Catapano Giuseppe osserva: Redditi di natura finanziaria: il sostituto d’imposta dipende dal regime fiscale

Nel caso in cui intervengano più intermediari nella riscossione dei proventi di natura finanziaria, l’individuazione del sostituto d’imposta che deve applicare le ritenute su tali redditi dipende dai differenti schemi operativi che vengono adottati. Questo è in sintesi quanto chiarito dall’Agenzia delle Entrate nella Risoluzione n. 16/E del 16 febbraio 2015. Di norma, le società di gestione del risparmio (Sgr) tendono ad appoggiarsi, per le disponibilità liquide e per gli strumenti finanziari della propria clientela, presso una banca o un altro intermediario. Secondo l’Agenzia delle Entrate, quando la normativa fiscale non indica uno specifico sostituto d’imposta, questa figura è rappresentata dalla Sgr, in quanto intermediario più vicino al cliente. Fanno eccezione le ipotesi in cui il prelievo alla fonte deve essere effettuato ex lege direttamente dall’emittente, come nel caso di interessi di alcune obbligazioni e titoli similari non quotati o di dividendi di azioni non quotate.

Catapano Giuseppe: Una certificazione etica per il recupero crediti

Un sistema di certificazione etica dedicato alle società di recupero crediti. È il progetto sviluppato da LifeGate, società che si occupa di sviluppo sostenibile delle imprese, e SAI Global, ente di certificazione internazionale. Ethical Debt Collection, questa la denominazione della certificazione, dovrebbe certificare la trasparenza dell’operato delle società di recupero crediti, con ritorni positivi, e non solo economici, anche per le banche.

La positiva ripercussione di un approccio etico

A oggi i mancati pagamenti da parte delle famiglie italiane ammontano a 50 miliardi di euro e si registra un pagamento arretrato di 833 euro per ogni italiano (dati Codacons, 2014): le banche quindi non possono fare a meno di mettere in campo società di recupero crediti, ma non possono certo permettersi, in un tale momento di difficoltà, di perdere un cliente storico o, ancora peggio, subire un danno reputazionale a seguito di lamentele su social media e forum pubblici riguardo a una scorretta pratica di riscossione dei crediti.

«Con debiti maggiori e sempre più incagliati, il mercato del recupero crediti deve riuscire a creare valore – commenta Stefano Corti, Direttore Generale di LifeGate – seguendo un approccio sostenibile e competitivo. Impattando positivamente su tutta la filiera: Ethical Debt Collection”, rispetto ai precedenti standard, si concretizza in un manifesto di principi volti a garantire che il debitore venga trattato con il massimo rispetto, che la società di recupero crediti e l’esattore operino in condizioni lavorative ottimali e che l’azienda mandante sia soddisfatta del processo di recupero del credito a fronte di un’azione globale etica e rispettosa” tutelare quindi il consumatore, garantire una contrattualistica opportuna alle società di recupero crediti e, infine, tutelare anche il mandante, che potrà affidarsi a un operatore che agisce in maniera sostenibile».

Parametri di costruzione della certificazione

La creazione dello standard si è articolata su tre diverse fasi: la prima, di analisi, poi il coinvolgimento degli stakeholder e, infine, la stesura del disciplinare. Nella prima fase, si è creato un benchmarking (nazionale e internazionale) tra i riferimenti normativi e i codici deontologici di riferimento, attraverso una mappatura dei processi di attività del recupero crediti e l’analisi SWOT del sistema. Nella seconda fase, invece, sono stati coinvolti gli stakeholder (reti esattoriali, società mandatarie e debitori), per identificare le criticità e i punti di miglioramento del processo di recupero crediti e definire, quindi, una scala di valori riferita ai vari requisiti dello standard. Infine, è stato elaborato il disciplinare, in cui sono presenti 120 parametri di riferimento suddivisi tra una area generale e due aree specifiche: phone collection e riscossione a domicilio.

«A questi parametri obbligatori, abbiamo poi aggiunto dei criteri facoltativi, che dimostrano il desiderio da parte della società di implementare un sistema di gestione migliore – spiega Davide Marzetto, Head of Audit Certification & Scheme Management SAI Global. A seconda della presenza o meno di questi criteri non vincolanti, le società possono ottenere tre livelli di certificazione: golden (per chi segue dall’86 al 100% dei criteri facoltativi), silver (51%-85%) e infine bronze (0-50%)».

