che è oggetto dell’esclusivo giudizio di merito riservato ai giudici territoriali.

Infatti, in tema di imposte sui redditi, l’art. 66 (attuale 101), terzo comma, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n, 917, prevedendo che le perdite su crediti sono deducibili dal reddito imponibile soltanto se risultino da elementi certi e precisi, pone a carico del contribuente, anche in relazione alle cessioni “pro soluto”, l’onere di allegare e documentare gli elementi “de quibus”, che non possono tautologicamente esaurirsi nella pattuizione di un corrispettivo inferiore al valore nominale del credito ceduto, ma devono riguardare le ragioni che hanno consigliato l’operazione ed il conseguente recupero solo parziale, dovendosi escludere, al di fuori dell’ipotesi del debitore assoggettato a procedure concorsuali, l’esistenza di qualsiasi automatismo di deducibilità delle perdite.

Catapano Giuseppe scrive: RICORSO CONTRO LA CARTELLA DI PAGAMENTO: ATTENZIONE ALL’ENTE CHE HA EMANATO IL PROVVEDIMENTO

Richiamando la sentenza della Cassazione n, 4682/12, i giudici della CTR toscana hanno ribadito come l’individuazione della Commissione tributaria di primo grado territorialmente competente debba operarsi, come si desume dalla lettera del DLgs. n 546 del 1992 art. 4, con riferimento al luogo ove ha sede l’Ufficio finanziario che ha emesso il provvedimento impugnato, ovverosia il Concessionario della riscossione che ha emesso la cartella di pagamento impugnata dal contribuente. Nella fattispecie in giudizio la competenza della CT non poteva che essere quella di Prato in quanto la cartella di pagamento è stata emessa dal Concessionario alla riscossione di Prato. Altresì precisano come se è vero che l’art. 39 del c.p.c. dispone che il secondo giudice adito deve dichiarare la litispendenza, tuttavia questa dichiarazione deve essere fatta dal giudice competente.

Giuseppe Catapano informa: RISOLUZIONE DELLA LOCAZIONE: OPPONIBILE SOLO SE LA DATA È CERTA

Molto spesso vi è l’evenienza dell’accertamento del reddito da locazione che il contribuente non ha esposto in dichiarazione, pur in presenza di contratti registrati.

Infatti, i contratti vengono effettivamente registrati ma, poi, magari risolti, senza il pagamento dell’imposta fissa di registro ex art. 17 Dpr 131/1986.

Questo è accaduto in un caso portati avanti la Commissione tributaria provinciale di Firenze che non ha potuto accogliere le doglianze del contribuente, che portava in giudizio le scritture private di risoluzione dei contratti precedentemente registrati.

Ebbene,secondo il Collegio, “la data è elemento essenziale per l’efficacia della eccezione del ricorrente”: l’Agenzia può dare prova della sua pretesa, atteso che i contratti sono registrati, ma la risoluzione anticipata, contrapposta dal ricorrente, può essere fornita producendo “i contratti di risoluzione anticipata che, però, per avere efficacia verso l’Agenzia, che è terza rispetto ai contribuenti, devono essere forniti di data certa, come stabilito dall’art. 2704 c.c., secondo le modalità (non tassative) previste dallo stesso articolo”.

Catapano Giuseppe comunica: RITENUTE FISCALI SULLA ‘BUONUSCITA’, TEMPI LUNGHISSIMI PER UNA DECISIONE SULLA RICHIESTA DI RIMBORSO: NIENTE INDENNIZZO AL CONTRIBUENTE PER L’ECCESSIVA DURATA DEL PROCESSO

Tempi lunghissimi, e ben tre giudizi, per arrivare a una decisione sulla richiesta, avanzata dal contribuente, relativamente al “rimborso delle ritenute fiscali operate sull’indennità di buonuscita”. Ciò nonostante, è da respingere la “domanda” finalizzata all’ottenimento, da parte dell’uomo, dell’“equo indennizzo per l’eccessiva durata del processo” svoltosi “davanti alla Commissione tributaria di primo e di secondo grado di Rieti, e davanti alla Commissione tributaria centrale di Roma”.
A fare chiarezza provvedono, ora, i giudici della Cassazione, sancendo che “la disciplina dell’equa riparazione non è applicabile ai giudizi in materia tributaria involgenti la potestà impositiva dello Stato”, alla luce della ‘Convenzione europea dei diritti dell’uomo’. Difatti, spiegano i giudici, “non è la natura pecuniaria delle obbligazioni a rendere sempre e comunque applicabile” il “diritto ad un equo processo” come fissato dalla ‘Convenzione’, bensì “solo il carattere civile delle stesse, cui si contrappongono le obbligazioni di natura pubblicistica, le quali derivino dall’applicazione di tributi o traggano in ogni caso origine da doveri pubblici, onde la conclusione secondo cui, rientrando la materia fiscale ancora nel nocciolo duro delle prerogative attinenti alla sovranità statale ed (essendo) sotto questo profilo tuttora dominante la qualifica pubblicistica del rapporto obbligatorio di imposta tra Stato sovrano e contribuente, il contenzioso tributario non rientra nell’ambito dei diritti e delle obbligazioni di carattere civile, malgrado gli effetti patrimoniali che esso necessariamente produce nei confronti dei contribuenti”.
Peraltro, analizzando la vicenda, emerge che “il giudizio aveva ad oggetto non già la controversia circa i modi e i termini della ripetizione di un indebito altrimenti già accertato fra le parti, ma il diritto” del contribuente “a ottenere il rimborso di una ritenuta fiscale che assumeva essere stata indebitamente operata sull’indennità di buonuscita. Ciò posto, è del tutto irrilevante che l’azione fosse diretta alla condanna dell’amministrazione finanziaria a restituire l’importo trattenuto, piuttosto che al solo accertamento negativo di una pretesa tributaria non ancora realizzata. Nell’un caso come nell’altro, l’oggetto del contendere era costituito dalla fondatezza o meno dell’imposizione e dunque riguardava un rapporto obbligatorio interamente disciplinato da norme di diritto pubblico, con conseguente sottrazione della controversia alla materia civile” prevista nella ‘Convenzione’.