Il processo di certificazione

Per ottenere la certificazione, le società devono procedere, in primis, con un processo di autocertificazione da inviate al comitato dello standard, che ne verifica il livello di conformità iniziale e propone, dunque, degli eventi formativi con consulenti esterni qualificati. In un secondo tempo, si avvia la “verifica in campo”: un controllo sulla reale applicazione dello standard all’interno della organizzazione, sondando persone e processi con interviste a vari livelli. Infine, passata la check-list, la valutazione conclusiva passa nelle mani di un Comitato Tecnico che valuta se la società opera effettivamente secondo lo standard: a seconda del risultato, si può procedere con una azione correttiva o rilasciare direttamente la certificazione. «Inoltre, l’attestato di riconoscimento ha validità triennale dalla data di emissione – conclude Corti. L’organizzazione è anche sottoposta a visite periodiche annuali per verificare la corretta applicazione dello standard e il suo mantenimento».

Giuseppe Catapano informa: “Becoming BPER”: tre pilastri per il nuovo Piano Industriale

Creare linee di business capaci di rispondere ai bisogni del territorio, razionalizzare la rete di filiali, con conseguente investimento in tecnologie innovative per le agenzie che rimangono sulla penisola, e ottimizzazione del profilo di rischio. Sono questi i tre pilastri su cui si è costituito il Piano Industriale 2015-2017 di BPER: “Becoming BPER”.

Obiettivi economici

Importanti i target economici e finanziari definiti dal gruppo, che punta a ottenere nel 2017 un utile netto consolidato di pertinenza della Capogruppo pari a 499 milioni di euro (a fine 2014 l’utile ha raggiunto i 15 milioni di euro), un ROTE consolidato pari al 9% (oggi allo 0,3%), un CET1 ratio del 12% (da migliorare quindi dello 0,7% nei prossimi anni) e un dividend pay-out ratio superiore al 30%.

I tre motori di “Becoming BPER”

1. Rafforzamento dei ricavi
Tre le leve su cui si basa il nuovo Piano Industriale. Il primo è il rafforzamento dei ricavi che investirà diverse aree: il modello distributivo, l’offerta nel risparmio gestito, il credito al consumo, la digitalizzazione e l’omnichannel.

2. Efficienza del modello operativo
Si prospetta una ulteriore razionalizzazione della rete delle agenzie e dei presidi organizzativi, la semplificazione dei processi e l’investimento in tecnologie innovative che consentano il miglioramento dei livelli di efficienza. Progettualità che impatteranno aree specifiche: l’ottimizzazione degli organici, la riduzione delle complessità, la cost excellence, il rafforzamento della macchina IT.

3. Ottimizzazione del profilo di rischio
Il raggiungimento degli obiettivi del Piano ha tra i suoi scopi principali quello di ricondurre il costo del credito a valori normali, se non superiori ai livelli pre-crisi. Per ciò che riguarda l’intera filiera del credito “concessione-gestione-recupero”, il piano prevede infatti precisi interventi sui nuovi processi di governo che saranno rigorosamente informati all’adozione di politiche del credito definite in stretto legame con il RAF (risk appetite framework) e supportate da rinnovati presidi di rischio, sviluppati anche sulla base della positiva esperienza del Comprehensive Assessment. La specializzazione e il rafforzamento dei presidi di rischio si articolerà sia nella gestione del credito incagliato/ristrutturato che nella creazione di una Business Unit dedicata alla gestione delle sofferenze con l’obiettivo prioritario di rafforzare ulteriormente il tasso di recupero sul credito deteriorato del Gruppo.

Un confronto con i risultati attuali

Conto economico

Utile netto di pertinenza del gruppo: da 15 milioni di euro del 2014 a 400 milioni nel 2017 (+200% CAGR)

Rettifiche: da -858 milioni del 2014 a -400 milioni nel 2017 (-22,5% CAGR)

Costi operativi: da -1,26 miliardi di euro del 2014 -1,24 miliardi nel 2017 (-0,6% CAGR)

Stato patrimoniale

Raccolta diretta: da 46,2 milioni del 2014 a 47,8 milioni nel 2017 (+1,2% CAGR)

Raccolta indiretta e polizze: da 31,2 milioni del 2014 a 34,9 milioni nel 2017 (+3,8% CAGR)

Cost / income: dal -57% del 2014 al -54% nel 2017 (delta del 3% tra 2014 e 2017)

Capitale CET 1: da 4,6 milioni del 2014 a 5,1 milioni nel 2017 (+3,7% CAGR)

Ratio patrimoniali

Crediti deteriorati netti/Totale crediti: dal 14,9% del 2014 al 13,9% nel 2017 (-1% delta 2014-2017)

Tasso di copertura delle sofferenze: dal 56,6% del 2014 al 56,7% nel 2017 (+0,1%)

Tasso di copertura degli incagli: dal 19% del 2014 al 21,5% nel 2017 (+2,5%)

CET1 ratio: dall’11,3% del 2014 a circa 12% nel 2017 (+0,7%)

Catapano Giuseppe osserva: Fallimento anche per debiti fiscali non scaduti e perdite di esercizio

La società può essere dichiarata fallita per debiti fiscali non ancora scaduti e soprattutto quando ha continue perdite di esercizio. Il chiarimento proviene da una sentenza di ieri della Cassazione che, di certo, non farà dormire sonni tranquilli a chi ha debiti con Equitalia o, comunque, con il fisco. Il fatto che i crediti non siano ancora esigibili (ossia scaduti) non toglie che l’imprenditore possa subire la sentenza dichiarativa di fallimento sempre che sussistano i requisiti soggettivi e oggettivi (leggi, a riguardo, “Fallimento: presupposti per essere dichiarati falliti”). Secondo la Corte, la verifica dello stato d’insolvenza prescinde dall’indagine sull’effettiva esistenza dei crediti fatti valere nei confronti del debitore. Tant’è che la qualità di creditore, necessaria per legittimare il deposito del ricorso per la dichiarazione di fallimento, si estende a tutti coloro che vantano un credito, nei confronti del debitore, anche se non necessariamente certo (per esempio, se contestato), liquido (se ancora non esattamente determinato nel suo ammontare) ed esigibile (se, per esempio, soggetto a una condizione non ancora verificatasi). Lo stato di insolvenza, presupposto per potersi dichiarare fallimento, è una situazione di impotenza economico-patrimoniale idonea a privare l’imprenditore della possibilità di far fronte con mezzi normali ai propri debiti. Essa si può desumere da una serie di elementi di fatto: per esempio, l’infruttuoso tentativo del creditore istante di incassare gli assegni consegnatigli dalla società debitrice; l’ammissione del amministratore della società; ricorrenti perdite di esercizio nell’ultimo biennio; complesso di debiti, anche tributari, pur se non scaduti. Tutti questi indizi, valutati complessivamente, sono sufficienti a provare quella situazione di impotenza economica, prescindendo dall’indagine su esistenza ed esigibilità di ciascuno dei suddetti crediti.

Catapano Giuseppe informa: Lettere raccomandate: si considera l’avviso di giacenza per la conoscenza

Cosa succede se non ritirate la raccomandata che il postino ha tentato di consegnarvi? Le ragioni possono essere tante: un vostro rifiuto, il rifiuto da parte dei soggetti legittimati a ritirare la posta al posto vostro, ma anche la momentanea assenza dal domicilio, oppure un cambio di residenza non ancora comunicato alle autorità amministrative. Fatto sta che il postino è tenuto a riportare il plico presso l’ufficio postale dove rimane per 30 giorni. È quella che viene detta “giacenza”. Cosa succede in pratica? In buona sostanza, il portalettere, quando non trova il destinatario della raccomandata, gli lascia un avviso di giacenza nella cassetta delle lettere (si tratta di una cartolina bianca o di uno “scontrino” stampato da moderni terminali). In tale avviso viene indicato l’ufficio postale e il giorno a partire dal quale sarà possibile andare a ritirare la raccomandata. La compiuta giacenza Se entro 30 giorni il destinatario non ritira la lettera presso l’ufficio postale indicato nell’avviso di giacenza, si forma quella che tecnicamente viene detta “compiuta giacenza”, ossia la raccomandata si presume come consegnata (almeno ai fini legali) e, nello stesso tempo, viene restituita al mittente con un timbro (o una scritta a penna del postino) che indica, appunto, la compiuta giacenza. In questo modo, la busta così riconsegnata al mittente farà fede sia ai fini della prova dell’avvenuta spedizione che del tentativo di consegna. Quando si presume conosciuta la raccomandata? Come detto, ai fini della legge, una raccomandata non ritirata è considerata al pari di una consegnata regolarmente, sempre che l’indirizzo del destinatario sia stato indicato correttamente (così non sarebbe, per esempio, se il destinatario, pur non avendo rimosso il proprio nome dalla buca delle lettere, ha cambiato ufficialmente residenza). Con una recente sentenza, la Cassazione ha chiarito che la lettera raccomandata spedita a mezzo del servizio postale, non consegnata al destinatario a causa della sua assenza e/o delle persone abilitate a riceverla, si presume pervenuta alla data in cui è rilasciato il relativo avviso di giacenza presso l’ufficio postale. Resta dunque irrilevante, ai fini della tempestività della disdetta, il periodo legale del compimento della giacenza e quello intercorso tra l’avviso di giacenza e l’eventuale ritiro da parte del destinatario. La sentenza è stata resa in tema di locazioni: la Corte ha deciso un caso di una lettera contenente la disdetta di un contratto di affitto. Per valutare se essa era pervenuta nei termini per interrompere l’automatico rinnovo del contratto, i giudici hanno ritenuto di dover prendere in considerazione il momento in cui il plico è recapitato al suo indirizzo e non il diverso momento in cui questi ne prenda effettiva conoscenza.

Catapano Giuseppe informa: Stop esecuzioni Equitalia per chi è decaduto dalla rateazione

Buone notizie per chi ha debiti con Equitalia. Il decreto legge Milleproroghe, ha confermato la possibilità di ottenere, entro il 31 luglio 2015, un nuovo piano di rateazione dei debiti fiscali per quanti sono decaduti dal beneficio fino al 31 dicembre 2014.

La riammissione è su richiesta del contribuente. Con la presentazione dell’istanza non potranno essere avviate nuove azioni esecutive. In buona sostanza, il contribuente potrebbe così evitare di vedersi notificata, nei prossimi mesi, un’ipoteca, un fermo o un pignoramento del conto o dello stipendio.

Ma procediamo con ordine e vediamo meglio di cosa si tratta, anche perché il decreto Milleproroghe dovrebbe essere approvato entro il prossimo 1° marzo: il Governo, infatti, è intenzionato a porre la questione di fiducia. I tempi dunque si avvicinano per presentare l’istanza ed è necessario sapere in anticipo come presentarsi all’appuntamento.

Un decreto legge della scorsa estate, battezzato DL Irpef , aveva concesso una seconda opportunità a quanti, alla data del 22 giugno 2013, erano decaduti dal piano di pagamento rateizzato con Equitalia. A tale data, infatti (prima, cioè, delle modifiche introdotte dal cosiddetto “decreto del Fare”), il contribuente perdeva il beneficio della dilazione solo omettendo il pagamento di due rate consecutive (oggi, invece, per la decadenza è necessario il mancato pagamento di otto rate non necessariamente consecutive).

In buona sostanza, il DL Irpef ha concesso a tutti i soggetti che, prima del decreto del Fare, avevano perso la dilazione per l’omesso versamento di 2 rate consecutive, la possibilità di ottenere una riammissione alla rateazione. Tal richiesta doveva essere presentata entro e non oltre il 31 luglio 2014, successivamente prorogato al 31 dicembre 2014.

La rateazione concessa a tali contribuenti è pari a 72 rate mensili (quini sei anni). In questo modo si è potuto beneficiare di una riammissione al pagamento rateale, ma soprattutto allo stop alle azioni esecutive in corso o solo minacciate.

Ebbene, il decreto Milleproroghe estenderà questa possibilità fino al 31 luglio 2015. Cerchiamo quindi di riassumere a chi si applica il beneficio e quali saranno i vantaggi.

1 | SOGGETTI

Potranno ottenere una nuova rateazione coloro che avevano chiesto, fino al 22 giugno 2013, una rateazione e non l’hanno poi rispettata, saltando due rate di seguito. Di norma, infatti, in tali casi, non è possibile ottenere altre rateazioni e si è costretti a pagare il debito in un’unica soluzione, pena le azioni esecutive.

Ciò ovviamente non significa che chi non ha mai chiesto la rateazione non possa presentarla, anche per debiti pregressi e anteriori (o successivi) al 22 giugno 2013.
Il vantaggio del nuovo decreto legge Milleproroghe è invece quello di concedere una riammissione alla rateazione a chi, piuttosto, non potrebbe ottenerla (perché decaduto dalla precedente).

Potranno ottenere il beneficio anche coloro nei cui confronti Equitalia ha già avviato le procedure esecutive, il pignoramento o notificato un preavviso di ipoteca o di fermo auto. Il pagamento della prima rata comporta l’abbandono e l’estinzione dell’esecuzione forzata da parte dell’Agente di riscossione.

Se, invece, l’esecuzione non è ancora partita, l’avvio della nuova rateazione blocca eventuali future azioni esecutive.

2 | NUMERO DI RATE

I beneficiari potranno ottenere una dilazione fino a 72 rate. Ma se per i debiti fino a 50 mila euro l’accoglimento dell’istanza è pressoché automatico e non necessita di documentazione, per quelli superiori sarà invece necessario allegare delle prove documentali che attestino lo stato di difficoltà economica.

L’importo minimo di ogni rata non può essere inferiore a 100 euro. Tuttavia il contribuente potrà chiedere una dilazione a rate variabili e crescenti (e non fisse).

3 | LA RICHIESTA

Il contribuente riceverà direttamente al proprio indirizzo il piano di dilazione e i bollettini per il pagamento se l’istanza presentata è regolare.

Se la documentazione allegata alla richiesta è carente, Equitalia chiederà un’integrazione per l’eventuale ammissione alla nuova dilazione.

Nel caso di esito negativo dell’istanza, per mancanza dei requisiti, Equitalia comunicherà il rigetto motivandolo. Questo non preclude la possibilità di presentare una nuova istanza, purché entro il termine di scadenza (31 luglio 2015) se supportata da ulteriori elementi.

4 | LA DECADENZA DAL NUOVO PIANO

Poiché il beneficio prevede la riapertura della “vecchia” rateazione, si applicheranno le regole precedenti al Decreto del Fare: pertanto, il contribuente decadrà dalla dilazione a seguito del mancato pagamento di due rate (e non quindi di otto). Attenzione però: a differenza del regime previgente, in questo caso la decadenza dal beneficio scatta in caso di omesso versamento di due rate anche non consecutive. Per esempio, se nello stesso anno il contribuente non paga le mensilità di febbraio e ottobre verrà dichiarato decaduto dalla rateazione. Bisognerà, quindi, prestare massima attenzione alla puntualità nei versamenti.

Chi decade dalla nuova rateazione non potrà più chiederne di ulteriori.

Catapano Giuseppe comunica: Mancata registrazione della sentenza: il termine breve per l’impugnazione decorre lo stesso

Se il creditore si fa rilasciare una copia della sentenza di primo grado a uso notifica, prima ancora di versare la relativa imposta di registro all’Agenzia delle Entrate, e l’ufficiale giudiziario la consegna correttamente alla parte soccombente del giudizio, comincia a decorrere subito, per quest’ultima, il termine breve per proporre impugnazione (30 giorni per l’appello; 60 giorni per il ricorso in Cassazione). Questo perché – secondo quanto affermato da una sentenza della Cassazione del 2012 e ribadita qualche giorno fa dalla stesa Corte  – la mancata registrazione della sentenza notificata non impedisce il decorso del termine breve per impugnare nei confronti del destinatario. Non si può, infatti, subordinare la decorrenza del termine per impugnare la sentenza alle disponibilità economiche della parte vittoriosa. Una interpretazione di tal genere determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento fra soggetti in situazioni identiche, e si porrebbe in contrasto non solo con la nostra Costituzione, ma anche con la Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo volta ad assicurare la ragionevole durata del processo. Del resto, le Sezioni Unite della Cassazione hanno più volte affermato che non vi è più l’obbligo di registrazione per tutte le sentenze civili. In ogni caso, anche per quelle ove l’obbligo è previsto, il cancelliere, su richiesta dell’avvocato, deve rilasciare a quest’ultimo una copia ad uso notifica, ancor prima della registrazione, se ciò è necessario ai fini della prosecuzione del giudizio e, quindi, al decorso dei termini per l’impugnazione. Dunque, una volta avvenuta la comunicazione dell’avviso di deposito della sentenza, la successiva notificazione della copia integrale del dispositivo fa comunque decorrere, indipendentemente dalla registrazione della sentenza, il termine breve di per la proposizione dell’appello.

Catapano Giuseppe informa: Diritti e doveri del lavoratore dipendente e del datore di lavoro

Tempo di Job Act: si fa un gran parlare di diritti del lavoratore (un po’ meno dei doveri) e delle facoltà concesse al datore di lavoro di licenziamento. In questa ansia di riforma, però – forse giustificata dall’urgente esigenza di rilanciare il mercato del lavoro e ristabilire l’occupazione nel Paese – si dimenticano quali siano i principi base posti dalla Costituzione, dallo Statuto dei lavoratori e dalle leggi speciali in materia di lavoro dipendente. Cerchiamo, quindi, di fare una rapida panoramica sull’argomento. 1 | DIRITTI DEL LAVORATORE Il lavoratore subordinato si obbliga a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore. Il più importante diritto del lavoratore consiste nella corresponsione della retribuzione, che, in mancanza di contratto collettivo applicabile o di contratto individuale, viene determinata dal giudice, anche tenendo conto di quanto stabilito al riguardo dalla contrattazione collettiva. La retribuzione deve essere proporzionata al lavoro svolto e sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La donna lavoratrice e i minori hanno gli stessi diritti degli altri lavoratori e, a parità di lavoro, hanno diritto alla parità della retribuzione. Il lavoratore ha inoltre diritto al riposo settimanale e alle ferie annuali garantite, cui non può rinunziare. ln caso di continuo e ripetuto mancato godimento del riposo settimanale e delle ferie il lavoratore può chiedere al datore di lavoro il risarcimento del danno alla salute così subito. Il lavoratore studente ha diritto a turni di lavoro che gli consentano di partecipare ai corsi e di prepararsi agli esami; non può essere obbligato a svolgere lavoro straordinario, tanto meno durante i riposi settimanali. ln coincidenza con gli esami da sostenere, ha diritto a ottenere permessi giornalieri retribuiti. Il dipendente in servizio di leva ha diritto alla conservazione del posto. Lo stesso vale per il lavoratore che ha scelto di svolgere servizio civile (norme tuttavia da attualizzare con la recente abolizione della leva obbligatoria). Hanno diritto a permessi retribuiti i lavoratori donatori di sangue e i componenti i seggi elettorali. Il lavoratore ha inoltre diritto di svolgere attività sindacale all’interno dell’ azienda e di aderire agli scioperi regolarmente indetti. I lavoratori chiamati a funzioni pubbliche elettive o sindacali possono ottenere aspettative e distacchi sindacali. 2 | OBBLIGHI DEL LAVORATORE Il lavoratore è, d’altra parte, tenuto a usare, nell’espletamento delle sue mansioni, la diligenza richiesta dalla natura delle prestazioni da svolgere e deve osservare le direttive dell’imprenditore e dei propri superiori. Oltre al suddetto obbligo di diligenza, grava sul lavoratore l’obbligo di fedeltà: il dipendente non può trattare affari in concorrenza con il suo datore di lavoro, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e alla produzione aziendale, o farne uso in maniera da recare danno all’azienda stessa. In caso di violazione degli obblighi di diligenza e di fedeltà da parte del lavoratore, il datore di lavoro può comminargli sanzioni disciplinari, che vanno dalla multa alla sospensione dal lavoro fino al licenziamento. Il patto di non concorrenza Abbiamo visto che l’obbligo di fedeltà che grava sul lavoratore comporta che quest’ultimo non possa svolgere attività in concorrenza con il suo datore di lavoro. Ciò vale naturalmente solo finché quel determinato rapporto di lavoro continua. Nel momento in cui il rapporto viene a cessare, il divieto di concorrenza viene anch’esso meno e il dipendente è naturalmente libero di cercarsi un altro lavoro e di trovarlo presso la concorrenza. Anzi è normale che ciò avvenga, soprattutto quando il lavoratore è in possesso di specializzazioni tali da far sì che le sue capacità e le sue conoscenze siano richieste soprattutto da aziende che operano nello stesso settore economico del precedente datore di lavoro. Ad esempio, è normale che un tecnico specializzato nel riparare televisori, una volta risolto il rapporto con la ditta che lo aveva assunto, passi alle dipendenze di un’azienda che svolga analoga attività. Il datore di lavoro può pretendere che il suo ex dipendente non svolga attività in concorrenza solo in forza di un apposito patto di non concorrenza. Il patto di non concorrenza, per essere valido, deve: – risultare da accordo scritto; – prevedere un corrispettivo, cioè un compenso, adeguato a favore del prestatore di lavoro; – esplicitare esattamente quali sono le attività che il lavoratore non deve svolgere e specificare in quale settore economico non deve essere esercitata la concorrenza; – prevedere un vincolo contenuto entro determinati limiti territoriali (ad esempio, entro un determinato Comune); – prevedere una durata non superiore a 3 anni (5 per i dirigenti). 3 | DIRITTI DEL DATORE DI LAVORO Il datore di lavoro è il capo dell’impresa e da lui dipendono gerarchicamente tutti i collaboratori della stessa. Gli è riconosciuto un potere disciplinare . Gli obblighi e i diritti del datore di lavoro sono speculari a quelli del lavoratore. Ln correlazione al diritto del lavoratore a ricevere un compenso adeguato sussiste, quindi, l’obbligo del datore di lavoro a corrispondere la retribuzione. Di contro, il dovere di fedeltà del lavoratore coincide con il diritto del datore di lavoro a pretendere dal lavoratore un comportamento improntato a diligenza e lealtà. 4 | OBBLIGHI DEL DATORE DI LAVORO Il principale obbligo del datore di lavoro consiste naturalmente nel corrispondere le retribuzioni dovute al lavoratore. L’imprenditore è tenuto a porre in essere tutte le misure che possano garantire l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore. La legislazione relativa alla sicurezza del lavoro prevede una serie di misure e adempimenti che il datore di lavoro deve adottare a garanzia della sicurezza e della salute dei lavoratori. Il datore di lavoro deve inoltre provvedere al versamento delle contribuzioni relative alle forme di previdenza e assistenza previste obbligatoriamente dalla legge.

Giuseppe Catapano: Creditori: le ricerche nell’anagrafe tributaria dei beni del debitore sono già operative

È già da ora operativo l’accesso telematico all’Anagrafe tributaria, nell’ambito dell’esecuzione forzata, per scovare redditi e patrimoni “nascosti” dei debitori. Chi aveva confidato sulla mancata emanazione dei regolamenti attuativi per dormire sonni tranquilli ha fatto i conti senza l’oste. E ciò anche se le disposizioni di attuazione al codice di procedura civile stabiliscono che le modalità per l’accesso a tale banca dati dovranno essere determinate con decreto (ancora non emanato) del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’interno e con il MEF, sentito il Garante Privacy. A dirlo è un recente e interessante provvedimento del Tribunale di Mantova. Non dovranno più aspettare i creditori che, in attesa che la riforma potesse diventare operativa, hanno nel frattempo sospeso le ricerche propedeutiche all’esecuzione forzata in attesa di poter accedere al maxi-archivio dell’Agenzia delle Entrate (anagrafe tributaria e anagrafe dei conti correnti). Secondo il provvedimento in commento, il creditore può essere autorizzato ad ottenere direttamente dai gestori delle banche dati le informazioni nelle stesse contenute, senza attendere i decreti attuativi. Dunque, chi ha diritto a procedere ad esecuzione forzata, perché in possesso di un titolo esecutivo (per esempio: sentenza, decreto ingiuntivo, assegno, cambiale, contratto di mutuo, ecc.) potrà chiedere, all’ufficiale giudiziario, dopo aver pagato il relativo contributo unificato, che questi acceda, con modalità telematiche, alle banche dati del fisco da cui è già da oggi possibile evincere di quali beni o redditi è titolare il debitore. Non solo. Se l’ufficiale giudiziario risponde “picche” al creditore, perché le strutture tecnologiche, in uso al suo ufficio e necessarie a consentirgli l’accesso diretto alle banche dati, sono ancora inadeguate, il creditore può essere autorizzato, dal Presidente del Tribunale, ad ottenere direttamente dai gestori delle banche dati (per esempio, rivolgendosi all’Agenzia delle Entrate) le informazioni nelle stesse contenute, senza necessità di attendere i decreti attuativi. È vero: il soggetto che può essere autorizzato ad accedere mediante collegamento telematico diretto ai dati contenuti nelle banche dati è, in primis, l’ufficiale giudiziario. Ma l’autorizzazione non prevede un accesso diretto alle banche dati da parte del creditore, ma consente solo a quest’ultimo di richiedere ed ottenere dai gestori delle stesse le informazioni relative al debitore ivi conservate, così che le relative interrogazioni siano effettuate dai gestori medesimi e non dal creditore. Non ci sarà, pertanto, alcuna lesione della privacy, perché saranno le amministrazioni a prendere in consegna la richiesta e non il creditore direttamente dal suo pc di casa. Insomma, fine del gioco della “mosca cieca” per molti.

Catapano Giuseppe comunica: Germania dice no ed è Atene ora che lancia ultimatum. Fmi si tira fuori?

La proposta della Grecia non ha fatto in tempo ad essere stata presentata, che è già arrivato il no della Germania. Monta la protesta greca contro l’Ue: fonti del governo hanno accusato alcuni paesi membri di non volere “soluzioni”.

Intanto Gerry Rice, il direttore comunicazione del Fondo monetario internazionale, afferma che “sta ovviamente ai partner europei e al governo greco decidere come meglio gestire la possibile estensione del programma Ue o i passi verso un nuovo programma”. Il programma del “Fondo monetario internazionale a sostegno della Grecia scadrà nel marzo 2016, quindi non ha bisogno di essere esteso a questo punto”.

“Per essere chiari, i due programmi sono collegati ma separati e al momento non ci sono discussioni sul piano Fmi”, anche perchè “la Grecia non ha chiesto al Fondo Monetario Internazionale un nuovo programma”.

“C’è sempre flessibilità nei programmi del Fondo: questi si adattano alle circostanze, motivo per cui comunichiamo revisioni su base trimestrale. E’ una procedura standard che non riguarda solo la Grecia”

In tanto, Berlino ritiene insufficienti le proposte del governo Tsipras, che aveva ventilato l’ipotesi di utilizzare le riserve bancarie e tagliare il surplus primario all’1,5%.

Martin Jaeger, un portavoce del ministero tedesco delle Finanze, ha annunciato in un comunicato che “la lettera arrivata da Atene non è una proposta che porta a una soluzione”. In realtà “va nella direzione di un prestito ponte, senza rispettare le richieste del programma di aiuti internazionali” già concordato. Inoltre “La lettera non risponde ai criteri che erano stati stabiliti nell’Eurogruppo di mercoledì”.

Atene vuole concludere un accordo il più in fretta possibile, anche perché i soldi stanno finendo. Il governo del partito anti austerity ha fatto sapere che domani, venerdì, l’Eurogruppo ha davanti due possibilità soltanto: accettare o no il loro piano. Stavolta quindi l’ultimatum arriva dalla Grecia.

Nello specifico, la proposta di Syriza è di un taglio dell’avanzo primario al più abbordabile 1,5% e dell’utilizzo delle riserve bancarie, ma per ora l’Unione Europea non appare del tutto convinta.

“Stiamo facendo il possibile per raggiungere un accordo che sia benefico per tutti. L’obiettivo è concludere tale accordo presto”, ha detto Gabriel Sakellaridis a Skai TV. “Stiamo cercando di trovare i punti in comune”.

L’impressione generale è che Atene finirà per capitolare nel gioco del ‘pollo’ e alzerà lei per prima bandiera bianca.

Per alleviare le pressioni sul proprio sistema bancario, che ieri ha ricevuto un ulteriore aiuto dalla Bce, la Grecia propone di attingere agli 8 miliardi di euro di risore del Fondo ellenico per la stabilizzazione bancaria, con l’obiettivo di diminuire il peso delle sofferenze bancarie e riaprire i rubinetti del credito alle imprese.

La Bce ha alzato di altri 3,3 miliardi il plafond dei prestiti di emergenza agli istituti di credito ellenici. Ora il tetto dell’Ela ha raggiunto i 68,3 miliardi di euro. Ma non si sa fino a che punto ancora Draghi potrà sostenere il disastrato sistema bancario ellenico.

La richiesta per l’estensione dei prestiti di sei mesi, come confermato il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem, è stata presentata formalmente dalla Grecia oggi.

Se un’intesa con i creditori internazionali verrà raggiunta, il paese sarà sicuro di non finire i fondi al termine del programma di bailout attuale, che scade il 28 febbraio, tra poco più di una settimana.

Tuttavia la richiesta non significa che Atene accetterà gli accordi con la troika (Bce, Fmi, Commissione Ue) siglati dal precedente esecutivo, che includono l’adozione di severe misure di austerity.

Intanto scendono in campo gli Stati Uniti, che lanciano un monito alla Grecia. Il segretario al Tesoro Usa Jack Lew ha telefonato al ministro delle Finanze ellenico, Yanis Varoufakis, incitandolo a “passare ai fatti”, lanciando un avvertimento sulle “conseguenze gravi” senza un accordo.

Si deve “trovare un sentiero costruttivo in accordo con il Fmi e i ministri europei delle finanze”; ancora, “l’incertezza non è una cosa buona per l’Europa”.

Intanto il vicepresidente della Commissione Ue Valdis Dombrovskis ha ricordato che “nell’attuale programma di aiuti ci sono ancora dei fondi, ma se la Grecia li vuole, deve concludere il programma e le valutazioni periodiche perché è quella la condizione”.

“L’Eurogruppo, con chiarezza, ha comunicato alla Grecia che si deve estendere il programma con le condizionalità connesse, solo dopo c’è la flessibilità per discuterle. E’ chiaro che la Grecia avrà bisogno di ulteriore assistenza finanziaria perché un ritorno al mercato sarebbe complicato. Vediamo volatilità sul mercato e varie tendenze preoccupanti”.

Intanto il ministro dello Stato Alekos Flamboraris, un consulente del premier Alexis Tsipras, ha detto che la Grecia potrebbe chiedere un summit Ue di emergenza perché la crisi greca è politica almeno quanto economica.

Parlando alla trasmissione radio locale Parapolitika, il ministro ha detto che nel caso in cui un Eurogruppo straordinario non sia convocato entro la fine della settimana, Atene chiederà ai leader dell’Unione Europea che si tenga un vertice di emergenza perché la “questione è politica”.

Atene non chiede un’estensione del memorandum di intenti del precedente programma, ha detto, perché “il voto del popolo greco ha abolito di fatto l’intesa”.

Gli economisti della banca tedesca Berenberg ritengono che ci sia ancora un 35% di chance che Atene lasci l’area della moneta unica. Per Commerzbank c’è addirittura una possibilità su due.

Il rischio di default o Grexit potrebbe diventare realtà in due modi, secondo Berenberg: la coalizione al governo respinge l’offerta dell’Eurozona e inizia a stampare moneta in proprio; oppure il premier Tsipras indice un referendum per l’uscita dal blocco a 19. L’ultimo scenario è il meno probabile, dal momento che attualmente l’80% dei greci è a favore dell’adozione dell’euro.

Per l’Eurozona le conseguenza a lungo termine sarebbero contrastanti. Da una parte l’abbandono della moneta da parte di Atene creerebbe un pericoloso precedente e i tassi dell’area periferica dell’area euro ne risentirebbero. Dall’altra parte, tuttavia, mostrebbe che le regole imposte dalle autorità europee vanno rispettate.

Aumenterebbe inoltre, sempre secondo gli analisti, gli incentivi ad adottare politiche macro economiche positive, volte a salvaguardare l’appartenenza all’area euro e sgonfierebbe le pretese e la popolarità dei movimenti populisti.